lancio-verIl meglio di due grandi collezioni private, unito per offrire a Monza, in Villa Reale ( fino  al 2 giugno 2020 ), un viaggio iniziatico in Giappone, paese la cui cultura Yoshu Chinkanobu, Passatempi di beltà femminili in un giorno nevoso, trittico di xilografie policrome in formato oban, 35,5x70,5 cm, firmata Il pennello di Yoshu Chikanobu, 1838-1912-3-2e le cui arti affascinano da sempre, per grandissima varietà e raffinatezza.  Il percorso espositivo, messo a punto da Francesco Morena, propone uno spaccato delle arti tradizionali dell’arcipelago estremo-orientale attraverso una precisa selezione di opere databili tra il XIV e il XX secolo, tutte provenienti dalla raccolta di Valter Guarnieri, collezionista trevigiano con una grande passione per l’Asia orientale, alle quali si uniscono, in questa speciale occasione, alcuni kimono della raccolta di Lydia Manavello, collezionista trevigiana esperta conoscitrice di tessuti asiatici. La mostra è prodotta da Artika, con il Patrocinio del Comune di Monza. Il percorso si sviluppa per isole tematiche, approfondendo numerosi aspetti relativi ai costumi e alle attività tradizionali del popolo giapponese.
La parte centrale dell’esposizione non poteva che essere dedicata al binomio Geisha e Samurai. Il Giappone tradizionale è infatti un paese popolato di bellissime donne, le geisha, e audaci guerrieri, i samurai. La classe militare ha dominato il paese del Sol Levante per lunghissimo tempo, dal XII alla metà del XIX secolo, imponendo il proprio volere politico ed elaborando una cultura molto raffinata la cui eco si avverte ancora oggi in molti ambiti. La geisha, o più in generale la beltà femminile così come la intendiMostre: il Giappone alla villa Reale di Monzaamo noi (volto ovale cosparso di cipria bianca, abiti elegantissimi e modi cadenzati), ha rappresentato per il Giappone un topos culturale altrettanto radicato, dalle coltissime dame di corte del periodo Heian (794-1185) alle cortigiane vissute tra XVII e XIX secolo, così ben immortalate da Kitagawa Utamaro (1753-1806), il pittore che meglio di ogni altro ha restituito la vivacità dei quartieri dei piaceri di Edo (attuale Tokyo). Dal mondo degli uomini a quello, affollatissimo, degli dei, sintesi di credenze autoctone e influenze provenienti dal continente asiatico. Il Buddhismo, in particolare, di origini indiane, è giunto nell’arcipelago per tramite di Cina e Corea. Esso ha permeato profondamente il pensiero giapponese, soprattutto nella sua giaooivariante dello Zen, che in questa sezione è testimoniata da un gruppo di dipinti nel formato del rotolo verticale raffiguranti Daruma, il mitico fondatore di questa setta. Questo affascinante avvicinamento all’arte e alla cultura nipponica continua introducendo alla quotidianità del suo popolo: dalle attività di intrattenimento come il teatro Kabuki, dall’utilizzo del kimono alla predilezione degli artisti giapponesi per la micro-scultura. Di quest’ultima troviamo esempio nel nucleo di accessori legati al consumo del fumo di tabacco.
Di grande fascino è la presenza lungo il percorso espositivo di un certo numero di kimono dalla Collezione Manavello, alcuni disseminati tra le sale, altri esposti in un unico salone in un allestimento piuttosto spettacolare che vuole dare giusto rilievo a questi notevoli manufatti artistici. Una sezione della mostra è riservata al rapporto tra i giapponesi e la natura, che nello Shintoismo, la dottrina filosofica e religiosa autoctona dell’arcipelago, è espressione della divinità. Questa relazione privilegiata con la Natura viene qui indagata attraverso una serie di dipinti su rotolo verticale, parte Tigre e cucciolo, paraventodei quali realizzati tra Otto e Novecento, agli albori del Giappone moderno. A metà dell’Ottocento, dopo oltre due secoli di consapevole isolamento, il paese decise di aprirsi al mondo. Così, nel volgere di pochi decenni, il Giappone avanzò con convinzione verso la modernità. Intanto europei e statunitensi cominciarono ad apprezzare le arti sopraffini di quel popolo e molti giunsero a scoprire il mitico arcipelago. Il mutato scenario portò così molti artisti ad adottare tecniche e stili stranieri, e molti artigiani a produrre opere esplicitamente destinate agli acquirenti forestieri.
Tra le forme d’arte inedite per il Giappone di quei tempi, la fotografia d’autore occupava senz’altro un posto d’elezione. Gli stranieri che visitavano l’arcipelago molto spesso acquistavano fotografie per serbare e condividere un ricordo di quel paese misterioso e bellissimo. È il caso dello sconosciuto che ha acquisito il nucleo esposto in mostra, il quale ha annotato in lingua spagnola, a margine delle fotografie, le descrizioni dei luoghi e delle attività raffigurate nei suoi scatti. L’ultima sala è riservata ad una delle forme d’arte più complesse e insieme più affascinanti del Giappone, la scrittura. Grandi paraventi ornati di potenti calligrafie concludono l’esaltante percorso espositivo.

Carlo Franza

 

 

 

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