Lo scultore Alberto Giacometti fra solitudine e angoscia. Alla Galleria Borghese di Roma i capolavori di questo grande maestro del Novecento.
La Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma, diretta da Daniela Porro, presentano all’interno delle sale della Galleria Borghese, diretta da Anna Coliva, la mostra dello scultore svizzero Alberto Giacometti (Borgonovo di Stampa 1901- Coira 1996) dal titolo “Giacometti. La Scultura.” Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica la mostra è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e organizzata e prodotta da Arthemisia Group. Curata da Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese, e da Christian Klemm, illustre studioso dell’opera di Giacometti e realizzatore delle monografie più importanti sull’artista, l’esposizione ha portato nella Città Eterna l’arte indiscussa e drammatica di uno dei più grandi artisti del ‘900.
La Villa Pinciana, nobile scenario d’incredibili capolavori di ogni tempo è, per definizione, soprattutto il luogo della scultura, grazie alla presenza nella collezione di eccezionali esempi statuari che attraversano l’epoca greco-romana, il Rinascimento, il Barocco e il Neoclassicismo e celebrare il maestro della scultura contemporanea, Alberto Giacometti, mettendolo a confronto con i geni della scultura barocca e neoclassica, Bernini e Canova. La meta di questo viaggio attraverso i secoli è l’interpretazione statuaria della figura umana nel XX secolo, che si concretizza nell’arte di uno dei più grandi del ‘900, Alberto Giacometti. Il desiderio di raccontare la tragicità della scultura moderna a confronto con la classicità del passato è stata dettata da una riflessione sulla poetica di Giacometti, fortemente emblematica di un secolo che vede grandi sconvolgimenti politici, storici e culturali. I curatori della mostra hanno voluto raccontare attraverso il percorso come la visione dell’artista sia un continuum della rappresentazione dell’uomo nel tempo. La mostra dunque è occasione per raccontare l’artista – visionario, onirico e surrealista, fautore di un segno indelebile nell’arte – e soprattutto far vedere la sua opera in dialogo con i capolavori della Galleria: le forme sinuose e bianche della “Femme couchée qui rêve” (1929) in cui si scorgono quelle della Paolina di Canova (1805/1808), il cui volto è riflesso, sull’altro lato, nella “Tête qui regarde” (1928); il passo pesante dell’ “Homme qui marche” (1947), in cui risuona l’eco del passo affaticato di Enea sotto il peso del padre Anchise in fuga da Troia (1619); la “Femme qui marche” (1932/1936), nera e misteriosa come le sfingi di basalto della Sala egizia; l’equilibrio instabile dell’ “Homme qui chavire” (1950), fuori asse e pronto a perdere l’equilibrio come il David di Bernini (1623/1624). Anna Coliva, direttore della Galleria Borghese,spiega che “Non è un confronto, è immettere l’unico secolo mancante della scultura all’interno del museo della scultura per eccellenza e vedere l’effetto”.Nelle sale della Galleria le sculture sembrano le protagoniste di una scena di teatro: da un lato le figure armoniose del Bernini come il David o Apollo e Dafne, o ancora la sensualità della Paolina Borghese del Canova e dall’altro le figure esili e stilizzate di Giacometti. “Facciamo vedere in pratica – conclude Coliva – come se fosse su un teatro la differenza tra la scultura antica fino ad arrivare all’ 800 e la scultura moderna”.”Giacometti ha dato un nuovo impulso all’evoluzione della scultura del 20esimo secolo nel corso della sua fase surrealista – aggiunge Christian Klemm, responsabile della mostra – possiamo dire che ha un nuovo concetto della scultura come oggetto”. Tra le 40 opere esposte, bronzi, gessi e disegni innescano nel contesto della Galleria l’energia bruciante dell’arte di Giacometti, che indaga la profondità vitale dei soggetti, scavandone l’anima fino a “ridurre all’osso” la figura umana: questa la tragica modernità trasmessa al visitatore che percepirà l’alone volumetrico e la drammatica cornice immateriale dell’artista svizzero. E se i grandi artisti del passato sublimavano con l’armonia delle forme la bellezza umana, Giacometti cercò l’anima nei suoi soggetti, riducendoli a un essenziale che, forse, ha trovato il massimo compimento nella sua opera più celebre: “l’uomo che cammina (L’homme qui marche)” venduta nel febbraio 2010 all’asta da Sotheby’s per circa 75 milioni di euro. E’ certo che Giacometti respirò l’aria del suo e del nostro tempo, quella filosofia esistenziale che da Jaspers a Sartre significò all’uomo, nel Novecento, solitudine e angoscia.
Carlo Franza