Nella tarda primavera del 1620 Gerrit van Honthorst (Gherardo delle Notti) se ne andò improvvisamente da Roma, giacchè era da circa dieci anni che risiedeva in Italia. Vi era giunto all’inizio del secondo decennio del XVII secolo (1610-1611 circa). Il giovane artista nordico era rimasto folgorato dal naturalismo del Merisi, e l’accostamento alla rivoluzione caravaggesca fu pressoché immediato per via della forza e della crudezza. Poi il suo stile raggiunse prove eccelse e virtuose specie nelle scene a lume di notte (da qui il soprannome Gherardo delle Notti).Non a caso la prima mostra al mondo dedicata a Honthorst si apre proprio alla Galleria degli Uffizi con la stagione espositiva di Firenze 2015, dove si può ammirare quasi tutta la produzione dell’artista. La mostra si svolge in occasione dei 150 anni di Firenze Capitale e della Fondazione del Bargello. L’esposizione “Gherardo delle Notti. Quadri bizzarrissimi e cene allegre” mette insieme prestiti dai più importanti musei internazionali insieme alle cinque bellissime tele conservate agli Uffizi, grazie alla passione da collezionista del Granduca di Toscana Cosimo II. Le sue prove ottennero l’onore di occupare altari importanti delle chiese romane e genovesi. È proprio attraverso la passione di Cosimo II per Gherardo che oggi Firenze possiede quattro bellissime tele di Honthorst: fra queste, tre sono dedicate a soggetti conviviali, decisive per lo sviluppo di questa tipologia d’immagini in ambito italiano e nordico. Anche l’ambasciatore mediceo a Roma, Piero Guicciardini, commissionò a Gherardo nel 1619 la pala per l’altare principale della sua cappella in Santa Felicita:
la grande
Adorazione dei pastori dipinta a lume di notte, che fu vittima dell’attentato mafioso degli Uffizi nel 1993. Firenze è divenuta dunque una sede significativa per poter ambientare una mostra sull’attività italiana di Gherardo delle Notti, che è pittore ormai di assoluta rilevanza e d’interesse internazionale, al quale non era stata ancora dedicata un’esposizione monografica, né in Italia né all’estero. Con le più recenti acquisizioni, raccolte dagli studi degli ultimi anni, il catalogo della produzione italiana dell’artista non supera i quaranta capolavori. La mostra presenta quasi tutti questi dipinti e documenta accuratamente sia la fase iniziale, più cruda e nordica con opere come il “Cristo morto con due angeli” del Palazzo Reale di Genova o la nuova “Preghiera di Giuditta prima di decapitare Oloferne”, di collezione privata, sia quella più famosa e matura. A questa seconda fase appartengono i risultati straordinari che hanno reso celebre il pittore, come appunto le tele conviviali fiorentine “Cena con sponsali”, “Buona ventura”, “Cena con suonatore di liuto” o quelle appartenute a Vincenzo Giustiniani (eccezionale il prestito del “Cristo dinanzi a Caifa” della National Gallery di Londra). Particolarmente importante la presenza di tre pale d’altare: quella genovese per la chiesa di Sant’Anna “Santa Teresa incoronata da Cristo”, quella per Santa Maria della Scala a Roma “Decollazione del Battista” e la grande tela della chiesa dei Cappuccini di Albano, del 1618 “Madonna in gloria con i Santi Francesco e Bonaventura”. I quadri eseguiti in Italia vivono accanto a una ristretta campionatura di dipinti realizzati da Honthorst in Olanda nei primi anni dopo la partenza dalla penisola, per documentare come la sua tavolozza andò gradualmente schiarendosi (fra essi, il celeberrimo “Violinista allegro” del Rijksmuseum di Amsterdam). Un’ampia sezione documenta in modo favorevolmente storico la grande influenza avuta da Gherardo sullo sviluppo del filone della pittura a lume di notte, presentando opere di Trophime Bigot, del Maestro del lume di candela, di Giovan Francesco Guerrieri, di Francesco Rustici, di Rutilio Manetti, di Adam de Coster, di Mathias Stomer, di Domenico Fiasella e di Paolo Guidotti. Due dipinti di Abraham Bloemaert, maestro di Honthorst, dimostrano la sua evoluzione stilistica dalla fase tardo manierista della fine del XVI secolo a quella dei primi anni venti del XVII (con il famoso Flautista del Central Museum di Utrecht), condizionata anche dal ritorno dell’allievo nella città d’origine nel 1620. Completa l’esposizione il confronto con alcuni maestri attivi sulla scena romana insieme a Gherardo delle Notti “il più italiano e il meno nordico dei pittori stranieri che vennero a studiare e lavorare nel nostro paese”, che mostrano evidenti tangenze con la sua arte, in uno scambio vivace e fecondo: i suoi concittadini Dirck van Baburen e Hendrick Terbrugghen; lo Spadarino ( il cui “Convito degli dei” degli Uffizi era stato riferito a Honthorst nel 1970); Bartolomeo Manfredi, autore, come Gherardo, di fondamentali scene conviviali. Preziosa in mostra la presenza di un dipinto del Caravaggio, eseguito nel 1609 e ben presto giunto alla corte granducale, il “Cavadenti” della Galleria Palatina: questo grande quadro dovette essere decisivo per la messa a punto dei temi prediletti dal pittore olandese, che lo citerà in almeno tre dipinti. Considerata tale circostanza e l’evidente passione di Cosimo II e di Piero Guicciardini per l’opera di Honthorst, è facile ipotizzare che, malgrado essa non sia ancora documentata, il pittore abbia avuto una permanenza anche a Firenze.

La mostra, parola di storico, è veramente toccante, è il segno che l’eccellenza italiana nel campo dei suoi beni culturali è davvero insuperabile.

 Carlo Franza

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