IMG_2240-15-03-17-13-33Ancora  un libro di poesie  di Menotti Lerro, giovane professore salernitano  ormai milanese di adozione. Ha per titolo “Decanto”(Giuliano Ladolfi editore,2017). Per la verità il manoscritto iniziale aveva un altro titolo, ovvero “In Vino veritas” che ha poi lasciato il posto all’attuale. Forte, saporoso, linguisticamente intenso, potrei considerarlo questo libro anche una sorta di diario, in cui scorre una poesia ininterrotta, capace di suscitare anche scompiglio e turbamento(“… morto/ corpo vivo/ giulivo /assetato di coppe/ di vino /di carne infuocata/ strani presagi/ morsi randagi…”). E’ una linea  diaristico-colloquiale  che si offre al lettore  in presa diretta sulla realtà d’un’occasione, senza mediazioni né schermi. Il verso lerriano oggi si offre nel pronome di  prima persona, l’io biografico, psichico e intellettuale  che afferra il tempo come materialità divorante, forza erotica che convive con la materia,  e accerta una costanza  nella posizione del soggetto  rispetto al proprio  universo di discorso(“…Io credo che Dio ci abbia inventati/ per mostrare e condividere/una sconfinata solitudine.”).

Menotti_LerroTutto parte dal fuoco che accalora  la carne e il pensiero, e arrovella con taluni elementi lessicali  il paese, le figure, le persone care, gli oggetti, la città dove oggi vive (“…Poi de-canto Omignano/e, se capita, Milano/che tutto comprende/e se bestemmi, o assommi turpiloqui/in qualche piazza, non si offende.”).  Ragioni di un tempo  che la febbre del vino consuma  e fa volgere tutto in mito. E’ ormai la lingua della verità a decantare ogni cosa, a circoscrivere oggetti, luoghi e persone, mentre una voce malinconica  grida i ricordi, i significati, i sensi, le ormai contraddizioni.

Menotti Lerro ci consegna un libro autentico, una raccolta di poesie  direi anche di ascendenza leopardiana   che pare mimare la complessità del pensiero interiore,  di un canto non più esterno ma sotterraneo, dove il verso è decantato  e affidato a misure canoniche  a elementi ritmico-timbrici  che intralciano volutamente  il percorso concettuale per dare alla materia espansioni e contrazioni più intense, più vere, più primitive.

Nella raffinata compattezza del dettato, queste poesie di Menotti Lerro sono un breviario prezioso tollerabile sul piano razionale, nonostante il suo senso profondo,  di chi come il nostro poeta ha verificato il senso sospeso della vita, ormai affidato a un discorso interminabile,  e interminabilmente  interrogativo. D’altronde la verità  sta in quel sapere  che non si totalizza mai, in quel sapere  che manca continuamente a se stesso. Disfatta e smarrimento, perdita della mèta  e di riferimenti in un viaggio ormai iniziato, l’esistenza si consuma, per Menotti Lerro, a cascata  e intoppa  in una serie di cose-sostanze del mondo, (fisico e mentale), divenendo  anche la verità della sua anima. “Decanto” è un libro sibillino, che rovescia il negativo  affidando ai versi l’ordine simbolico, culturale e sociale  del mondo che vive dentro e fuori la storia del poeta, e facendosi, infine, pulsionalmente, libro della “esperienza interiore”.

Carlo Franza     

 

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