L’Arabia saudita frusta la cultura. Il blogger Raif Badawi è il nuovo Voltaire. Sosteniamolo.
Il blogger saudita Raif Badawi ha ricevuto ieri altre cinquanta frustate di fronte a una moschea di Jedda, come previsto da una sentenza della corte suprema. Giorni orsono la corte suprema dell’Arabia Saudita aveva confermato la sentenza di mille frustate e dieci anni di carcere nei confronti del blogger, arrestato nel 2012 e accusato di oltraggio all’islam tramite mezzi informatici e apostasia. Condannato a sette anni di carcere e 600 frustate nel 2013, la sua pena è stata poi innalzata a dieci anni e mille frustate. Le prime 50 gli sono state inflitte il 9 gennaio 2015. Portato in catena davanti alla moschea al Jafari dopo la preghiera collettiva del venerdì, Badawi ricevette allora una prima dose di punizioni corporali, adesso la seconda, una tortura infinita. Raif Badawi ha fondato nel 2008 il sito laico e indipendente Free saudi liberals. La moglie e i tre figli di Badawi sono fuggiti all’estero e hanno ricevuto asilo politico in Québec, in Canada. La decisione della corte suprema saudita nei mesi scorsi era stata duramente criticata dalla comunità internazionale. L’Arabia Saudita ha denunciato l’interferenza nella vicenda dei mezzi d’informazione internazionali, accusandoli di minacciare la sua sovranità. Mi viene da ridere e sonoramente -piango in silenzio- per questa suprema corte araba di stampo medioevale. Carnefici come pochi al mondo, in nome della religione. Simili cose si facevano nel Medioevo; e già, perché ormai siamo ancora al Medioevo prossimo venturo. E i liberali italiani dove sono, eppoi i buonisti, i democratici, ecc. ecc.? Svegliatevi, e prendete posizione. Altrochè far finta di non sapere nulla. L’ARABIA SAUDITA FRUSTA LA CULTURA.
Fino al 9 gennaio scorso pochi conoscevano il nome di Raif Badawi che pure tra il 2008 e il 2012 aveva affidato quotidianamente al sito Saudi Free Liberals Forum le sue riflessioni di volteriano arabo. Poi, poche ore dopo aver denunciato l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo definendolo «codardo», Riad ha deciso di procedere contro il blogger arrestato 3 anni prima per apostasia facendo partire le prime 50 delle 1000 frustate disposte dal tribunale religioso (oltre a 10 anni di prigione e una multa da un milione di riyal). Adesso, indifferente alla mobilitazione internazionale lanciata nel frattempo da Amnesty International, la Corte Suprema conferma la sentenza: Raif Badawi dovrà inginocchiarsi di nuovo in mezzo alla folla di fedeli urlanti «Allah uakbar» per ricevere la seconda razione della pena riservata ai bestemmiatori di Dio e così via, ogni santo venerdì dell’islam, per 19 settimane.
Ma cosa ha scritto questo 31enne nel regno campione mondiale di condanne a morte ? In uno degli ultimi articoli postati poche settimane prima di essere arrestato il 17 giugno 2012 Raif Badawi ragiona dell’ostilità avvertita tra i connazionali: «Il liberalismo per me significa semplicemente vivere e lascia vivere (…) Ma l’Arabia Saudita che rivendica l’esclusivo monopolio della verità è riuscita a discreditarlo agli occhi del popolo». Poi, ancora: «Nessuna religione ha mai avuto alcuna connessione con il progresso civile dell’umanità. Non è colpa della religione ma del fatto che tutte le religioni rappresentano una precisa particolare relazione spirituale tra l’individuo e il Creatore». In queste ore la gente si prepara allo spettacolo dell’empio frustato in piazza come ai tempi del rogo di Giordano Bruno. A scorrere i pensieri e le parole di Raif Badawi, che cita l’Albert Camus di «il solo modo di relazionarsi a un mondo non libero è essere così assolutamente libero di vivere la vita come ribellione», si scorge un mondo sconosciuto, quello degli scettici, dei contestatori, dei dissacratori musulmani, sparuti ma in crescita, descritti nel libro di Brian Whitaker «Arabs without God».
E ancora un pezzo del 2010: «Appena un pensatore inizia a rivelare le sue idee arrivano centinaia di fatwa che lo accusano di essere un infedele solo perché ha avuto il coraggio di discutere i temi sacri. Temo che i pensatori arabi emigreranno in cerca di aria fresca per sfuggire alla spada delle autorità religiose». E un altro, in favore della separazione tra religione e politica ma senza accusare il governo e le autorità di Mecca (cosa che Badawi non ha mai fatto): «Il secolarismo rispetta tutti e non offende nessuno. Il secolarismo (…) è la soluzione pratica per far uscire i paesi, compreso il nostro, dal terzo al primo mondo». Impossibile non ricordare queste ultime parole leggendo i suoi messaggi dal carcere pubblicati in Germania nel volume «1000. Lashes: Because I Say What I Think». Badawi dalla cella che condivide con gli assassini e i criminali di cui, dice, nella vita normale si era protetto chiudendo ogni sera a chiave la porta di casa, scrive: «Un giorno nel bagno imbrattato all’inverosimile ho scorto questa frase, tra le mille scritte oscene in tutti i dialetti arabi, “il secolarismo è la soluzione”. Ho gioito perché c’era almeno qualcuno in prigione capace di capirmi, qualcuno che potesse comprendere le ragioni per cui sono rinchiuso qui per la colpa di aver espresso la mia opinione». Vita pericolosa quella del blogger attivista del libero pensiero, combattente solitario e senza rete destinato a cadere soprattutto nei paesi in cui l’identità collettiva non è politica ma religiosa.
A questo punto cari intellettuali, cari amici, inondiamo di lettere di protesta l’Ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma, e scriviamo a chiare lettere “ L’Arabia saudita frusta la cultura”.
Carlo Franza