Villa Carlotta rende omaggio a Luisa Albertini, artista poliedrica e protagonista di rilievo del panorama culturale lariano. Durante la sua lunga attività ha sperimentato diverse tecniche, tutte ben rappresentate dalla selezione di opere scelte per “Luisa Albertini, giorno per giorno. Segni Forme Colori”, dal 21 settembre all’8 dicembre 2024 allestita a Villa Carlotta. L’inaugurazione  il 21 settembre alle 11.30.

Al centro della mostra, curata da Elena Di Raddo, Darko Pandakovic e Maria Angela Previtera, ci sono gli arazzi e i gioielli disegnati e realizzati dell’artista comasca tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80 del secolo scorso, affiancati da alcuni esemplari di smalti su rame, legni dipinti, acrilici su tela.

Oltre cinquanta opere in totale a cui se ne aggiungono altre sessanta fra disegni preparatori e schizzi.

Ciascuno dei nove spazi, scanditi nella Galleria di Villa Carlotta, accoglie opere tra loro affini per forme, colori, espressività prevalenti, suggerendo una sequenza, un tono in cui il visitatore può ritrovare collegamenti, ricerca di senso, livello di concentrazione ed emozione. L’idea si esprime a diverse scale grafiche: alcuni piccoli disegni, come un seme, contengono lo sviluppo del grande arazzo esposto.

Forme e colori incontenibili, che nascono dalla fascinazione di Luisa Albertini per il mondo del simbolico, dell’originario e delle antiche civiltà primitive. I soggetti delle opere rivelano suggestioni tratte dai suoi numerosi interessi, sia della storia dell’arte che dell’artigianato e della cultura popolare.

L’immaginazione e il sogno, le forze oscure e misteriose della realtà sono ambiti per lei estremamente importanti, da interpretare nell’arte ma anche da studiare attraverso le letture di Carl Gustav Jung, Claude Lévi-Strauss, Georges Poulet, Erich Fromm. Gli “arazzi”, come li definisce la stessa artista, non sono in realtà lavori basati su trama e ordito, ma intarsi, quindi assemblaggi di materiali tessili (canapa, lino, juta, cotone o panno).

L’aspetto volutamente grezzo, in particolare nei primi lavori, prevede l’utilizzo di pezzi di stoffa uniti insieme in modo tale da lasciare palesemente in vista le cuciture, affidando l’armonia dell’effetto complessivo alle forme curvilinee e soprattutto ai colori sgargianti, ma perfettamente equilibrati nelle tonalità.

Nei soggetti, oltre all’Africa, Albertini guarda ai popoli dell’America Latina, certamente a quello azteco, ma più in generale alle antiche civiltà indigene del Sudamerica, dal Perù all’Amazzonia, che nei loro tessuti per l’abbigliamento (tejidos e ponchos) hanno rielaborato gli originari motivi tratti dalla tradizione, ancora visibili sui reperti archeologici, in varianti zoomorfe, antropomorfe o astratte. Simboli apotropaici, forme semplificate di animali e vegetali, anche negli arazzi apparentemente solari, simboleggiano le paure e la forza prorompente della natura, che vengono mischiati sincreticamente, come faceva Paul Gauguin, a simboli religiosi e culturali occidentali.

Protagonista assoluto del suo immaginario è però la creatura umana, uomo e donna, disegnata con una linea piatta, e sintetizzata nelle teste, frontali e più spesso di profilo, da cui partono direttamente le braccia e le mani, come nelle opere metamorfiche di Pablo Picasso.

Questi stessi motivi vengono interpretati anche nei gioielli, realizzati in materiali poveri, ma artigianalmente trattati con perizia per risaltarne la texture e il colore: rame smaltato, argento, alpacca, ottone argentato. Il mondo degli archetipi junghiani, la magia dei simboli astrali, dell’astrologia e degli idoli, delle maschere e dei feticci primitivi sono indubbiamente quello in cui nascono le “creature”, le figure di cui sono popolati gli arazzi, i gioielli e in seguito la pittura di Luisa Albertini. Creature con cui Luisa conviveva nel suo studio, a cui dava vita e che chiamava persino per nome.

Luisa Albertini nasce a Como nel 1918. La sua lunga attività artistica, tra gli anni Trenta del Novecento e i primi del Duemila, incrocia numerose tecniche. Le prime opere sono studi ‒ ritratti e disegni dal vero ‒ e lavori grafici. Nel 1951 presenta alla IX Triennale terrecotte smaltate. Nel 1955 Mario Radice commenta in modo lusinghiero una serie di suoi acquerelli in mostra a Como. Nel 1959 alla Galleria Barbaroux di Milano espone opere a smalto su rame e bronzo, tecnica che usa anche per produrre oggetti domestici. Il momento centrale della sua vita artistica è tra gli anni Settanta e gli anni Novanta: realizza arazzi, legni dipinti, sculture in metallo e gioielli. Numerose le sue personali: alle gallerie La Colonna, Libera Parini, Atrio di Como, alla Mosaico di Chiasso, a Il Gabbiano di La Spezia e Ferrari di Brescia. Esegue anche una serie di acqueforti e acquetinte. Nell’ultima fase della sua attività si dedica alla pittura su tela e su tavola, tema della personale comasca del 2003. Nel 2016 sue opere sono esposte alla Triennale di Milano nella rassegna W. Women in Italian Design e nel 2022, a Como, in Astratte. Donne e astrazione in Italia 1930-2000. Scompare a Como nel 2018.

Carlo Franza 

 

 

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