Domenico Spinosa, 100 anni dopo. Una retrospettiva a Napoli mette in luce uno dei grandi maestri dell’ Informale italiano.
Nel centenario della nascita dell’artista Domenico Spinosa (Napoli, 1916 – 2007), il Polo museale della Campania e l’Accademia di Belle Arti di Napoli, in collaborazione con il Museo e Real Bosco di Capodimonte, ha fatto promuovere la retrospettiva “Domenico Spinosa. 100 anni dopo”, ospitata negli spazi del Museo Pignatelli.
Il progetto espositivo, a cura di Valentina Lanzilli e Aurora Spinosa, vede raccolte circa 50 opere dagli anni Cinquanta ai primi del Duemila, da mostrare in modo significante un inedito percorso dedicato ad uno tra i maggiori interpreti dell’Informale in Italia, attraverso i siti museali della città che custodiscono, nelle loro collezioni permanenti, le opere di Spinosa. Il Museo e Real Bosco di Capodimonte, il Museo Novecento a Napoli a Castel Sant’Elmo, la Galleria dell’Accademia di Belle Arti costituiscono il circuito di luoghi d’arte che aprono al percorso espositivo del Museo Pignatelli. A Villa Pignatelli, già nel 1979, Domenico Spinosa era stato protagonista di una mostra antologica, mentre l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove il Maestro è stato Direttore e docente di Pittura dal 1973 al 1986, dopo aver svolto per dieci anni nella stessa istituzione l’insegnamento della Scuola Libera del Nudo, nel 2010 gli ha dedicato, a tre anni dalla sua morte, una importante personale.
Ora il Museo Pignatelli ospita nuovamente una grande mostra su Domenico Spinosa con opere provenienti da varie istituzioni museali e collezioni private, che testimoniano alcuni dei passaggi fondamentali della storia dell’artista napoletano sempre fedele alla maniera informale, incurante di mode e di scuole e continuamente impegnato a sperimentare impasti cromatici, trasparenze, scansioni di colori e di superfici fino alla fine della sua carriera. Per cui usava ripetere: “La mia vita è tutta nella mia pittura”. Vincitore di premi e riconoscimenti italiani e internazionali, ha esposto in gallerie private e musei in Italia e all’estero. Nel 1951 fu invitato alla Quadriennale d’Arte di Roma, a cui seguirono altre partecipazioni nel 1955, 1973 e 1986. Dal 1954 al 1958 è stato costantemente presente alla Biennale di Venezia che, alla sua XXX edizione, nel 1960, ha tributato al maestro napoletano un prestigioso omaggio dedicandogli un’intera sala. La collega Lea Vergine scrisse allora: “Mai come oggi credo che Spinosa sia riuscito a trattenere sentimenti ed intenzioni, attraverso le 15 tele che lo mostrano nel pieno di una delle più delicate ed indicative fasi della sua poetica” (“Nostro Tempo”, 1960).
Tra le opere in mostra vanno messe in evidenza, “Macchina per tessitura” (1957), fu acquistata durante la “V Mostra Pittori d’Oggi Francia – Italia” al Palazzo della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino nel 1957; oggi fa parte della collezione della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino. Ancora, “Natura morta con manichino”(1957) che si aggiudicò il primo “Premio Nazionale di Pittura Francesco Paolo Michetti” nel 1957, il più importante e antico concorso annuale in Italia di arte nazionale ed internazionale, che dal 1947 ad oggi -con un’unica pausa nel 1969 quando vennero aboliti i premi sull’onda delle contestazioni dell’epoca-, ininterrottamente, ha distribuito premi ad artisti rappresentativi delle molteplici e complesse correnti del XX e XXI secolo; il dipinto di Spinosa è oggi a Francavilla al Mare e fa parte della collezione della Fondazione Premio Michetti (Collezione Provincia di Chieti). E ancora in bella mostra “Interno grigio” (1958), oggi in una collezione privata di Treviso, una delle opere presentate nella sala personale dedicata all’artista nella XXX edizione della Biennale di Venezia del 1960 dedicata all’Informale. E’ lo stesso Spinosa che molti anni più tardi, in occasione del suo ottantatreesimo compleanno, ricorderà questa tappa importante in un’intervista: “Ho partecipato per concorso alla Biennale di Venezia per alcuni anni, nel 1960 alla XXX Biennale ho avuto l’onore di una Mostra Personale”. Invece “Il pendolo” (1972) è una delle opere esposte nella sala personale a lui dedicata alla “X Quadriennale” romana del 1972, nella sezione “La situazione dell’arte non figurativa” inaugurata nel 1973 (collezione Spinosa).
