“Stagioni”, è la nuova plaquette di poesie di Gianluca Baggio. Un libro che narra l’ossessiva esistenza.
Per le edizioni BZbooks editore (collana Il faro) è appena uscito un nuovo libro di poesia di Gianluca Baggio dal titolo “Stagioni”. Mi sovvengono frasi basilari che aiutano a leggere versi dolorosi, memorie intense, parole vibranti, l’ossessiva esistenza. “Ogni poesia è misteriosa; nessuno sa interamente cosa gli è stato concesso di scrivere” (Jorge Luis Borges, Obra poética, 1923/76 -prologo). E ancora calza nel discorso su Baggio la frase “Scrivere poesie non è difficile; difficile è viverle. (Charles Bukowski, Lettera a John William Corrington, 1961). Specie quest’ultima lascia affrontare la lettura di questa plaquette carica di azioni, di figure, di incontri, di sconfitte, di doloroso tempo che avvolge l’esistere. Non è poco, Gianluca Baggio ha scritto un libro vero, come pochi oggi possono fare, ha scritto un libro che medica ferite aperte, ha scritto un libro che porta a riflettere sul senso delle cose e del mondo, ci porge versi che paiono aghi di bussola.
La poesia di Gianluca Baggio si colloca in quell’arduo confine -vera poesia di frontiera- in cui una parte della poesia contemporanea si ritrova, individuandone l’esclusività e la particolarità, il martirio e la solitudine, l’unicità di un avvio ancora simbolistico, ma per il nostro poeta si apre anche una finestra contraria nel senso di effusione comunicativa, di inclinazione verso un discorso che approssima la prosa, che non si avvale di sola e monodica verticalità lirica, ma si apre alla ricchezza dei contenuti e alle soste, al travaglio quotidiano, alle assenze della vita(…sognando un altro secolo/ di sfumature opache/ nella perfezione dei tessuti e/ nel candore dei colori/ nessuno c’era mentre/ fate leggiadre m’accompagnavano/ nel selfie notturno/…).
Questo libro di poesia rispetto ai precedenti, procede e matura per nuclei tematici e aggregazioni che via via si armonizzano e dilatano nella lente della memoria familiare e in essa del tempo (…la buona luce del meriggio/ m’abbaglia nel lieto pensare/ ad un fugace e tumultuoso/ tempo dell’anima/…).
In ogni verso scorre la poesia-romanzo, l’elegia familiare, cruda ma ariosa e ritmica, che fa trovare fino in fondo il fuoco e il passo lungo della memoria poetica. E’ il tempo che diventa affresco, un movimento che sfuma luoghi interni ed esterni, figure e occasioni, azioni, arredi e dettagli. Le immagini sfumano in un ritrattismo e autoritrattismo in versi, la cui aurea matrice impressionistica trova accenti anche più corposi in giornate di malattia e degenza(…Oggi la mano trema incostante e/ fragile scorre sulla carta/ senza sosta/ alla malattia/…). Ma questo romanzo-poetico segue e insegue il flusso della vita, diventa così il libro cardine del pensiero fibrilloso di Baggio, dove la sua donna e i suoi cari rientrano come motivi del suo scavo e delle sue risoluzioni, troppo umane immagini che sottolineano la maturità e la paternità, il tempo irrecuperabile per l’esistenza del poeta. E in questi versi si assapora una vita apparentemente uniforme, ma infuocata e lavica, per le mille vicissitudini, ritmata dal senso dei giorni che scorrono e che divengono quotidianità poetica stratificata come in un arazzo, che animano, muovono, e interiormente sommuovono le inquietudini del poeta, che ne sono profondo terreno di coltura.
In molti di questi versi, spesso di una musica affranta, c’è il pensiero della storia e della quotidianità, della filosofia esistenziale che pulsa in ogni termine e stringe misteriosamente figure e luoghi fra nevrosi e magie(…Insensata ricerca dell’elevazione/ al cielo senza più/ gravità e confini a/ colmare il vuoto dell’incoscienza/…).
Il quotidiano si spezza,si rompe, si ricompone, e questa poesia non è solo l’idea del mondo, ma anche l’idea del suo mondo, ormai diventata reliquia di un naufragio(…forse la morte/ tanto contemplata/ riassumerà il/ mio cuore/…).
Ed è ancora nel tempo che si specchia la ricerca di Baggio, il suo esistere forsanche ossessivo che si interroga e fa interrogare proprio per uscire dal male di vivere, laminato al fuoco della propria coscienza, volto alla geometria di una stella che brilla in fondo a un labirinto. La compattezza di questo libro si salva perché è vivo l’ardore della memoria che le dà speranza e ancor più raccoglie e svela voce e luce interna del poeta.
Carlo Franza