Il genio di Donato Bramante celebrato a Milano a cinquecento anni dalla morte. Portò il Rinascimento nella Corte di Ludovico il Moro.
Celebrare a cinquecento anni dalla morte il genio del Bramante a Milano e in Lombardia è cosa di vastissimo interesse, anche perché quando morì a Roma aveva costruito San Pietro e, dunque, veniva indicato come grande architetto. E prima del suo periodo romano, Bramante da Fermignano di Urbino, suo paese d’origine, approdò in Lombardia, dapprima a Bergamo nel 1477( Cantiere Cappella Colleoni ), poi a Milano fin dai primi anni Ottanta per il rifacimento di Palazzo Trivulzio, e
per il suo capolavoro che è la Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, in Via Torino. D’altronde qui l’abside che sembra profondissimo è invece di pochi centimetri, in virtù del fatto che era pittore prospettico; e il battistero nella navata destra, capolavoro dominato da oculi in cui si getta la luce che colpisce i busti nei bei clipei sopra le arcate. Ma a Milano realizzò anche la casa di Filippo Eustachi con sei nicchie, bellissimi capitelli e colonne; e probabilmente anche la Ponticella del Castello Sforzesco, dove passava Ludovico il Moro. Da non dimenticare anche la Cappella della Cascina Pozzobonelli, oggi compressa fra i palazzi a fianco della Stazione Centrale. A Milano giunse che si diceva di lui essere un “erudito con vasti interessi”. Ora per questa ricorrenza dei 500 anni dalla morte, una mostra lo trova in Milano alla Pinacoteca di Brera, dal titolo “Bramante a Milano. Le arti in Lombardia 1477-1499” , mostra di grande impianto che trova proprio qui a Brera la sede dove si conserva il maggior numero di dipinti dell’artista marchigiano, autografi e altro. L’esposizione si articola in cinque sezioni, nella prima il cenno alla formazione urbinate poi l’approdo a Bergamo nel 1477 dove lavorò alla decorazione del Palazzo del Podestà, oggi in gran parte perduto, e il lacerto, capolavoro di sua mano, meglio conservato, rappresenta “Chilone” uno dei sette Savi dell’antichità. La seconda sezione prende in considerazione l’incisione Prevedari così chiamata dall’orafo che nel 1481 la eseguì a bulino rifacendosi appunto a Bramante. La terza affronta il campo della scultura come nel frammento di marmo di Giovanni Antonio Amadeo, unitamente agli affreschi come quelli della dimora di Gaspare Ambrogio Visconti che sorgeva nei pressi di Sant’Ambrogio. La quarta sezione allarga l’orizzonte sul “Cristo alla Colonna” dipinto celeberrimo; e la quinta affronta le ripercussioni dei modelli bramanteschi sugli artisti contemporanei. E per finire come non ricordare la Basilica di Santa Maria delle Grazie a Milano, ritenuta suo capolavoro, anche se non c’è un solo documento che ne attesti la paternità, idea sua anche se i principali lavori di costruzione non lo ebbero protagonista e andarono oltre la sua partenza da Milano con la caduta di Ludovico il Moro.
Carlo Franza