Riceviamo e pubblichiamo:

In relazione all’articolo in questione, si precisa che lo spostamento, nella cappella del Santissimo collocata a fianco dell’Altare maggiore, del Cristo in bronzo e dei bassorilievi, raffiguranti i quattro evangelisti, si è reso necessario a causa dell’appurato rischio di cedimento della parete sulla quale era appeso il suddetto corpo statuario.

Sulla predetta parete  è stata applicata una tela di stile bizantino, dipinta dal maestro Kwnstantinos  Xenopoulos, docente presso l’ Università “Aristotele” di Salonicco.

Le modifiche apportate sono state previamente assentite dal Vescovo, che ha altresì presieduto il rito di benedizione della tela, e dai competenti Uffici Diocesani, nonché condivise con la comunità parrocchiale.      

Tanto per amore di verità.

Il Parroco

Sac. Luca de Santis

A  Corsano in provincia di Lecce, ovvero nel Salento – che oggi va tanto di moda-  nella terra della pizzica e dell’evento de “La notte della Taranta”(strategie della sinistra più antiquata), l’arte sacra contemporanea è stata sfrattata ad opera di un giovane parroco, un certo Don Luca De Santis, che per quanto da poco abbia finito gli studi nel Seminario di Molfetta per essere poi ordinato sacerdote , pare sia  un po’ troppo povero di idee, di cultura  e di futuro. Sull’arte sacra contemporanea è un autentico somaro.  In quanto, appena  è stato insediato parroco dal vescovo locale un certo Mons. Vito Angiuli (di origini baresi e catapultato a Santa Maria di Leuca) ha pensato di essere il barone del paese e poter disporre della Chiesa di San Biagio a suo piacimento senza neppure chiedersi chi avesse fatta erigere quella nuova chiesa, chi l’avesse voluta così e quale  artista – in accordo con la Conferenza episcopale italiana- fosse stato chiamato per l’arredo
interno, un arredo di grande prestigio ad opera dello scultore Armando
Marrocco, di origini salentine, ma vivente a Milano.
Ebbene questo Don Luca
De Santis, ha smantellato la sacra installazione di Armando Marrocco che aveva
pensato nel 1990 a “costruire artisticamente il presbiterio”  con altare, ambone, seggi, crocifisso  e i simboli dei 4 evangelisti  con materiali  quali la pietra leccese, il marmo, il bronzo e la pelle. Ne andava fiero persino il parroco precedente Don Gerardo Antonazzo, poi vicario e amministratore apostolico della Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca e   oggi Vescovo di Sora nel Lazio. Ecco come  appariva la Chiesa fino a qualche tempo fa, anzi fino a pochi mesi fa.

 

