Il Politecnico di Milano abolisce la lingua italiana. Svolta epocale, perchè dopo l’inglese parleremo arabo.
Il Politecnico di Milano non figura più fra le università italiane, grazie alla delibera del senato accademico che ha approvato nel maggio 2012 di tenere dall’anno accademico 2014-2015 tutti i corsi delle lauree magistrali in lingua inglese. Addio lingua italiana, è l’addio a uno dei pilastri della nazione, ovvero la lingua, che con territorio e popolo sono il presupposto di quel che nacque nel 1860-61. E dire che il Tar Lombardia nel maggio 2013 ha accolto il ricorso presentato da ben 150 professori contro il provvedimento voluto dal rettore Giovanni Azzone. Ma l’università ha fatto ricorso al Consiglio di Stato il cui pronunciamento avverrà non prima di novembre 2014 , e nel frattempo l’operazione Azzone è partita. Il Tar aveva sentenziato: “le scelte dell’università sproporzionate perchè comprimono le libertà, costituzionalmente riconosciute, di docenti e studenti”. E dire che l’attuale ministra, prima della nomina ministeriale quand’era presidente della Società italiana di glottologia, aveva firmato anche una lettera in cui sottolineava “con rammarico e viva preoccupazione il persistere della linea di progressiva emarginazione e di abbandono dell’italiano nei gradi alti della formazione universitaria”. E’ una vergogna di stato. C’è da dire povera Italia, prima hanno svenduto l’ economia e la lira, adesso tocca alla cultura e all’istruzione. Dall’anno accademico 2014-2015 nelle aule del Politecnico di Milano si parlerà in inglese. Studenti e docenti del biennio finale e dei dottorati, terranno e seguiranno lezioni nella lingua di Shakespeare, non più in quella di Dante. La svolta è di quelle epocali. Sapete come si giustifica il rettore? “ Mi viene in mente il periodo in cui ai francesi era stato imposto di chiamare il computer “ordinateur”. Ora in Francia tutto parlano di pc”. Ma una cosa è un termine, un’altra cosa è abolire la nostra lingua. Vedrete che dopo l’inglese parleremo arabo. E’ il caso di migrare, direbbe ancora D’Annunzio.
Carlo Franza