Rivolta nel Ministero dei Beni Culturali. Bocciata la Riforma. Tutti contro il ministro Bray che tratta lo Stato come un partito politico.
Solo qualche tempo fa avevamo scritto che il Ministero dei Beni Culturali andavo abolito, e non perchè in Italia non ci siano Beni Culturali, ma perchè spesso il Ministro preposto, e oggi è il caso del ministro Bray, non utilizza a fondo e bene risorse interne. Ora al Ministero è in corso una rivolta vera e propria e mentre stiamo scrivendo c’è in sit-in in corso con lettere spedite al Presidente del Consiglio e al Presidente della Repubblica. In sostanza i problemi che adesso enunceremo sono tanti, ma la miccia è stata accesa con la nomina del soprintendente a Pompei, che non è un dirigente del Ministero, ma un esterno, un certo Prof. Massimo Osanna, un archeologo che si dà il caso non ha affatto competenze pompeianistiche, nonostante Bray in Senato falsamente abbia attestato avere lo studioso «un curriculum particolarmente ricco proprio riguardo agli studi archeologici sul mondo di Pompei». Sorpresa: a scorrere l’elenco delle pubblicazioni dell’ archeologo sul sito dell’Ateneo della Basilicata nel quale esercita, Pompei, Ercolano e Stabia non vengono mai citate. E’ il classico caso di chi vuole il controllo politico anche in fatto di cultura e di arte. Invece più di una disposizione di legge (dal Dlgs. 165/2001 al Dm. 16 maggio 2007, passando per la L. 135/2012 sulla spending review) impedisce a un’amministrazione pubblica di cercare le professionalità di cui necessita al di fuori della cerchia dei propri dipendenti, se ci sono tra i propri addetti candidature interne o comunque profili abilitati a svolgere quelle stesse mansioni. Così, la nomina di Osanna, docente di Archeologia dell’Università della Basilicata, sarebbe inficiata dalle candidature interne dei soprintendenti Teresa Elena Cinquantaquattro, Adele Campanelli e Mario Pagano, tutti e tre dipendenti del ministero. E dire che ci sono illustri precedenti,come la nomina di Vittorio Sgarbi a soprintendente del polo museale di Venezia (correva l’anno 2010), per ben sei volte bocciata dalla Corte dei Conti, fatto che creò non pochi imbarazzi all’allora ministro dei Beni culturali Sandro Bondi che, travolto dalle polemiche, di lì a poco si dimise. Ma il ministro di fede dalemiana va in giro con una maglietta sulla quale è stampata la scritta “io non ho paura”; riteniamo invece che qualora non volesse dimettersi, ci penserà Matteo Renzi a sgambettarlo insieme ai renziani fra cui Andrea Marcucci, ex sottosegretario, presidente della Commissione Beni Culturali del Senato. C’è di più, in questi giorni, forse oggi, la riforma del Ministero dei Beni Culturali approda in Consiglio dei Ministri. Pessima riforma, orribile e nefanda perchè porta il nome di Bray –molto esperto in tarantate, ovvero in balli salentini- che non ha voluto sentire i suoi più stretti collaboratori, la truppa dei dirigenti del ministero. La Riforma è blindata.
Assente lo spending rewiew che serviva a snellire l’apparato centrale del ministero. Tant’è che le direzioni generali non diminuiscono di numero ma aumentano quelle burocratiche. Non soppressa la direzione generale della valorizzazione -accorpata all’innovazione- ma quella dell’archeologia. Il nesso con Pompei si chiarisce tutto. L’archeologia passa sotto la direzione per il paesaggio e il patrimonio storico-artistico, e guarda caso non è neppure indicato il proprio nome nella dicitura dell’ufficio. Unificate talune direzioni regionali:la Basilicata con la Puglia, l’Umbria con le Marche, l’Abruzzo con il Molise, la Liguria con il Piemonte (ingestibile! Sic!), e alle direzioni vengono tolti poteri che vengono dati alle soprintendenze. Autonomia agli Archivi di Stato, che invece andrebbero tenuti sotto controllo per certi giri di spese. Creato un Ufficio di pianificazione degli obiettivi, che a detta della Bianchi Bandinelli “assume le funzioni di controllo politico e di supervisione dell’ amministrazione (ruolo inquietante)” producendo “ dei livelli di potere in contrasto con la necessità di svolgere adeguatamente i compiti costituzionali”. Creato ancora un Ufficio unico per la comunicazione , e guarda caso proprio alla luce dell’Italia in sfacelo, invasa dalle acque, e con i territori che si sfaldano, assente la “Direzione generale per il Paesaggio e la Pianificazione paesaggistica”,ovvero proprio quello che si chiede da anni e che le calamità di questi giorni hanno messo in evidenza.
Ora un ministro così andrebbe esaminato e bocciato subito dopo talune domande. Ancora contestato “il settore dell’arte e dell’architettura contemporanea” infilato, pensate, nella Direzione Generale dello Spettacolo, che sovrintende anche al patrimonio immateriale, ovvero sagre, riti, feste e tarantate… settore quest’ultimo che dovrebbe far parte dell’etnografia e delle tradizioni popolari, agganciate alla direzione del patrimonio storico- artistico, diretto da quel potentissimo Salvo Nastasi. Una riforma minestrone che non evidenzia competenze ma frutta e fa fruttare passacarte e uscieri. Così non può crescere l’Italia, d’altronde cosa c’entra la Direzione Spettacolo con il “Contemporaneo”? Ma si sa, dicevano i latini “Asinus caput ne laves nitro”, se lavi la testa all’asino perdi il sapone. Potrà mai l’Italia salvare così i suoi Beni Culturali? Mai.
Carlo Franza