“Alberto Martini. Ritratto segreto”. Il libro di Paola Bonifacio per le Edizioni Graphe.it Consideriamolo come il libro-romanzo dell’anno.
Ci sono libri e libri. Oggi, poi, si è invasi all’inverosimile. Ma pochi, pochissimi libri sono storia, perle preziose, fonte di vita, filosofia del mondo. Graphe.it presenta “Alberto Martini. Ritratto segreto” di Paola Bonifacio (pp.260, 2024). E’ il romanzo verità sul grande artista che D’Annunzio chiamava “l’Alberto Martini dei Misteri”, visto attraverso gli occhi della donna che ne fu la più intima testimone, splendida modella e musa: la moglie Maria.
“Buonasera, sono Maria Petringa …/Pronto…Pronto? Parlo con Agnese Colombo della portineria del 38659 di Via Vigoni? / Mi dica! / Ho bisogno di entrare nell’appartamento di mio marito…Lei ha le chiavi? / Signora …Petringa, ha detto? Ma, mi scusi , qui non c’è nessun Petringa/… Ah già, mi perdoni, Petringa è il mio cognome da ragazza. Mio marito si chiamava Martini, Alberto Martini…”. Bene basta questo incipit a svelare l’intrigante, bella, irruente, fantastica e storia luminosa di Alberto Martini, artista insolito, e fuor dal comune. Gabriele D’Annunzio, che ne ammirava le illustrazioni per la Divina Commedia e per i Racconti di Edgar Allan Poe, lo chiamava “Alberto Martini dei Misteri”. E misterioso, oltre che fascinosamente viveur, Martini lo era davvero. Nei ruggenti anni Venti, fu a lungo il ritrattista ufficiale della Marchesa Luisa Casati, l’indomita “opera d’arte vivente”, che ambiva a esibirsi nel Tetiteatro, sorprendente installazione sull’acqua inventata da Martini stesso. Quelli erano gli anni de La regina di Saba, dipinto che suggellava la scandalosa storia d’amore di Wally Toscanini ed Emanuele Castelbarco; e anche gli anni della tempestosa amicizia di Martini con Margherita Sarfatti, finita tra le incomprensioni, ma foriera di un nuovo, promettente inizio. In “Alberto Martini. Ritratto segreto”, Paola Bonifacio ripercorre la vita e l’opera dell’enigmatico e misogino artista opitergino, attraverso i ricordi della sua musa, modella e più fedele ammiratrice: la moglie Maria Petringa. Per la costruzione del romanzo, imprescindibile è stato lo studio dei documenti e dei carteggi provenienti dalla famiglia e dall’archivio dell’artista, conservato a Oderzo; e fondamentale la testimonianza dei famigliari, da cui l’ispirazione è stata tratta.
«La vita», aveva concluso Alberto ispirato, sollevando lo sguardo verso un punto indefinito sopra di lui, «è un sogno a occhi aperti e il sonno un sogno a occhi chiusi falsato dall’incubo della realtà. Per fortuna possiamo sognare a occhi aperti, e in questo tutti si consolano e si riconciliano con la catastrofica realtà… Così, mentre i veri artisti, veggenti divini, rendono sensibile agli uomini il sogno della vita e quello eterno della morte, nelle infinite forme dell’arte della poesia e della musica, gli artisti inferiori rimangono schiavi delle reali apparenze. Chi vive nel sogno è un essere superiore, chi vive nella realtà, uno schiavo infelice».
Alberto Martini, nonostante la sua pregevole e vasta produzione, rimane ancora un artista occulto e poco centrale, continuando ad aggirarsi, come un’anima dannata, tra le zone inesplorate della storia dell’arte. Sarà forse dovuto alla raffinatezza della sua opera, o a quell’estro visionario che lo resero poco appetibile sul suolo italico, più avvezzo ad un simbolismo pallido, dai contorni svenevoli e decadenti. In un’epoca in cui trionfava la retorica di un Sartorio o l’esoterismo provinciale di un Segantini, il simbolismo decadente di Martini rimaneva un fenomeno appartato, elitario, lontano dai clamori di un riconoscimento popolare. Elegante ed altero, bello ed aristocratico, Alberto Martini spese la sua esistenza tra le grandi capitali europee, frequentando gli ambienti all’avanguardia ed il bel mondo, ma rimanendo sempre e solo fedele a sé stesso, estraneo ai più, ignoto ai molti. Egli non badò mai troppo di difendere l’isolamento in cui venne relegata la sua opera, la sua vita fu volutamente avvolta in una nube di mistero, interamente votata ad inseguire i fantasmi della sua mente.
