Francesco Hayez a Brera. Capolavori mai visti riportati in luce.
Per la prima volta Brera ha messo in mostra parte dell’eredità di un artista che, fra esposizioni e scuola, ha trascorso 60 anni della sua vita dentro le mura del palazzo e alla cui presenza deve gran parte della sua identità storica. La mostra, allestita nella splendida Sala Napoleonica,ha inteso ricostruire,in modo rigoroso, il metodo e il luogo del lavoro di Francesco Hayez professore per molti anni all’Accademia di Brera, luogo simbolo dell’eredità del grande pittore che qui per sessant’anni, dal 1822 al 1882, ha vissuto e insegnato.
Quindi il problema è stato rievocare una presenza fisica attraverso i luoghi -la ricostruzione dello studio di Hayez in Accademia- e il suo sistema di lavoro che era allo stesso tempo il suo metodo di insegnamento. Il senso del drappo di damasco rosso che era il via alla mostra in Accademia è stato quello di evocare l’autoritratto di Hayez più bello, “italiano di Venezia” nella firma, che teneva nello studio di Brera. E anche un omaggio della sua seconda patria milanese alla sua venezianità, se quel tessuto è lo stesso del doge Pesaro nella pala omonima di Tiziano. Simbologie e metafore ottocentesche che si è inteso assecondare, per quanto possibile.
Dietro questa mostra c’è stato ovviamente un lungo lavoro di riordino che ha riguardato tutto il fondo Hayez : dipinti (in gran parte esposti a Gallerie d’Italia altra sede di mostra in concomitanza), disegni, stampe, fotografie, libri, provenienti da lui stesso e dalle sue eredi.
La curatrice Francesca Valli ( come da intervista su “Finestre sull’arte” qui riportatata)– esempio encomiabile di curatela- ha organizzato la mostra divisa in due sezioni: la prima dedicata alla ricostruzione essenziale dello studio di Hayez in Accademia che, alla luce dei documenti, conteneva una scelta esemplare dei generi pittorici -figura, storie, ritratti- oltre un importante numero di libri. La seconda sezione ricostruiva il laboratorio, dove erano esposti ottanta disegni e tre taccuini, messi a confronto con altre opere dell’artista, dipinti e stampe,e di altri autori, compresi i suoi allievi, scelti fra i numerosi fogli conservati nelle Raccolte Storiche dell’Accademia. Questi disegni sono stati ora presentati per la prima volta, dopo un laborioso intervento di restauro realizzato dall’Opificio delle Pietre Dure. Le singole sezioni hanno messo in luce, nella varietà delle opere presentate, il procedimento tipicamente ottocentesco della traduzione dai modelli al disegno, alla pittura, alla stampa in un gioco continuo di cambi di scala, fino agli esiti visibili in alcune opere degli allievi. Il ciclo del Sansone, per la figura, che parte dal gesto del pugno chiuso della statua di Antonio Canova. Il ciclo della Sete dei crociati, per le Storie, alcuni degli 80 disegni preparatori. Ma anche tutto il lavoro ininterrotto sulla Presentazione della Vergine al tempio di Tiziano, un vero abbecedario dei gesti. Per le espressioni, di cui i bolognesi andavano famosi, è interessante il nesso con il dipinto di Guercino “Abramo ripudia Agar”, in Pinacoteca di Brera: relativamente all’Alberico da Romano e al Foscari destituito. Molto belli i taccuini di lavoro della giovinezza di Hayez, specialmente quello rosso, tutto dedicato a Maria Stuarda. Interessanti gli strumenti usati da Hayez per realizzare in morte o a distanza i ritratti: quello di Cavour, realizzato con la maschera funebre, quello più famoso di Rossini con una carte de visite. Anche il vecchio Hayez, sospettoso del genere, si era convinto a usare la fotografia.
