George Drivas comunica con il cinema il dramma della sua Grecia. E’ presente con due mostre, sia al Padiglione Greco della 57ma Biennale di Venezia che alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.
La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (fino al 24 settembre) presenta la mostra “George Drivas Uncinematic”, una selezione di opere cinematografiche realizzate tra il 2005 e il 2014 dall’artista greco George Drivas, che rappresenta anche la Grecia alla 57.ma Biennale di Venezia (fino al 26 novembre). Osservando le opere del greco George Drivas ci si chiede, è cinema, è arte o è teatro. Le sue rappresentazioni richiamano tanto le inquadrature bianco/nero di Antonioni. Ma osservate bene, e lo dico a chiare lettere, che se oggi l’arte non è politica non è arte. Con Drivas il messaggio politico è chiare e il suo fare, il suo parlare con il mezzo cinematografico è arte. Provate a vedere le inquadrature, il paesaggio assoluto, metafisico, con l’uomo sperduto in questo habitat, in queste architetture e i volti impenetrabili di chi vive realtà irreali eppure presenti. Schermi e monitor, attori giudici con lo sguardo di Charlotte Rampling che attraversano anche i temi delle “Supplici” di Eschilo. E non c’è solo il Padiglione greco alla Biennale rappresentato da questo grande artista/filmaker , perché la rassegna di opere datate dal 2005 al 2014 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea fanno leggere un mondo di incompresi, dove regna sovrana l’incomunicabilità, con sguardi quasi autistici. Cosa vi leggo dietro? Eccolo, il dramma e lo strangolamento dell’Unione Europea cerso la Grecia, patria di Drivas. E’ un atto d’accusa grave e resistente.
Drivas crea video narrativi basati sull’immobilità e in gran parte delle sue opere utilizza una straordinaria sequenza di immagini ritmicamente alternate capace di portare in primo piano il legame sotterraneo che, da sempre, unisce fotografia e cinema, ponendo in risonanza le fertili connessioni che sottotraccia uniscono immagine statica e immagine dinamica. Dice l’artista: “Ogni mio lavoro si sviluppa lungo due direzioni: da un lato la linearità, la narrazione, il racconto di qualcosa che procede e che si sviluppa, dall’altro l’irreale, la pausa, il dimenticarsi di come andrà a finire, congelati nel momento fotografato…”. Per Drivas si tratta, infatti, di creare una nuova concezione di spazio vs. tempo, un nuovo modo di presentare e/o di seguire una storia attraverso la costruzione di una “ “lentezza velocizzata”, simile al non-ritmo dei sogni, una rapidità percepita in maniera quasi ipnotica, cosicché il tempo e la durata diventino quasi irrilevanti”. La sua indagine di questo decennio coinvolge sperimentazioni sull’immagine ferma o in movimento, narrativa o non narrativa, e ricerca una lingua astratta sia nel contenuto sia nella forma. I suoi film potrebbero essere ambientati in qualsiasi momento e ovunque, nel futuro o nel passato, in quanto trasmettono contemporaneamente un aspetto futuristico e retrò. Le immagini della fredda architettura modernista catturata dalla sua videocamera o macchina fotografica proiettano un’atmosfera di malinconia e di alienazione, mentre il paesaggio urbano mette in scena temi cruciali come questioni esistenziali, relazioni umane, mancanza di comunicazione, desideri sessuali insoddisfatti sullo sfondo di una società della sorveglianza. George Drivas dice tutto ciò con un film.
Carlo Franza