Earth Wind and Fire. L’immaginario aborigeno tra elementi primari della natura e mondo sacro, in mostra a Milano.
Magica, innovativa, essenziale. Questi tre termini sintetizzano alla grande questa interessantissima mostra che a Milano alla Galleria Gracis perpetuano l’influenza che determinati luoghi e mondi hanno portato all’arte europea e internazionale.
Il titolo della mostra, “Earth Wind and Fire”, oltre a essere il nome di una band statunitense molto popolare negli anni Settanta, sintetizza lo stretto legame dell’immaginario aborigeno, di cui le opere esposte sono evidente testimonianza, agli elementi primari della natura e quindi al mondo rituale e sacro ad esso connessi. Lo spirito della mostra è quello di contribuire ad affrancare l’immagine dell’arte aborigena dalla visione eurocentrica che da sempre confina i manufatti aborigeni all’etnografia, evidenziando la contemporaneità del linguaggio artistico manifesto nelle cinquanta opere esposte. Non a caso è a questa e alle altre culture figurative extraeuropee che, a partire dagli inizi del Novecento, l’arte contemporanea occidentale attinge per arricchire e rivitalizzare il proprio linguaggio artistico. L’iconografia, infatti, volutamente fedele alla tradizione millenaria degli aborigeni australiani e del loro modo di rappresentare simbolicamente le “topografie culturali” dei territori di appartenenza, si basa prevalentemente su un repertorio astratto di pattern geometrici, cui talvolta si aggiungono elementi figurativi di carattere tribale.
L’intento di “Earth Wind and Fire” è condiviso da altre manifestazioni che in Italia e a Lugano stanno valorizzando con l’esplorazione dei suoi molteplici aspetti l’arte aborigena; a livello istituzionale ciò è testimoniato ad esempio da “Dhukarr. Arte aborigena contemporanea. La Collezione Knoblauch” al Museo delle Culture all’Heleneum di Lugano in corso fino a gennaio 2015. La mostra della Galleria Gracis, che presenta artisti affermati come Claude Carter, Beyula Puntungka Napanangka, Freddie Timms, Samson Bonson e alcuni figli d’arte come Dhurrumuwuy Marika, si compone di dipinti e di una, significativa quanto inconsueta per il nostro Paese,selezione di sculture e totem ricavati dai tronchi degli alberi di eucalipto scavati dalle termiti, quindi lavorati e decorati mediante pigmenti naturali.E’ “arte alta”, un’arte che ha trovato una collocazione nel mondo artistico contemporaneo grazie a una reciprocità d’intenti. Da una parte il desiderio delle comunità di affrancarsi dall’assistenzialismo e, nell’ottica della diatriba sulla proprietà territoriale, di far conoscere all’esterno la persistenza e la forza delle loro tradizioni; dall’altra l’esigenza del governo federale di una chiara connotazione nazionale. Due volti di una realtà che ha trovato il punto di contatto nella produzione originata nei numerosi centri artistici, sorti a partire dagli anni Settanta, in cui gli artisti potevano usufruire anche di media artistici occidentali, come gli acrilici, che ampliavano la gamma cromatica delle terre, per dar vita ad opere più durevoli e di conseguenza più adatte alla circolazione sul mercato, prima nazionale e poi internazionale. La Galleria Gracis per realizzare questa mostra, che consolida la sua recente apertura alle arti contemporanee e garantire l’altissimo profilo qualitativo delle opere da offrire al suo esigente pubblico, si è rivolta alla famosa e conosciuta galleria londinese specializzata in arte aborigena JGM ART di Jennifer Guerrini Maraldi, la quale lungo tutta la sua carriera trentennale ha intessuto importanti rapporti di scambio e collaborazione con le principali autorità culturali australiane, in particolare con Ron Radford – direttore della Galleria Nazionale dell’Australia, in modo da garantire sempre qualità e un punto di vista aggiornato sul panorama artistico aborigeno.
Carlo Franza