La Corte dell’Aja ha sentenziato in difesa del patrimonio culturale. Distruggere opere e monumenti è crimine di guerra.
Era proprio ora che si arrivasse alla sentenza della Corte Penale Internazionale (CPI) nel processo contro Ahmad al-Faqi al-Mahdi, primo jihadista membro del gruppo estremista di Ansar Dine, accusato della demolizione di nove antichi mausolei e della celebre moschea Sidi Yahia di Timbuctù, in Mali. Al Qaeda: “distrutta per sempre in Mali la moschea di Sidi Yahya, datata 1440, nella città di Timbuctù, dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’Unesco.”
Un evento storico senza precedenti, poiché non era mai accaduto prima che nello storico Tribunale dell’Aja le distruzioni del patrimonio culturale e storico venissero iscritte tra i crimini di guerra. Adesso vedremo se questi jihadisti persevereranno nella loro insulsa dabbenaggine del distruggere opere d’arte, chiese, mausolei e tutto ciò che è patrimonio storico e culturale dell’umanità. Lo abbiamo visto anche giorni fa che un tale musulmano, al solito grido che non voglio ripetere, si aggirasse per Roma e colpisse statue in ben tre chiese della capitale. Sarà anche lui processato all’insegna di questa storica sentenza in difesa del patrimonio culturale. Eppure tali misfatti sono utilizzati frequentemente per intimidire e sottomettere popolazioni in contesti di guerra, andando a colpire o meglio ad aggredire non solo la loro persona ma anche la loro identità. Ahmad al-Faqi al-Mahdi è stato dichiarato colpevole e la sentenza è stata emanata il 27 settembre; condanna a nove anni di carcere per il fondamentalista tuareg che aveva ammesso la propria responsabilità (“Tutte le accuse che mi si imputano sono precise e corrette” aveva dichiarato al processo) manifestando poi rimorso per la furia iconoclasta in concomitanza con la presentazione del restauro della porta della moschea di Sidi Yahia, avvenuta solo pochi giorni fa. Il verdetto di condanna, la sentenza esemplare, è certo un primo passo per questo momento storico che si apre per la tutela dei beni culturali, infatti segna proprio il capolinea dell’impunità per le azioni distruttive contro il patrimonio collettivo. Distruggere un monumento, cancellare un santuario, dare fuoco ad una biblioteca, polverizzare una statua – proprio come è avvenuto a Roma in Santa Prassede- , da oggi vale quanto la violenza sulle persone. Questa presa di posizione, questo sanzionamento, stabilisce un importante passo avanti nel processo di costruzione di un sistema internazionale per la salvaguardia dei beni storici, artistici e archeologici nelle aree di crisi e, con questa notizia che oggi ci giunge dall’Aja, l’Italia si trova impegnata attivamente nella formazione e nell’addestramento della prima task force “Unesco Unite4heritage”.
Oggi con questa sentenza si è giunti a una vittoria della cultura e dell’arte, perché un organismo internazionale come la Corte dell’Aja ha sbarrato la strada a chi compie misfatti contro il patrimonio mondiale.
Carlo Franza