index10Mi  sono detto, certe mostre non le trovi in Italia  e sei costretto a girare l’Europa per leggerle.  E’ il caso di questa mostra storica  dal titolo “L’Arte Povera, ieri e oggi” che in chiave pluridisciplinare (arte, musica, danza, cinema, performance, architettura e design) si tiene a Parigi  presso il Centre Pompidou fino al 29 agosto, anticipando i festeggiamenti  per  i 50 anni del movimento che ricorrono l’anno prossimo(1967-2017).index43 L’Arte Povera è stata una tendenza artistica che, rifiutando i valori culturali legati a una società organizzata e tecnologicamente avanzata, ha puntato  al recupero dell’azione, del contingente, dell’archetipo come sola possibilità d’arte. La locuzione fu coniata dal critico G. Celant in occasione della mostra tenuta alla galleria La Bertesca di Genova (1967). E’ pur vero che l’anno di riferimento dell’Arte Povera è infatti il 1967, però occorre precisare  che tale gusto prese il via nel 1964 in risposta alla corrente americana della Pop Art. Il movimento rifiutando  i mezzi espressivi tradizionali (pittura, scultura) fece ricorso a materiali poveri, o a dir meglio “antiartistici”, naturali, organici e industriali (stracci, cartapesta, index8legni, plastiche, neon, scarti industriali, pietre, terra, vegetali,   ecc.),   prendendo    coscienza delle possibilità espressive insite nella matimages4eria vegetale, animale, minerale o persino in un processo mentale elementare.images67images Tale visione, tale gusto, tale orientamento  apparteneva  nell’ambito più generale  dell’arte concettuale, che pure ha dato luogo a manifestazioni diversissime e tra loro autonome. Secondo il suo primo e principale teorico, Germano Celant, che mutuò il termine dal teatro di J. Grotowski, “l’Arte Povera” consiste essenzialmente “nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”. Gusti e tendenze o posizioni analoghe si sono potute  riscontrare negli stessi anni anche in altri paesi in Europa e negli USA. Principali figure del movimento furono gli artisti che parteciparono alla mostra del 1967: Mario Merz, Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Luciano Fabro, Michelangelo Pistoletto. merz-igloo-pompidouA questi si aggiunsero presto Giovanni Anselmo, Mario Ceroli, Brajo Fuso, Piero Gilardi, Luigi Mainolfi, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, P.P. Calzolari, E. Prini, Ferruccio Bortoluzzi e Gilberto Zorio, allargando le forme di espressione di questo movimento fino alla   Junk Art di Alberto Burri. Entrando al Pompidou, si vedono  in bella mostra, nella Galleria 4, la collezione di opere del gruppo,  e  tra le tante esposte ecco  “Le Penne di Esopo” di Pino Pascali (1968), “Achrome” di Piero Manzoni (1959), “Direzione” (1966-67) di Giovanni Anselmo, “Fermacarte” (1968) di Emilio index3Priniindex, “Che fare?” (1968) di Mario Merz e “Notte” di Jannis Kounellis, ma anche il celebre “Senza Titolo” di Anselmo del images441968, che presenta un blocco di granito, filo di rame e una lattuga in decomposizione, e non manca Piero Gilardi con “Totem domestico” (1964). In due sale del museo parigino, al quinto piano, bene squadernata  la sezione dedicata all’architettura e al design, con  riviste, foto, video e oggetti che lasciano leggere “l’architettura povera”. Né manca il focus sulle azioni e  creazioni di designer e architetti della controscuola italiana nominata “Global Tools” -nata nel 1973, con  i nomi di Alessandro index87Mendini e Ettore Sottsass.  L’intera mostra fa scoprire bene tutte le tappe del movimento, un movimento -è bene dirlo- che ha aperto la strada alle installazioni dell’oggi, alle aperture nuove che troviamo in più parti del mondo. Da non tralasciare sia la sezione del cinema  -anche qui Pino Pascali, ma anche Ugo Nespolo che ha lavorato con Merz, Boetti e Pistoletto-   che la sezione danza che fa gustare  un’azione del danzatore e coreografo Thomas Hauert su musiche di Monteverdi, ed  anche “Constructionnisme”, titolo della performance di e con Marius Schaffter & Jérôme Stünzi. Infine ecco, per l’interdisciplinarietà del movimento,  la sezione musica con il festival ManiFeste e Arte Povera dell’IRCAM;   l’evento di un certo effetto è  il kit musicale della sopravvivenza, dal titolo “Archétypes Émotionnels : Musique et Neurosciences Symposium Scientifique International”. Mostra esauriente, chiara, storica, mirata nella raccolta di opere ben significative; ma occorre andare a Parigi per vederla. Non ve ne pentirete.

 

Carlo Franza

 

 

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