L’Italia vende all’Islam i suoi prodotti. Marchi, eccellenze e moda conquistano i mercati musulmani. Ma la stampa araba attacca su tutto.
Non c’è solo la carne “halal” adesso c’è anche la moda “halal” che vuol dire che segue i precetti dell’Islam. Pensate che Armani Dolci ha lanciato una nuova raffinata pralina per celebrare il Ramadan. La pralina, priva di alcool, è stata composta da un guscio di finissimo cioccolato di latte e da un cuore di crema con aromi di mandorla amara che ricorda il marzapane, arricchito con mandorle dolci leggermente torrefatte e finemente tritate. Le praline sono decorate con una sgargiante copertina dorata ed una “A”, che sta per Armani, e da una Mezzaluna verde giada. La decorazione della preziosa scatola è ispirata da motivi e colori raffinati dell’arte islamica. La scatola viene legata da un nastro di raso doppio color verde giada con goffratura in oro lucido e dotato di un fascino d’oro con motivo a Mezzaluna verde uguale a quella sulla carta da regalo. Le praline e la scatola in edizione limitata sono in vendita nei negozi Armani Dolci a Kuwait City, Dubai (The Dubai Mall e The Mall Of Emirates), Abu Dhabi, Kuala Lumpur e Milano . Una bufera di polemiche si è scatenata contro l’azienda dolciaria Lindt dopo il lancio di un calendario dell’Avvento ispirato alla favole delle Mille e una notte. Quella almeno l’intenzione dei creativi dell’azienda tedesca, ma agli iscritti alla loro pagina Facebook è apparsa tutt’altra cosa. La confezione riporta la facciata di un palazzo reale indiano, con cupole e finestre intarsiate, davanti uomini in sella a due cammelli sovrastati da un cielo stellato. I clienti sono andati su tutte le furie sia in Germania, come riporta Die Welt, che in Italia, riportato da Giornalettismo, perché hanno interpretato la figura sulla scatola di cioccolatini come una moschea. “Con me avete chiuso – ha scritto un utente, Riccardo, citato da Giornalettismo – Allucinante il vostro ciocco-islam. Con me avete chiuso”. E sono tante le reazioni simili a quella, con decine di clienti pronti a boicottare la Lindt per la presunta “amicizia con i musulmani”. L’azienda ha provato a difendersi facendo appello alla tolleranza e al rispetto di “sesso, religione, opinione politica o altro”. In realtà però, chiarisce Die Welt, sono dieci anni che la Lindt dedica il calendario dell’Avvento al tema de Le Mille e una notte. Quest’anno, però, la grafica della confezione aveva un richiamo un po’ più arabeggiante. Nel pieno trend della Modest Fashion per islamici, una moda semplice e sobria pensata per uomini e donne di fede musulmana, dopo Mango, Zara e H&M, arriva la prima collezione halal di Dolce&Gabbana; una serie di abiti, da abbinare con occhiali, gioielli, accessori e persino cosmetici della maison. La linea si chiama Abaya, il nome della tunica di tessuto leggero che tradizionalmente copre tutto il corpo eccetto la testa, i piedi e le mani, indossata da alcune donne musulmane. Nella collezione non mancano veli hijab in tessuti iper leggeri e toni scuri per coprire il capo. Tutto è nero o beige con flash colorati e pizzo, applicazioni di fiori e inserti arabescati, stoffe ravvivate da margherite, limoni e pois. Nel 2014 DKNY e Tommy Hilfiger hanno lanciato una capsule collection per il Ramadan, il periodo delle feste, Monique Lhuillier una linea di caftani per Moda Operandi e Net-a-Porter una campagna acquisti sempre per il Ramadan. Eppoi, al Turin Modest Fashion Roundtable di qualche mese fa il report “State of the Global Islamic Economy 2014-2015” di Thomson Reuters e Dinar Standard riportava dati in grande espansione stimando che nel 2019 i musulmani spenderanno 484 miliardi di dollari in prodotti di moda, abbigliamento e calzature, a fronte dei circa 366 miliardi di dollari del 2014.
A sottolineare come sia il womenswear ad assorbire la maggior parte dei ricavi generati dall’industria della moda nei paesi che aderiscono alla Organisation of Islamic Coperation (OIC) è invece lo studio “Doing Business in Halal Market” di Euromonitor International; nel 2013 l’abbigliamento donna ha generato un terzo dei ricavi di settore (il 34%), seguito dal menswear (27%), dalle calzature (21%), dall’abbigliamento junior (12%) e dagli accessori (3%).
A fronte di queste eccellenze che hanno varcato i paesi arabi la stampa araba consiglia di ritornarcene a casa e che male hanno interpretato Dolce&Gabbana nel voler imporre alla moda araba costumanze troppo azzardate e poco, poco, sobrie.
Dirò che purtroppo,anche a me, tutto ciò mi sa proprio di pacchianeria; moda, accessori e dolciumi sfacciatamente inseguono il capitolo islam che è bene lasciare nei confini che gli sono propri. Il proverbio “moglie e buoi dei paesi tuoi” forse non vale più ?
Carlo Franza