L’arte di Armando Marrocco in un perimetro di fuoco e di bellezza. A Milano la mostra dell’ultimo sciamano capace di esprimere un sentimento cosmico.
Ci sono artisti che hanno messo in piedi la loro storia con una passione unica e irripetibile. Fra questi, Armando Marrocco (Galatina,1939) a Milano fin dagli anni Sessanta quando, ancorchè giovanissimo e apprezzato da Lucio Fontana, potè districarsi attraverso tutti quegli svolgimenti nuovi che caratterizzarono gli anni fino all’Ottanta, con ricerche, movimenti, gruppi, esperienze, ovvero dallo spazialismo al focus informale, dall’arte programmata al cinetismo, al minimalismo, fino alle culture primitive cui l’artista italiano ha voluto centrare parte del suo lavoro, inseguendo “visioni”, colori soffici e tonali capaci di esprimere un sentimento cosmico, e il dialogo sensibile con il colore e la superficie, spesso polimaterica o monocroma. Ora una mostra di significativa valenza è in corso alla Galleria Il Castello di Via Brera a Milano dal titolo “Mediterranei/Intrecci/ Dimore”, ovvero 15 opere che segnano e contraddistinguono tre periodi diversi dell’intensa produzione artistica di Marrocco , e che datano dal Sessanta ai nostri giorni. Le opere che rappresentano il ciclo delle “dimore” si appellano al clima culturale salentino, luogo natale dell’artista. Queste sorprendono per i ricordi, le memorie, i luoghi evocativi delle architetture contadine, e la stessa natura percepita sfora l’esaltazione del personale e del soggettivo per farsi testimonianza di una sensitività delicata e fluida. La pittura specie con le stoffe si istituisce sì come sequenza di gesti umani, ma diventa identità ideografica piena di candore manuale e artigianale. Qui nelle “dimore” le pareti salentine dipinte in caratteristici lavori informali, dove i colori si espandono nello spazio in un “tutto” frontale, paiono uscire dai versi di Vittorio Bodini o di Girolamo Comi. E laddove per ciò si è parlato di “ultimo sciamano”, è tanto vero che arte e realtà si traducono in un continuo scambio di energia tra opera e spettatore. Ogni rito tocca tracce naturali sicchè tutto viene riorganizzato in fatto magico e meraviglioso. Anche gli “intrecci” sono costruiti con un linguaggio astratto e filosofico, e con la loro movimentazione programmata nello spazio offrono il passaggio da uno spazio energetico potenziale a un’articolazione della superficie, sono in relazione ottico-fisica con l’ambiente. Le fasce si muovono in un dinamismo di volumetria spaziale procurando una ricerca di dialettica concreta con lo spazio-luce. I “mediterranei” che sono lavori polimaterici a spinta informale raccolgono ricordi della loro sostanza naturale, divengono corpi astratti dei quali si intuisce la carica di magia e di quasi esorcismo. Con essi Marrocco semplifica e stilizza, coinvolge la sua visione metafisica del mondo e delle cose e fa risorgere il valore mitico ed orfico dell’arte. Ma tutta l’arte di Armando Marrocco, di uomo antico che vive in una metropoli come Milano, manifesta le possibilità di una cultura arcaica; la sua sensazione mitologica si esprime con precisione riflessioni sulla vita ed orchestra ampiamente, anche oggigiorno, un sentire leggendario carico di pathos, un linguaggio come libertà astratta e filosofica, un territorio che è perimetro di fuoco e di bellezza. Vi dirò che è un artista su cui appuntare lo sguardo, perchè investire sulla sua arte vuol dire avere sottomano tutto il suo sapere e il suo agire di anni in cui l’arte italiana ha inseguito non solo una ricerca dello spazio, ma soprattutto la tangibile e poetica alchimia del colore.
Carlo Franza