“ Decanto” di Menotti Lerro. Nuovo libro di poesie di un poeta italiano che racconta la sua esistenza.
Ancora un libro di poesie di Menotti Lerro, giovane professore salernitano ormai milanese di adozione. Ha per titolo “Decanto”(Giuliano Ladolfi editore,2017). Per la verità il manoscritto iniziale aveva un altro titolo, ovvero “In Vino veritas” che ha poi lasciato il posto all’attuale. Forte, saporoso, linguisticamente intenso, potrei considerarlo questo libro anche una sorta di diario, in cui scorre una poesia ininterrotta, capace di suscitare anche scompiglio e turbamento(“… morto/ corpo vivo/ giulivo /assetato di coppe/ di vino /di carne infuocata/ strani presagi/ morsi randagi…”). E’ una linea diaristico-colloquiale che si offre al lettore in presa diretta sulla realtà d’un’occasione, senza mediazioni né schermi. Il verso lerriano oggi si offre nel pronome di prima persona, l’io biografico, psichico e intellettuale che afferra il tempo come materialità divorante, forza erotica che convive con la materia, e accerta una costanza nella posizione del soggetto rispetto al proprio universo di discorso(“…Io credo che Dio ci abbia inventati/ per mostrare e condividere/una sconfinata solitudine.”).
Tutto parte dal fuoco che accalora la carne e il pensiero, e arrovella con taluni elementi lessicali il paese, le figure, le persone care, gli oggetti, la città dove oggi vive (“…Poi de-canto Omignano/e, se capita, Milano/che tutto comprende/e se bestemmi, o assommi turpiloqui/in qualche piazza, non si offende.”). Ragioni di un tempo che la febbre del vino consuma e fa volgere tutto in mito. E’ ormai la lingua della verità a decantare ogni cosa, a circoscrivere oggetti, luoghi e persone, mentre una voce malinconica grida i ricordi, i significati, i sensi, le ormai contraddizioni.
Menotti Lerro ci consegna un libro autentico, una raccolta di poesie direi anche di ascendenza leopardiana che pare mimare la complessità del pensiero interiore, di un canto non più esterno ma sotterraneo, dove il verso è decantato e affidato a misure canoniche a elementi ritmico-timbrici che intralciano volutamente il percorso concettuale per dare alla materia espansioni e contrazioni più intense, più vere, più primitive.
Nella raffinata compattezza del dettato, queste poesie di Menotti Lerro sono un breviario prezioso tollerabile sul piano razionale, nonostante il suo senso profondo, di chi come il nostro poeta ha verificato il senso sospeso della vita, ormai affidato a un discorso interminabile, e interminabilmente interrogativo. D’altronde la verità sta in quel sapere che non si totalizza mai, in quel sapere che manca continuamente a se stesso. Disfatta e smarrimento, perdita della mèta e di riferimenti in un viaggio ormai iniziato, l’esistenza si consuma, per Menotti Lerro, a cascata e intoppa in una serie di cose-sostanze del mondo, (fisico e mentale), divenendo anche la verità della sua anima. “Decanto” è un libro sibillino, che rovescia il negativo affidando ai versi l’ordine simbolico, culturale e sociale del mondo che vive dentro e fuori la storia del poeta, e facendosi, infine, pulsionalmente, libro della “esperienza interiore”.
Carlo Franza