Il Bambin Gesù delle Mani, esposto a Cortina. Parte di uno scandaloso capolavoro del Pinturicchio voluto da Papa Alessandro VI Borgia.
Tutto nasce tra i segreti delle stanze vaticane, perché esso stesso è stato un segreto -e che segreto- ,poi una donna dalla folgorante bellezza, e ancora uno dei papi più discussi della storia, infine un pittore sublime e un quadro nascosto per secoli.
Ora il “ Il Bambin Gesù delle Mani” del Pinturicchio è in mostra a Cortina d’Ampezzo, Museo d’Arte Moderna Mario Rimoldi, fino al 31 gennaio 2016, con il mistero, la storia e il fascino dei tempi potrà essere finalmente ammirato. Inizialmente si pensava che fosse una leggenda, impossibile che un’opera così scandalosa potesse essere stata realizzata, ma 500 anni dopo, eccolo il capolavoro tanto vero quanto bello, direi bellissimo.
Il dipinto, gemma dell’Arte umbra rinascimentale, oltre che unico per la sua singolare bellezza e prezioso per la trama e la storia della sua genesi, è soprattutto custode di uno dei più scandalosi ed intriganti misteri del passato che ha la sua genesi negli appartamenti di Papa Alessando VI Borgia (1431 – 1503), senza dubbio uno dei più discussi della storia e committente dell’opera del Pinturicchio.
Proprietà della Fondazione Guglielmo Giordano, a pochi anni dal suo ritrovamento, compie il giro del mondo, esposto nei più rilevanti musei: dal Guggenheim di New York, al Musèe Maillol di Parigi, fino a Palazzo Venezia a Roma.
La Mostra, carica di un sostanzioso significato storico, culturale ed artistico, rappresenta per Cortina, la “Regina delle Dolomiti”, una interessante opportunità per accostare i valori del territorio a quelli dell’Arte italiana che, da secoli, si contraddistingue nello scenario mondiale.
Era stato il Vasari a rivelarne l’esistenza nelle sue “Vite”, ma la scena raccontata sembrava così scandalosamente impossibile da far ritenere la notizia un falso. In esso era raffigurata l’adorazione della Madonna con Bambino da parte del Papa, ma il volto femminile altro non era che il ritratto di Giulia Farnese, sua bellissima amante e madre di un figlio a lui attribuito.
Il dipinto di Pinturicchio era, in altre parole, la testimonianza indiretta di una relazione che stava sulla bocca di tutti ma che non poteva essere detta, né fatta scoprire. Tra questi spiccherebbero alcune grandi figure e precisamente Alessandro VI Borgia, uno dei più discussi pontefici dell’intero percorso della Chiesa; Giulia Farnese, emblema della bellezza rinascimentale, malignamente soprannominata “sponsa Christi”per le sue note frequentazioni con il papa; Bernardino di Betto detto il Pinturicchio, artefice dell’opera in questione e pittore attivo alla Corte vaticana sotto ben cinque papi. “ Ritrasse, sopra la porta d’una camera, la signora Giulia Farnese nel volto d’una Nostra Donna; e nel medesimo quadro la testa di esso papa Alessandro che l’adora”. Con queste parole Giorgio Vasari ricorda, nelle Vite, l’esistenza di un dipinto eseguito in Vaticano dal pittore Bernardino di Betto detto Pinturicchio. Nonostante l’atteggiamento poco favorevole dimostrato nei confronti dei pittori non toscani, il Vasari indugia nella biografia del maestro umbro fornendo una descrizione alquanto precisa di un dipinto murale mai individuato dagli storici dell’arte e reputato tanto famoso e scandaloso quanto ormai leggendario a causa di una latitanza durata circa cinque secoli. A scoprirlo, nel novembre 2004 sul mercato antiquario sottoforma di lacerto di pittura muraria, fu un antiquario in collaborazione con Franco Ivan Nucciarelli, un collega docente di iconologia presso l’Università di Perugia, che convinse all’acquisto del preziosissimo frammento il gruppo industriale perugino Margaritelli.
Non c’era errore in quanto aveva detto il Vasari, ma il Nucciarelli notò come il famoso cronista toscano fosse stato preceduto da altre due fonti indicanti il dipinto. Nel suo Diario della Città di Roma Stefano Infessura precisa che il dipinto si trovava nel cubicolo, ovvero in quel breve corridoio che precedeva la camera da letto del pontefice e ad informarci ancora dell’esistenza della pittura in questione sarà, in una lettera del 1536, il Rabelais dopo aver trascorso il suo soggiorno romano. Nel 1492 Alessandro VI commissionava proprio al Pinturicchio la decorazione delle stanze dell’appartamento privato in Vaticano. L’artista, aiutato dai suoi collaboratori, dipinse soffitti e pareti esprimendo un gusto raffinatissimo ed intriso di cultura classica, tipica del Rinascimento. Il ciclo pittorico, terminato nel 1495, appariva come l’espressione più alta della cultura e dell’ ambizione di un uomo che, prima che pontefice, incarnava la figura del principe rinascimentale.
Tra ori, sangue, affreschi, intrighi e nepotismo si consumò quel secondo papato borgiano che caratterizzò la figura e la condotta del principe-pontefice rinascimentale in termini di potenza, spregiudicatezza e magnificenza. Della composizione citata dal Vasari, che prevedeva il pontefice sessantaduenne inginocchiato di fronte alla Vergine che teneva in grembo il Bambino, è giunta fino ai nostri giorni solamente la figura del piccolo Gesù e a causa delle molte mani presenti nel lacerto pittorico, (quelle della Vergine, una mano del pontefice oltre alle manine del bimbo), è stato arbitrariamente ribattezzato Bambin Gesù delle mani. Anche se ampiamente mutilato, il dipinto si mostra oggi al pubblico dopo cinque secoli in tutta la sua umbra dolcezza e nell’intatta perfezione formale tipica di quel caposcuola preferito da Papa Borgia. La morte di Alessandro VI sopraggiunta nel 1503 ne decretò anche l’occultamento e la successiva distruzione del dipinto tanto discusso. Coperto da una pesante stoffa fissata alla parete con dei chiodi e a sua volta da una canonica Madonna del Popolo, il capolavoro del Pinturicchio venne così occultato per oltre un secolo fino a quando, il primo pontefice successivo al Borgia che coraggiosamente assunse nuovamente il nome di Alessandro VII, ne ordinò, probabilmente, la distruzione tra il 1665 e il 1667. Non sono da ignorare le illuminanti scoperte di Giovanni Incisa della Rocchetta, figlio della principessa Eleonora Chigi Albani della Rovere; era riuscito a rinvenire documenti attestati la presenza di due frammenti pittorici raffiguranti rispettivamente un Gesù Bambino e il volto della Vergine, entrambi conservati, dal 1693, presso la collezione del cardinale Flavio Chigi. Poi le voci della copia voluta dal duca di Mantova e il ricordo infausto di quell’indegno pontefice a nome Alessandro VII che volle la distruzione del dipinto salvandone comunque alcuni frammenti; e che la figura di Alessandro VI inginocchiato sia andata per sempre perduta non c’è da meravigliarsi. Lo scandalo e l’opera scandalosa dovevano essere rimossi.
Carlo Franza