Vediamone insieme il percorso, si parte dalle opere degli esordi che risentono del clima di novità e sperimentazione venutosi a creare in Italia nel secondo dopoguerra con opere come “Paesaggio flegreo” (1953), “Natura morta” (1954) e “Sole e barche” (1955) nelle quali l’artista assorbe e riflette alcune delle suggestioni degli schemi neocubisti, della poetica astratto-concreta, assumendole come parte della ricerca complessa e serrata dell’impasto, nel sovrapporsi degli strati di colore, o traducendole, per un’interna spinta emozionale, nel segno e nella traccia del gesto, avvicinandosi così all’esperienza dell’Informale diffusosi in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta con declinazioni diverse e diverse aggregazioni di cui diventa il primo riconosciuto rappresentante internazionale per la sua città. “Il lavoro di Spinosa, si è legato, quasi come a un destino, qualche anno più tardi, nel 1954, al disegno critico elaborato da Francesco Arcangeli e racchiuso dall’emblema Gli ultimi naturalisti. Gli artisti che il critico bolognese raccoglie intorno a quest’emblema, -“non sono un gruppo”- dice, “hanno, dietro le spalle, il postcubismo, il postfauvismo, l’astrattismo”. Hanno davanti il neorealismo e “ne sono insidiati come da un corpo estraneo” ( così il collega A. Trimarco in Domenico Spinosa. Una vita per l’arte 1916 – 2007, Skira Milano, 2016).
E ancora così L. Starita (Domenico Spinosa. Una vita per l’arte 1916 – 2007, Skira Milano, 2016): “La sua ricerca, pur nella sua coerenza, mostra la capacità di rinnovarsi e di cogliere, in maniera originale e personale, istanze di contemporaneità: se il dato di realtà aveva, inizialmente, pur persistendo, ceduto il passo a una più libera costruzione dell’immagine, i suoi dipinti tendono, ora, a esaltare la bellezza oggettiva dei colori e delle forme, assumendo, a prescindere dalle loro dimensioni, un respiro spaziale ampissimo mentre le preziose, straordinarie rese atmosferiche rispondono tutte a un rigoroso controllo che nulla toglie al lirismo della composizione. […] Fissa immagini vivissime eppure labili e fugaci, nella rinnovata e più fragile e preziosa stesura cromatica. Alle tematiche familiari ed evocative si affiancano anche indagini nel mondo della natura: farfalle, larve, libellule, zanzare, gabbiani, granchi, galli, cavalli diventano i soggetti-pretesti della sua pittura”.
C’è di più, una mostra nella mostra, in quanto le opere di Domenico Spinosa, esposte al Museo Pignatelli, dialogano in modo serrato e storico con opere di altri protagonisti della stagione informale in Italia, provenienti dalla GNAM- Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma; eccone alcuni, Ennio Morlotti (Lecco, 1910 – Milano, 1992), Mattia Moreni (Pavia, 1920 – Brisighella, 1999), Pompilio Mandelli (Villarotta di Luzzara, 1912 – Bologna, 2006), Giuseppe Santomaso (Venezia, 1907 – 1990), Piero Ruggeri (Torino, 1930 – Avigliana, 2009) e Luigi Spazzapan (Gradisca d’Isonzo, 1889 – Torino, 1958).
La mostra offre, dunque, uno spaccato storico sulla vita -ricordo che il mio incontro con Spinosa avvenne nel suo studio con il gallerista Lino Malagnini – e sull’arte di uno dei più significativi artefici dell’arte informale italiana tra anni Cinquanta e Sessanta, attraverso una selezione di opere, espressione di una incantevole poetica di segno e materia.
Carlo Franza