Giorgio Bevignani racconta il mondo e la vita con reti, intrecci e tessiture. Una mostra a Londra ne chiarisce l’attualità.
“I’M READY TO LIVE” sta per “Sono pronto a vivere” . Già vivere, ovvero il mestiere di vivere, come diceva Cesare Pavese negli anni Cinquanta. Oggi il bolognese Giorgio Bevignani che risulta vincitore della terza edizione del premio Spotlight 2015 espone alla Andipa Gallery di Londra il suo ultimo lavoro che non passa certo inosservato. Devo confessarvi che ho apprezzato al massimo il lavoro artistico di Bevignani perchè prima che realizzato è pensato in una sorta di lavatoio filosofico.“Sertum. Desertum. Serto. Ghirlanda. Intreccio. Corona. Deserto. Exordior. Esordio. Orda. Ordito. Trama. Tessitura. Rete”. Mi dice: “Queste sono le parole all’origine del mio ultimo lavoro. Parole collegate da un filo conduttore al nichilismo, al nulla, alla distruzione e all’annientamento di ogni forma di vita.
Ancor più delle frasi amo recepire le parole, anche nelle lingue che non conosco, per il loro suono, oltre che per il significato ed etimo.
Dopo aver letto “La nube del telaio” di Elémire Zolla”, ho pensato a un immenso deserto, dove si poteva immaginare la fine di ogni cosa, oppure ogni inizio; iniziai a tessere, per realizzare una grande rete da pesca, per pescare in mare o in quel nulla del deserto, abbandonato da ogni serto: luogo in cui ogni serto si disfa. Sertum è l’intreccio.
Ogni cosa esistente è un sertum effimero tra gli elementi che la costituiscono e tra essa e gli altri elementi dell’universo.
Una rete grande come un deserto, da cui fuggire. Oggi ci sono orde di persone che fuggono dai loro deserti per conquistare una vita migliore, o semplicemente per cominciare a vivere. Il titolo della mia opera è “I’M READY TO LIVE”, “Sono pronto a vivere”, e sono pronto a lasciare tutto, anche la vita stessa. Più le mie mani tessono la trama, più la mia immaginazione sprofonda nella drammatica realtà contemporanea.“Si stenda ampia la nube del telaio”, è adesso il tappeto tessuto. È l’exordior (lat.: ex-ordior) l’inizio di una tessitura, l’unione di ordito e trama. La spoletta è la freccia che guida la folla dei disperati che fuggono, intrecciando i fili colorati e che, femmina, genera ornamento ed equipaggiamento, bellezza e concretezza”.
Installazioni di grande fascino, colori che irrompono nell’aria, fili che intrecciano l’universo e l’aria che li attraversa, ma fili che intrecciati danno vita, ricreano, aprono a stanze e dimore, segnano e disegnano forme, saccheggiano simboli, indicano da nord a sud e da est ad ovest la trama del tempo che si sfilaccia dopo un qui e un dove.
Bevignani orchestra un’arte nuova, ne indica un “Tempus fugit”,quell’espressione latina che nasce da un verso delle Georgiche di Virgilio, ovvero “Sed fugit interea, fugit irreparabile tempus”, e che passando per l’opera di Lewis Carroll, “Alice nel Paese delle Meraviglie”, arriva ai giorni nostri proprio nel fare, nell’intrecciare dell’artista bolognese. E questa “tessitura” del tempo, che è poi costruzione della vita, fa riandare a Sant’Agostino: “Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più”. Tempo come stato coscienziale e percezione soggettiva che si espande all’infinito nel tempo della gioia e dell’innamoramento, e si contrae nel tempo del dolore e della vecchiaia. Tempo che corre, senza più una mèta, nel trambusto della quotidianità, tempo che non solo fugge, ma tutto divora come già il dio greco Kronos – Κρόνος .
Carlo Franza