Man Ray. Modelle ed erotismo negli scatti dell’artista americano vissuto a Parigi e tra i fondatori del Dadaismo.
LaFondazione Marconi che fa capo a Giorgio Marconi possiede una delle più importanti collezioni di Man Ray. E’ da qui che nasce la mostra “Man Ray. Models” in occasione della recente pubblicazione dell’omonimo volume edito insieme a Carlo Cambi Editore, fedele riproduzione di un Album fotografico realizzato dallo stesso Man Ray. La mostra odierna lascia vedere le fotografie originali che l’artista ha scattato tra il 1920 e il 1940 alle modelle che frequentava e che poi ha raccolto in un Album come ricordo delle stesse modelle e della loro partecipazione al lavoro fotografico da lui svolto in quegli anni. L’Album contiene 83 fotografie, tutte presenti in mostra nella loro versione originale, in cui l’artista, alla ricerca dell’attimo fuggente, riunisce i suoi ricordi più preziosi, dando vita ad una specie di diario o di antologia amorosa. La scelta rigorosa tra i moltissimi scatti realizzati in quegli anni attribuisce alla raccolta il senso più intimo e autobiografico. L’obiettivo di Man Ray si sofferma su volti, capigliature, sguardi, dettagli che svelano il corpo e i suoi segreti, danzatrici africane che allietano le notti di un’esotica Parigi, ballerine anonime con nomi di vegetali (Cavolo, Porro, Lattuga, Barbabietola, Peperoncino…); donne dal corpo perfetto divenute celebri, come Kiki di Montparnasse (Alice Ernestine Prin), detta regina di Montparnasse che figura in “La preghiera”; la pittrice Meret Elizabeth Oppenheim; l’affascinante modella Natasha, che fu anche assistente dell’artista; la bellezza convulsiva di Lee (Elizabeth) Miller e ancora, Nusch, moglie del poeta Paul Eluard. La mostra ripercorre così, attraverso le immagini di Man Ray, una miriade di bellezze eteree o selvagge, corpi anonimi e fanciulle in fiore, che rappresentano di fatto il ritratto di un’epoca con i suoi gusti, le sue inclinazioni, la sua atmosfera: il mondo in una scatola. Nel 1928 Man Ray scrive: “La fotografia è un’arte. Non ci si dovrebbe porre questa domanda. L’arte è superata. Ci vuole qualcos’altro. Dobbiamo guardar lavorare la luce: E’ la luce che crea. Io mi seggo dinanzi al mio foglio di carta sensibile e penso”.
Carlo Franza