La land art o earth art nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni ‘60 e si trasforma presto in una corrente internazionale. Il nome è  stato coniato da un film del 1969 di Gerry Schum, intitolato proprio Land Art, che documentava i lavori dei primi esponenti della nuova disciplina artistica.

La land art è arte fatta con – e nella – natura: abbandonati i confini della tela e della scultura e uscendo dalla cornice stessa del museo, le opere artistiche iniziano a essere composte direttamente nel paesaggio, in formato macroscopico e con l’utilizzo di materiali ed elementi naturali. L’idea è che l’artista lasci sulla terra una propria impronta, spesso effimera come lo è il paesaggio, il quale continuamente muta sotto la spinta degli agenti atmosferici. In questo modo l’uomo riconosce se stesso come parte della terra ma, allo stesso tempo, ammette la propria piccolezza.

Mauro Staccioli, scultore volterrano (1937-2018), chiamava “idee costruite” i cerchi in pietra con cui voleva incorniciare le sue campagne. Con lui, e con un gruppo di suoi colleghi e mecenati geniali, dall’Italia agli Stati Uniti, partiva negli anni Sessanta l’avventura del dialogo tra creatività e natura, fuori dai musei. Poi sono arrivati i percorsi di sculture nei boschi, le panchine giganti tra le vigne, le residenze d’artista montane e i festival della Land Art, oggi spesso sposata all’ecologia, al recupero di saperi artigiani, aperta alle scuole. Mille i generi e le formule della land art in Italia. Ognuno è uno spunto per camminare e fare esplorazioni nel bello tra parchi e borghi, un’idea per viaggi slow di un pomeriggio o di un weekend.

Ecco un prezioso intervento dell’artista Giorgio Bevignani sulla natura, dal titolo “VarcoOpale” che ha realizzato per l’Azienda Frassinago, azienda che progetta Giardini e spazi Verdi in Italia e all’estero, con sede in Via Cadriano, 28/3, Bologna.  Bevignani ha potuto realizzare il suo concept con le loro maestranze, e le foto sono del fotografo Giovanni De Sandre.  Dice Giorgio Bevignani: “Il 22 giugno 2022 alle ore 22 la luna non è ancora visibile. Un crescendo di luce nera invade la sequenza “VarcoOpale”.  Orfeo è alla ricerca di Euridice, ormai negli Inferi dopo che era stata morsa dal serpente. Con i versi e con le note della sua Lira convince gli Dei a riavere indietro la sua compagna, ma contravvenendo a quanto concordato, preso dal desiderio di rivederla, Orfeo si volta troppo presto, prima che il sole illumini il volto e gli occhi della sua amata, che quindi rimarrà per sempre nelle tenebre!  “VarcoOpale” è il dedalo di zattere dove sorge la vita, dove cresce la città, solco miliare primigenio, rivelato dai raggi ultra violetti prima che scompaia al primo raggio di luce del mattino, quando resta visibile solo la mano dell’uomo che lo cura, che lo cancella.

L’operazione di Giorgio Bevignani si apparenta a quanto fatto da  Saype, all’anagrafe Guillaume Legro,  considerato uno degli artisti più originali e talentuosi presenti sulla scena internazionale;  è famoso per aver inventato uno stile mai visto prima di Land Art, dipingendo sui prati figure estremamente realistiche in bianco e nero. Il tutto senza danneggiare la natura in quanto usa una miscela totalmente biodegradabile, auto-prodotta e composta da gesso, carbone e proteine del latte che non è nociva né per le persone e tantomeno per l’ambiente che ci circonda. Per la sua ultima opera, però, lo scenario in cui ha lavorato Saype è stato molto diverso: la sabbia del deserto in Oman, nella penisola arabica. L’ambasciata svizzera ha infatti chiesto allo street artist franco-svizzero di creare un enorme affresco che celebrasse i 50 anni di partnership tra le due Nazioni.

Carlo Franza 

 

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