Una supermostra è quella che la Galleria Blu di Milano ha voluto mettere in piedi, dedicata a Remo Bianco(1922-1988), il ricercatore solitario, lo spazialista dei tableaux dorès, “il fanciullino” che guardò il mondo e il quotidiano con occhi sorpresi. Un artista non ancora fortemente studiato e storicizzato, ma che ha avuto intuizioni sorprendenti, genialità, poesia e grazia, misura e sensibilità delle forme e del colore. Tra le varie mostre che io stesso ho curato per Remo Bianco amo citare l’ultima al Maga Museo di Gallarate con mio testo in catalogo nel 1996; e non sono pochi gli scritti passati a mia firma negli anni trascorsi su “Il Giornale”. Remo Bianchi (in arte Remo Bianco) nasce a Dergano, nella periferia milanese il 3 giugno 1922. Nel 1937, dopo aver praticato diversi mestieri per mantenersi, si iscrive ai corsi serali di disegno all’Accademia di Brera. Qui, nel 1939,è notato da Filippo De Pisis, che diverrà il suo maestro. Durante la seconda guerra mondiale è arruolato nel 1941 e, in seguito all’affondamento del cacciatorpediniere su cui opera, è salvato dagli inglesi e internato a Tunisi. Di nuovo a Milano nel 1944 riprende la scuola di disegno e i contatti con De Pisis. Il suo percorso artistico si muove da un postimpressionismo che risente di Rouault, del primo Cézanne e di Picasso, poi passa ad impronte in gesso (di oggetti d’uso, ma anche di segni e di tracce), sfiora lo Spazialismo e realizza opere che definisce “nucleari”. Materiali diversi – dalle pietre alle plastiche – entrano nei suoi lavori e, passando attraverso vari Premi, approda con la sua prima personale alla Galleria del Cavallino di Venezia nel 1952. In questi anni si vanno sempre più qualificando le opere 3D, lavori a rilievo cui l’artista ha iniziato a lavorare negli anni Quaranta e che ora si complicano, con l’uso di materiali diversi, fino a collocarsi in una posizione di confine tra quadri e sculture. Sostenuto da un collezionista nel 1955 va a New York (ma visita anche Chicago e la Florida) e ha incontri fondamentali con le opere di Burri, Marca-Relli, Kline e Pollock. Tornato a Milano riprende le sue Impronte e dopo aver sperimentato il Collage inaugura il ciclo dei Tableaux dorés su cui interviene con foglia d’oro.

Viaggia in Europa e poi realizza impronte del suo intero corpo. Sperimenta poi un gel particolare, il Sephadex, che userà a lungo. Studia anche delle sculture immateriali, delle sculture odorifere, delle sculture mosse dal vento o dai passi degli spettatori, e realizza le Sculture Instabili (1960), incentrate sul tema del movimento. È una continua invenzione. Ecco le opere condizionanti, poi le Impronte viventi, quindi le appropriazioni da cui vengono le Sculture Neve e le Sculture Calde.Dai “dipinti dorati” la foglia d’oro si espande andando a sovrapporsi, per frammenti quadrati, a foto tratte da giornali o riviste e a riproduzioni di opere. Dal 1970 ecco l’Arte elementare poi il ciclo della Gioia di Vivere, che si alterna a installazioni e a performance. A Parigi nel 1974, si “appropria” del Café “La coupole” dove va ad applicare qua e là sui manifesti delle mostre parigine le sue foglie d’oro. A Parigi la sua fama si consolida grazie ai contatti e ai buoni uffici di Pierre Restany e alle esposizioni presentate dalla Galerie Lara Vincy. Una mostra retrospettiva è proposta nel 1977 a Roma e più tardi, nel 1983, al Museo delle Albere di Trento è raccolta una antologia della sua produzione. Muore a Milano nel 1988. La biografia di Remo Bianco illustra bene la sua vivacità creativa, una vivacità che lo porta a sperimentare in continuazione. In piena originalità: “sono un ricercatore solitario” dirà di sé. E mentre da una parte, attraverso le impronte, rilegge le forme per frammenti, dall’altra scopre l’assolutezza dell’oro, colore non colore, che declinerà nei modi più diversi, ora come superficie su cui scandire segni elementari che generano ritmi leggeri e musiche silenziose e suggestive. Rilevanti per comprendere il suo percorso sono le opere 3D, in cui le immagini sovrapposte, su supporti plastici trasparenti, su vetro, su legno, su lamiera e su plexigas, vanno a creare interessanti effetti tridimensionali. Questa rassegna alla Galleria Blu ripercorre con opere emblematiche il percorso creativo di questo ricercatore originale, profondo e segreto, passando attraverso i momenti cruciali: dal “nucleare” alle opere 3D,dalle “impronte” ai “collage”,dai “tableaux dorès” all’arte elementare e al ciclo “Gioia di vivere”. Ai collezionisti c’è da dire che Remo Bianco è uno di quegli artisti su cui vale la pena investire, occorre averlo in collezione, perchè nei prossimi anni le sue quotazioni saliranno di molto. Parola di storico.

Carlo Franza

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