Le stanze segrete di Sgarbi in mostra a Osimo. La collezione del critico, esempio unico di bellezza, di storia, di raffinatezza, di vera cultura.
In un antico casale, calato come una sorta di paradiso terrestre nella Pianura Padana, si è negli anni portata a compimento una collezione di eccezionale valore. E’ da questo capitale di bellezza ed economico che nasce la mostra che ha per titolo le “stanze segrete” di Vittorio Sgarbi, evento unico, mirabile, preziosissimo, partita proprio da qui, dai 27 ambienti dove il collega critico Sgarbi conserva la sua immensa e bellissima collezione d’arte: oltre 4 mila opere, una raccolta mai mostrata al pubblico italiano e nota soltanto agli estimatori d’arte suoi amici di casa. Ora immaginate un po’ cosa sono i circa 150 capolavori che sono in mostra nel bellissimo palazzo Campana di Osimo (Ancona), a documentare fino al 30 ottobre un’avventura estetica e umana iniziata più di 30 anni fa, una vicenda collezionistica intrisa di aneddoti, incontri, occasioni, scoperte, studi. E misteri. Ecco allora fino al 30 ottobre 2016, questa rassegna esclusiva, promossa da Regione Marche, Comune di Osimo, Fondazione Don Carlo e Istituto Campana, dove sono esposti, oltre a Gentileschi, anche opere di Cola dell’Amatrice, Lorenzo Lotto, Battista Franco, Andrea Lilio, il Sassoferrato, Pier Leone Ghezzi, Sebastiano Ceccarini, Giovan Battista Nini e Francesco Podesti, con voluta attenzione ai maestri di origine marchigiana. “Lotto, Artemisia, Guercino. Le stanze segrete di Vittorio Sgarbi” : questo il titolo della rassegna, che vuol dire proprio quelle “stanze segrete”, uno scrigno mai svelato, appunto, che il critico ha riempito con cura e talvolta anche con disordinato rigore, mettendo i riconosciuti maestri della storia dell’arte al fianco di tanti minori. Opere che provengono dalla collezione Sgarbi, esempio unico per i tanti studiosi, amici, scrittori, studiosi, che con l’arte dibattono ogni giorno. Non magazzino né deposito, ma tutto in mostra con Tiziano, Lorenzo Lotto, Guercino, Artemisia Gentileschi, Guido Cagnacci, Jusepe De Ribera. Grandi maestri contendono lo spazio ai meno noti Giovanni Andrea Donducci, Pietro Damini, Orsola Maddalena Caccia; e ancora centinaia di altri artisti sconosciuti al grande pubblico. Tutto potè partire dalle lezioni di Bruno Cavallini, uno zio letterato di Sgarbi, poi da quelle mirabili lezioni di Francesco Arcangeli all’Università di Bologna, appassionato allievo di Roberto Longhi, e ideatore di quel capitolo che è stato il “naturalismo padano”. L’idea di collezionare arte venne dalla frequentazione di Mario Lanfranchi, collezionista-maestro perfetto, a detta dello stesso Vittorio Sgarbi. L’idea del collezionare partì dal 1983, quando Sgarbi acquistò uno straordinario “San Domenico” di Niccolò dell’Arca. Ora questa collezione ha certamente un filo conduttore, compreso l’ansia collezionistica del grande Sgarbi che si è mosso con il desiderio di possedere tutto ciò che lo potesse interessare.
Sgarbi è, ed è stato, talmente amante dell’arte che avrebbe potuto avere certamente una cattedra di storia dell’arte in una delle nostre università italiane, anche per “chiara fama”, piuttosto che vedere figurine senza sapere e senza storia che siedono su cattedre a cui il posto sta proprio stretto. Sgarbi mosso dal desiderio di vivere e conoscere, è diventato un cacciatore-raccoglitore alla continua ricerca di ciò che non c’è, di ciò di cui si parla poco o non si parla affatto, ossia puntare sui grandi maestri non conosciuti con le loro opere d’arte sublimi e mai censite. Sgarbi ha svelato in un’intervista che “nel 1984, nello studio di un antiquario veneziano frequentato anche da storici valorosi come Carlo Volpe, Erich Schleier, e Pierre Rosenberg, vidi la “Sibilla” del pittore ferrarese Carlo Bononi”. In un intervista ad Antonio Carnevale su Panorama Sgarbi ha confessato: “Pensai che quell’opera fosse lì per me: veniva da Ferrara, la mia città, e mi pareva che mi chiedesse di essere mia. Non ero ricco, ma grazie a una collaborazione con la rivista FMR potevo contare su un introito generoso. Quel giorno però i soldi non li avevo. O comunque li avevo già spesi. Così, in perfetta mala fede, feci un assegno scoperto, caricai la Sibilla sul tetto dell’automobile, e me la portai a casa. È ancora lì, da oltre 30 anni”. Così Sgarbi. “Perché poi i soldi arrivarono… con i programmi televisivi, tanti” ha detto ancora Sgarbi. E’ lui stesso ad ammettere nell’intervista ad Antonio Carnevale: “Le opere che ho acquistato sono state pagate tutte con quei guadagni. In tutto avrò speso più di 20 miliardi di lire. Ai tempi della lira ero sotto di due miliardi. Poi sono diventati due milioni di euro. Ora ho perso il conto”.
Collezionista di primordine, dove il denaro è stato funzionale alla bellezza, all’arte, così come faceva D’Annunzio. Un collezionista può trascurare il denaro ma non la storia , così è stato per quell’ “Allegoria del temp” di Guido Cagnacci, che è uno dei pezzi più intensi in mostra a Osimo, un dipinto firmato, una delle opere fondamentali dell’autore. Quel dipinto, che ai simboli del tempo unisce i profumi della passione, è la migliore chiave di lettura per l’intera collezione di Sgarbi: una raccolta divisa tra la passione della ricerca e il desiderio che il passato possa rivivere sempre. La grande raccolta del critico è stato infatti l’unico mistero -ormai svelato- della sua vita. Sgarbi non ha mai nascosto alcun aspetto della sua esistenza. Studioso, critico, politico, opinionista, ecc. Ora, finalmente Osimo, ospita una parte importante della collezione. L’esposizione è dedicata alla madre di Vittorio Sgarbi, Rina Cavallini, che è venuta a mancare lo scorso novembre e che un grande ruolo ha avuto nella costruzione dell’intera collezione, era proprio lei a tener banco a quasi tutte le aste alle quali il figlio teneva. La stessa madre ha lasciato un testo di brillante levatura, ringraziando il figlio e dicendo “che con queste opere non ha mai smesso di riempirmi la testa di bellezza”. Non è poco, è moltissimo. Sgarbi è Sgarbi. Complimenti al collega critico che ha messo in cornice le grandi bellezze italiane di secoli diversi.
Carlo Franza