La Chiesa parrocchiale di Corsano, dedicata al Santo protettore San Biagio, è stata progettata dall’Ing. Francesco Sansonetti e dall’Arch.
Fernando Barbaliscia ed è stata realizzata dalla Ditta Orlando Biagio di
Corsano. L’inaugurazione della Chiesa avvenne il 19 marzo 1967 alla presenza degli onorevoli Codacci-Pisanelli, Ferrari, Urso, Imperiale, del vicario generale mons. Antonio De Vitis, di mons. Rosario, di S.E. mons. Giuseppe Ruotolo, vescovo di Ugento, e del Parroco del paese don Ernesto Valiani.
Moderna di concezione e di esecuzione, ha una struttura cementizia che poggia su sei pilastri situati ai vertici dell’esagono centrale. La Chiesa, infatti, è stata costruita su due volumi: il primo, più basso, a forma di pentagono irregolare al cui centro si innesta il secondo, molto più alto e di forma esagonale. All’interno della struttura vi sono tre altari: l’altare centrale, sul quale vengono svolte le funzioni religiose, uno dedicato al protettore S. Biagio e un altro al SS. Sacramento. All’esterno della Chiesa, di fronte ad una piazza di ca 600 mq, domina maestoso il campanile alto ben 30 metri. L’interno della Chiesa è costituito da un ambiente molto ampio reso inquietante dalle misteriose presenze buone dell’abside: i simboli dei quattro evangelisti, infatti, dominano l’altare maggiore portando l’annuncio del Vangelo a tutte le genti fino ai confini del mondo e hanno la coscienza che ora tutto è compiuto. Entrando nella Chiesa si viene coinvolti da un senso di serenità e di pace dato dalIe linee precise, i volumi reali, la materia povera o preziosa. Sul fondo chiaro, quasi trasparente di un infinito siderale, l’angelo di Matteo, l’aquila di Giovanni, il leone di Marco e il bue di Luca creano geometriche orbite, lasciando al centro la croce chiara di pietra leccese scolpita nel muro ricurvo come in un abbraccio al mondo. Sulla croce l’ombra del Cristo, che incede vivo e risorto, sembra volare a braccia aperte, gigante di bronzo dal velo d’oro. Del sacrificio cruento che redense l’uomo peccatore e trionfante, sconfiggendo il regno della morte, vi sono tracce sul presbiterio, ove la cattedra vescovile e gli scranni bronzei si fanno legno, in una sobrietà di linea monastico-cluniacense. La cuspide della cattedra narra della creazione degli astri, su cui aleggia lo Spirito di Dio portatore di pace. L’ambone col suo vertice bronzeo e il ramo d’ulivo bagnato d’oro fa il discorso del tempo, della sedimentazione calcarea, con gli strati che sono ere, civiltà e culture. L’altare centrale dedicato a San Biagio è un blocco unico di travertino locale, levigato in alto e grezzo nella parte inferiore, bianchissimo coi suoi candelieri in stile, poggia sul basamento bronzeo come una nuvola estiva. Alla destra dell’altare, il fonte battesimale di San Biagio, con le sue tre colombe di bronzo che si dissetano all’acqua benedetta, richiama la fontana della vita del santuario di Cascia, ove la roccia si fa pregnante e partorisce l’acqua semplice e nuova: “sorella acqua” che, cantata da Francesco, disseta il pellegrino, rinfresca, lava e purifica nel sacramento battesimale. Dal centro del soffitto domina maestoso il lampadario frondoso come un cespuglio volato in alto; si compone di quattro cerchi concentrici in similoro, placcati in oro, ricoperti da rami d’ulivo composti da oltre tremila foglie diffondendo luce in tutte le direzioni. Le foglie d’ulivo sono simbolo della terra salentina, costituiscono nel lampadario una corona di pace che la Parrocchia offre a Dio in ringraziamento per questo frutto della terra, segno di vita e di unzione sacramentale. La vetrata centrale istoriata permette una più ampia luminosità della chiesa, e spinge lo sguardo dei fedeli anche verso l’alto della struttura architettonica. L’idea primaria dell’opera d’arte si fonda sul rapporto Spirito-luce e raffigura la colomba dello Spirito Santo. La colomba,  ricolma di luce solare, la massima luce che i sensi umani conoscono, entra ad ali spiegate all’interno della chiesa inondando l’interno con colori che appartengono al cielo; dirige il suo volo verso la mensa eucaristica, segno di comunione di Cristo con i fratelli. La colomba è posta al centro del tempo, del susseguirsi del giorno, con i colori solari della terra salentina, e della notte, ove predomina il blu del mare. Essa irradia luce dorata, segno della maestà di Dio. Lo Spirito entra nel tempo e nello spazio umano (sole, luna, stelle, nubi), condivide e sostiene la storia dell’uomo. Colomba e luce solare rappresentano i simboli umani per esprimere Spirito e Luce chiamati ad esprimere ciò che è eterno e al tempo non appartiene.

Luglio 2014. Armando Marrocco e consorte scendono da Milano nel Salento, dove villeggiano ogni anni in quel di Salve,  e facendo visita alla Chiesa di Corsano dove l’artista aveva lasciato opere di importanza significativa per l’arte sacra contemporanea, si accorgono di vistosi cambiamenti. Il progetto e l’installazione iniziale saltata. Ne chiedono
spiegazione al Vescovo locale Mons. Vito Angiuli, ma questi dice di non saperne nulla
(cosa gravissima), cadendone dalle nuvole, troppo preso com’è di far
ritorno nel barese in una diocesi più grande. Segni non dei tempi ma del potere, proprio quello che aborrisce Papa Francesco.

E se il vescovo locale non ha dato nessun ordine, chi ha potuto ascoltare questo parroco un po’ somarello per smantellare  quanto eseguito da quel grande scultore che è Armando Marrocco ?

C’è di più, sul retro dell’altare al posto degli evangelisti , Don Luca De
Santis  ha fatto posizionare una autentica porcheria di pittura parietale raffigurante  scene della vita di Cristo, un po’ demodè. Povero parroco, giovane ma somaro. E dire che nel seminario dove ha studiato  anche il mio  amico vescovo Tonino Bello parlava di  bellezza.

Ma della bellezza Don Luca De Santis non sa nulla. Sarà bene che il vescovo in Diocesi organizzi dei corsi accelerati di aggiornamento sull’arte sacra contemporanea, e soprattutto dia ordini precisi a questo giovane parroco di campagna  sbarbato di  ripristinare i capolavori di Armando Marrocco  che arredano anche altre grandi Chiese italiane
ad iniziare dal Santuario di Santa Rita da Cascia a Cascia.

 Carlo  Franza

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