L’Aprile di Antonio Fontanesi e la rivoluzione del paesaggio. La lezione di un romantico in mostra a Milano.
Le Gallerie Maspes di Milano (via Manzoni 45) ospitano un’esposizione dedicata a una delle opere fondamentali nell’evoluzione di Antonio Fontanesi (1818-1882) e nella storia della pittura europea di paesaggio del XIX secolo: “Aprile. Sulle rive del lago del Bourget, in Savoia” (1864).
La mostra dossier, ideata da Francesco Luigi Maspes e curata da Piergiorgio Dragone, massimo esperto dell’artista reggiano e autore dei quattro volumi dedicati alla pittura piemontese dell’Ottocento, documenta la genesi di uno dei rari capolavori di Fontanesi ancora in collezione privata. Il dipinto ritorna protagonista di un appuntamento milanese, dopo l’esordio alla Promotrice di Torino nel 1864 e all’antologica Fontanesi, Ragusa e l’arte giapponese nel primo periodo Meiji del 1977-1978 a Tokyo e Kyoto, curata da Angelo Dragone. “Si potrà così rivedere – afferma il curatore – la grande tela, ammirarne i colori intensi e insieme assai delicati, le pennellate materiche e di grande effetto, il vasto respiro della sua composizione basata su una rigorosa articolazione degli elementi nello spazio e, allo stesso tempo, contemplare una straordinaria “pagina” pittorica di quieta natura, intrisa di luce e piena di un tale panico sentimento del paesaggio, che pare tradurre persino una vivida percezione sensoriale del calore del sole e della vibrazione dell’aria, che vediamo nelle nubi che scorrono lievi nel grande cielo, gonfiare la vela sul lago, mentre sembra far impercettibilmente muovere le fronde degli alberi ma pure i cespugli, i fili d’erba dell’ampio prato in primo piano; forse anche la lanugine delle pecore accarezzate dalla luce solare”. Questo dipinto fa vivere la granitura luminosa dell’ Aprile, che pare così tattile e trasparente, da far sì che l’artista raggiunga il più alto grado di poesia, svelandone la sua inquieta sensibilità e un gusto romantico.
Il dipinto è stato sottoposto, dapprima, a un complesso lavoro di indagini diagnostiche condotte da Thierry Radelet, autore in passato di quelle sul Quarto Stato di Pellizza da Volpedo e, in seguito, a un attento restauro eseguito da Enrica Boschetti. In mostra i risultati di questi studi che consentono di approfondire la storia dell’opera. Dipinse quasi esclusivamente paesaggi, nei quali il meditato gioco dei rapporti di luce e d’ombra e il segno nervoso e tormentato, lo portarono a realizzare opere fondate su schemi compositivi sottilmente concettuali; la materia del colore si manifesta con una ricchezza e una libertà che, se pur felicemente connessa con la grande esperienza europea, mantiene un accento inconfondibilmente personale e sa esprimere un intenso sentimento di “infinito” e di profonda poesia. L’evento è stato reso possibile anche grazie alla collaborazione della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, che per l’occasione ha messo a disposizione due importanti taccuini di disegni inediti, recentemente donati al museo, e la tela di Fontanesi “ Il lago di Lemano” che, insieme al dipinto di collezione privata, “Campagna nel Delfinato” (1863), accompagnano il rilevante apparato scientifico della mostra.
Antonio Fontanesi (Reggio Emilia, 23 febbraio 1818 – Torino, 17 aprile 1882) fu il più sensibile dei pittori romantici italiani e uno dei più intimamente partecipi al movimento europeo. Formatosi alla scuola di P. Minghetti, esordì dipingendo paesaggi e vedute. Combatté con Garibaldi (1848-1849), e si rifugiò poi a Lugano e a Ginevra, dove rimase fino al 1865 entrando in contatto con A. Calame e C.-F. Daubigny. Fu a Parigi (1855 e 1861), dove conobbe Corot e Troyon; con loro ed altri amici artisti ebbe regolari soggiorni nel Delfinato, ove strinse amicizia con A. Ravier. Il 1861, l’anno dell’Unità dell’Italia, fu un anno felice per Fontanesi: a Parigi le opere che espose a maggio al Salon (Il Guado, del 1861, e Il prato, che inviò poi a Milano per una mostra a dicembre) furono molto apprezzate da Corot e Troyon; mentre i suoi dipinti esposti a Firenze vennero ammirati dai macchiaioli ed acquistati uno dal re Vittorio Emanuele II (“Dopo la pioggia”, ora alla Galleria d’Arte Moderna di Firenze) e l’altro (“La Quiete” dal Ministero della Pubblica Istruzione che lo destinò alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Torino). Visse a Londra (1865-1866), dove poté ammirare soprattutto Turner e Constable. Rientrato in Italia, abitò a Firenze, dove ebbe modo di incontrare nuovamente Banti, D’Ancona, Tivoli, Cabianca, Signorini e Fattori, ovvero gli artisti che si trovavano al Caffè Michelangelo; tra questi soprattutto Signorini che ostacolò i suoi tentativi di avere una cattedra all’Accademia fiorentina. Nel 1868 fu chiamato a insegnare “figura” a Lucca, e nominato direttore della locale Accademia, per l’intervento del barone Ricasoli. Nel 1869 ebbe infine la cattedra di paesaggio all’Accademia Albertina di Torino, grazie all’appoggio di Ferdinando Arborio Gattinara marchese di Breme e duca di Sartirana che da decenni dimostrava attenzione ed apprezzamento per il suo lavoro di artista. Amareggiato però per le ostilità qui incontrate da parte degli accademici tradizionalisti, nel 1876 accettò di recarsi per tre anni a insegnare nell’Accademia Imperiale di Belle Arti di Tokyo appena istituita, dove lasciò un segno duraturo.Rientrò in Italia prima del previsto, (alla fine del 1878), a causa di una seria malattia contratta in Giappone. Riprese il suo posto di insegnante a Torino, circondato dall’affetto degli allievi e dalla profonda stima di una ristretta cerchia di colleghi e di importanti protagonisti della cultura subalpina più moderna ed internazionalmente aggiornata di quel tempo.
Carlo Franza