Alla Germania il Premio per il Miglior Padiglione, alla 57° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. L’opera ultra concettuale è un ritratto nudo e crudo del potere.
Su invito della curatrice Susanne Pfeffer, l’artista Anne Imhof ha realizzato per il Padiglione Tedesco alla 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia un lavoro titolato “Faust”. L’intervento dell’artista tedesca è stato premiato con il Leone d’Oro. L’opera ultra concettuale e completata da una performance, è un rito molto nudo e crudo del potere che stritola l’uomo e lo rende inerme, meglio lo cosifica. Nell’adattamento agli spazi e all’edificio, la nuova opera, concepita insieme al consueto team di performer, si moltiplica in nuove e avvincenti composizioni, quasi si generassero per partogenesi. . “Faust” da un lato si presenta in una in scena di oltre cinque ore, dall’altro in uno scenario fisso che permane per tutti i sette mesi. Esso è costituito da una dinamica performativa, un’installazione sculturale, una riduzione pittorica e una precisa coreografia degli angoli di visuale e dei movimenti che comprende l’intero padiglione. “Faust” diventa non solo una presenza assoluta, che cattura subito l’osservatore in modo immediato , ma addirittura uno spazio, una casa, un padiglione, un’istituzione, uno stato. Persino il pavimento e le pareti in vetro rendono fluido lo spazio, come avviene spesso nei centri del potere e del denaro. E’ così che i confini spaziali rivelano ogni cosa rendendola visibile, mettendola sotto pressione. Il pavimento solleva i corpi come sull’altare e gli interpreti della performance ne amplificano le proporzioni dello spazio. Dappertutto, sopra e accanto a noi ci sono i corpi come fenomeno singolo e collettivo. In posizione rialzata e quasi fetale i performer si muovono attraverso, sotto e sopra il padiglione. Paiono su quei piedistalli in vetro vetri Se ne stanno in piedi su isolati piedistalli in vetro corpo, scultura e, potrei dire , merce. Balza agli occhi la scena irreale come ci trovassimo in una costruzione di potere e impotenza, arbitrio e autorità, resistenza e libertà. Al di fuori nel proprio territorio, i cani sorvegliano la casa. Premuti contro il vetro, i corpi si deformano fino a sembrare un irriconoscibile ammasso di carne. Le mani parlano, anche quando soddisfano il proprio sesso. Tutto è nudo come è nuda la vita. Si può parlare anche di economia sessuale. La masturbazione quale regressione e resistenza, quale morte della sessualità e, al contempo, quale immagine di una sessualità che serve solamente al consumo visivo. Il piacere non nasce nell’atto sessuale, bensì nell’atto del vedere ed esser visti. Liberi forzatamente da ogni personalità, ecco la zombizzazione del corpo capitalizzato. “Il potere non ha mai saputo diffondersi così rapidamente nel corpo sociale e non è mai stato così difficile da fissare”. (Paul B. Preciado). D’altronde l’essenza del capitalismo è il consumo sfrenato dei corpi. La trasparenza del vetro rende allo sguardo del fruitore di andare verso gli interpreti della performance e poi tornare indietro; il vetro divisore crea distanza e autopercezione, un consapevolizzarsi dell’osservazione. Gli sguardi si incontrano, ma non nasce una comunicazione, si perpetua un silenzio irreale. I performer scorgono qualcuno, ma non lo riconoscono. Si è nel mezzo di atti performativi, ma non si sarà mai parte di essi. Gli interpreti fanno la loro comparsa secondo il genere, ma certo in modo stereotipato. I movimenti individuali e i gesti del singolo sono in contraddizione con i movimenti uniformi e guidati da messaggi testuali, che ricordano dei codici sociali involontari e ripetuti incessantemente in modo meccanico. Così questi corpi ammaestrati e fragili sembrano un materiale permeato da strutture di potere invisibili. Sono soggetti in una lotta perenne con la propria cosificazione. Ai bio-tecno-corpi è inerente la comunicazione mediale. I performer sono consapevoli che i loro gesti non sono fini a se stessi, ma che esistono soltanto nella loro medialità. Tutto si consuma e diventa merce digitale. In un’epoca fortemente caratterizzata dalla medialità, le immagini non solo ritraggono la nostra realtà, ma la creano. In una società quale quella che si presenta cos’è la colpa? Certo non legata a problemi religiosi bensì alla responsabilità individuale. E la malattia non è un castigo divino, bensì una colpa propria. Ecco il corpo trasformato in capitale e il denaro ormai l’unico parametro di riferimento. Il corpo è oggetto di consumo del libero mercato. Nel capitalismo il dominio del denaro è assoluto. Come nel “Faust” di Goethe, vogliamo vendere qualcosa che neanche c’è. Non c’è l’anima, non ci sono le merci dell’economia finanziaria e tuttavia il sistema funziona. La resistenza a tutto ciò diventa balneare solo come gruppo. E’ certo che sulle balconate e sui recinti, sul fondo e sul tetto, i performer occupano quello che possiamo chiamare spazio, casa, padiglione, istituzione, o anche stato, ma uno stato anomalo .
Carlo Franza