Si possono trovare traduzioni grafiche di opere di artisti contemporanei apprezzati da Hayez: in testa Delaroche. O di incisori, illustratori come Déveria. O l’acquaforte famosa di Luigi Sabatelli, che lo aveva preceduto alla cattedra di Pittura, della “Peste di Firenze”. Queste opere sono tutte di proprietà dell’Accademia e sappiamo attraverso i documenti che Hayez stesso le aveva fatte comprare, dopo la sua nomina ad insegnante e che le teneva appese in aula. In mostra ci sono solo i dipinti dei suoi allievi ufficiali, a partire cioè più o meno dalla sua nomina a Pittura nel 1850, non famosissimi. In realtà i nomi più noti appartengono a una fase precedente, quando, dopo il suo arrivo a Milano nel 1822 aveva insegnato a più riprese come assistente e supplente di Luigi Sabatelli. Si tratta dei fratelli Induno, Eleuterio Pagliano, Giuseppe Bertini, Cherubino Cornienti e altri non direttamente allievi, ma attratti dal grande successo ottenuto da Hayez alle Esposizioni, in un arco di tempo che va dagli anni Trenta fino agli anni Sessanta, quando Hayez stesso, nel 1867, già anziano, decide di chiudere con la pittura di storia, un genere divenuto fuori moda.
Sono il segno della modernità, delle possibilità di diffusione di una nuova tecnica, la litografia, letteralmente esplosa, e di grande qualità, a Milano alla fine degli anni Venti dell’Ottocento, insieme alle traduzioni in italiano della grande letteratura europea, da Walter Scott a Schiller. Una grande fonte di ispirazione per balli mascherati, pantomime, melodramma e, nel nostro caso, nuovi soggetti da dipingere; quelle di Hayez (avrebbe dovuto fare anche quelle dei Promessi Sposi) sono bellissime. E tanto ci credeva che quando espone nel 1827 la Maria Stuarda condotta al supplizio, pone accanto la sua traduzione litografica. Hayez parte da un tema: tutti i concorsi in Accademia proponevano un tema fino all’Unità d’Italia.
Da “pittore di storia” si documenta per prima cosa su un soggetto, che è un soggetto scritto (la biblioteca di Hayez arrivata in Accademia è costituita di circa 400 volumi fra letteratura, storie, viaggi, repertori illustrati), sui luoghi della storia da raccontare (compie viaggi per disegnare dal vero i fondali) e sui costumi (per gli amati soggetti storici veneziani studia al museo i pittori della fine del ‘400). Lo stesso tema serve a selezionare i modelli: se è un campione della forza, per esempio Sansone, la partenza è un pugilatore di Canova, se è una strage, per esempio la Distruzione del tempio di Gerusalemme, i modelli possono essere attinti da altre stragi (anche Guido Reni, per esempio, o Simone Cantarini, un disegno conservato a Brera). A volte usa la carta trasparente per calcarlo (alcune carte sono sopravvissute). Ma la cosa più importante, sia nella selezione dei modelli sia soprattutto nella elaborazione, è il lavoro indefesso sui gesti, elemento espressivo e retorico fondamentale per il racconto, più ancora delle espressioni del volto. Molti fogli presentano gesti riferibili a dipinti diversi. Hayez stesso dichiara nelle “Memorie” che amava lavorare a più opere contemporaneamente per riposare la mente nel passaggio dall’una all’altra e prendere le distanze. Dentro queste finalità espressive sta anche la cura riservata ai disegni di panneggi, non mimetici rispetto all’anatomia del corpo, ma funzionali alla enfatizzazione delle passioni rappresentate. Una tipologia particolare di disegno è quella del d’après, ad acquerello, a posteriori, destinata a un nuovo collezionismo borghese, tipico della nuova società milanese.
Oltre a Brera i capolavori di Francesco Hayez, tra i protagonisti del romanticismo pittorico italiano ed europeo, sono a Milano per una grande mostra allestita fino al 21 febbraio negli spazi monumentali delle Gallerie d’Italia. Opere come i celeberrimi ritratti del Manzoni o della Principessa Belgiojoso, le opere di ispirazione storica, sacra o mitologica, le suggestioni orientaliste, i meravigliosi e sensuali nudi femminili. Esposte circa 120 opere provenienti dalle maggiori collezioni, pubbliche e private, con numerose novità, a partire dal Bacio, dipinto-icona dell’arte di tutti i tempi, qui presente per la prima volta nelle tre versioni realizzate dal maestro ottocentesco, e dalle lunette affrescate destinate all’ufficio della Borsa di Venezia, a Palazzo Ducale, mai viste in pubblico.
Carlo Franza