Affascinato da tutto ciò che si celava sotto la superficie del reale, Martini fu l’illustratore più intrigante delle opere di Poe, Verlaine, Baudelaire, Rimbaud e Mallarmé, grandi maestri della surrealtà; la sua materia era l’inchiostro, e la notte era la sua culla naturale.
Martini si tenne per lungo tempo lontano dal colore, la luce che lo guidava era quella che gli apparteneva nell’anima, in bilico tra torbide realtà ed inusuali fantasie. L’anima eletta di Martini si dimostrò più affine alle impalpabili vibrazioni del disegno che alle sinfonie coloristiche dell’arte pittorica.
Oscuro come la produzione che lo rese grande, Alberto Martini vaga ancora nei luoghi nascosti dell’arte, il suo nome volutamente, o per ignoranza, mai pronunciato. Una sorte funesta per chi, come lui, seppe guardare lontano, oltre il suo tempo, anticipando i drammi violenti e brutali generati dal marasma dell’inconscio, e dagli studi che ne seguirono.
“La mia vita è un sogno ad occhi aperti. Il sonno è un sogno ad occhi chiusi falsato dall’incubo della realtà. Sarebbe strano che qualcuno negasse che la realtà è un intempestivo, brutale, mortificante susseguirsi di contrattempi, malintesi, intoppi, cupidigie e miserie, di combinazioni assurde, immorali, criminali, tragiche, stonate sempre e noiose, perchè tutti gli uomini sono vittime di tali imprevedute avventure e ho sempre trovato tanto brutta, incongruente, grottesca e crudele la realtà, e quasi sempre di una comicità così ridicola e banale o di una perversità così ripugnante, che la mia riconciliazione è problematica.”(Alberto Martini). Alberto Martini si spense a Milano, all’Ospedale Fatebenefratelli, l’8 novembre 1954. Lasciò un testamento spirituale, auspicando la nascita di un museo dove custodire le memorie del surrealismo italiano.
“…La grande finestra del mio studio è aperta nella notte. In quel nero rettangolo passano i miei fantasmi e con loro amo conversare. Mi incitano ad essere forte, indomito, eroico, mi sussurrano segreti e misteri che forse ti dirò. Moltissimi non crederanno e me ne duole per loro, perchè chi non ha immaginazione vegeta in pantofole: vita comoda, ma non vita d’artista. Una notte senza stelle, in quel rettangolo nero mi vidi come in uno specchio. Mi vidi pallido, impassibile, la mia anima, pensai, che ora specchia il mio volto nell’infinito e un giorno specchiò chissà quali mie sembianze, perchè se l’anima è eterna non ha nè principio nè fine e noi non siamo ora che un suo differente episodio terreno. E questo pensiero rivelatore mi turbava. […] Mi voltai e vidi posata accanto alla mia mano una grande farfalla notturna che mi guardava battendo le ali. Anche tu, pensai, stai sognando e l’incantesimo dei tuoi immoti occhi di polvere mi vede un fantasma. Sì, notturna e bella visitatrice, sono un sognatore che crede nell’immortalità, o forse un fantasma del sogno eterno che chiamiamo vita.” (Alberto Martini)
PAOLA BONIFACIO, già Conservatrice della Pinacoteca Alberto Martini e referente dell’Archivio dell’artista, quindi Manager dei Musei Civici di Treviso, è specialista in archeologia e storia dell’arte. Autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici di soggetto storico-artistico per la RAI del Friuli Venezia Giulia, cura mostre e pubblicazioni d’arte moderna e contemporanea. E’ membro del Comitato Scientifico di Fondazione Oderzo Cultura.
Carlo Franza