Jack Kerouac padre della Beat Generation. AL Museo MA*GA DI Gallarate la prima grande mostra dedicata all’attività pittorica e grafica.
Il MA*GA di Gallarate ospita una grande mostra dedicata all’attività pittorica e grafica di Jack Kerouac, una delle icone letterarie del XX secolo. La rassegna, curata da Sandrina Bandera, Alessandro Castiglioni ed Emma Zanella, è organizzata dal MA*GA con il Comune di Gallarate, con il sostegno di Ricola, Heritage Art Foundation e Fondazione Cariplo e in collaborazione con il Rivellino LDV, Locarno (CH). Attraverso 80 opere, tra dipinti e disegni, la rassegna presenta un lato finora poco esplorato e inedito in Italia del padre della Beat Generation. Il percorso espositivo si arricchisce di fotografie di Robert Frank ed Ettore Sottsass, materiale documentario storico e un progetto di Peter Greenaway, oltre a un’intervista ad Arnaldo Pomodoro pubblicata in catalogo, che rievoca la sua esperienza alla Stanford University, in California, del 1966. “Dipingo solo belle cose. Uso vernici da pareti e colla, uso il pennello e le punte delle dita. In pochi anni potrei diventare un pittore di primo piano. Se lo voglio. E quando potrò vendere i mie dipinti potrò comperarmi un pianoforte e comporre musica. Perché la vita è una noia. (Jack Kerouac, October 10, 1956, Mexico City).
L’esposizione, dal titolo “Kerouac. Beat Painting”, presenta 80 tra dipinti e disegni, in gran parte esposti per la prima volta in Italia, capaci di proiettare una luce del tutto inedita sull’attività artistica del padre della Beat Generation. In particolare, viene analizzato il suo labirintico processo creativo e le sue relazioni con la tradizione della cultura visiva americana, con gli altri autori del movimento Beat, da Allen Ginsberg a William Borroughs e i maestri della pittura informale e della Scuola di New York che Kerouac iniziò a frequentare dalla seconda metà degli anni cinquanta del secolo scorso. La forza di queste opere risiede soprattutto nell’identità totale che Kerouac seppe condensare tra vita, produzione letteraria e ogni altra espressione creativa come la musica, il canto, la poesia, il cinema. È un’occasione unica per ammirare le opere di Kerouac, finora esposte in solo alcuni selezionati musei come il Whitney Museum of American Art di New York, il Centre Pompidou di Parigi e lo ZKM di Karlsruhe e rimaste per decenni a Lowell (Massachusetts), città natale dello scrittore, all’interno del lascito testamentario gestito dal cognato, John Sampas, e in seguito ceduto ad una serie di collezionisti privati facenti capo al Rivellino LDV, Locarno (CH).
Il percorso si articola in differenti nuclei in grado di sviluppare riflessioni che intrecciano la vita e la poetica di Kerouac, dai ritratti di personaggi famosi quali Joan Crawford, Truman Capote, Dody Muller o il Cardinal Montini ai riferimenti alla cultura beat, da Robert Frank a William S. Burroughs. La mostra approfondisce inoltre le relazioni tra Kerouac e l’Italia, attraverso una selezione di fotografie scattate da Robert Frank e da Ettore Sottsass alla moglie Fernanda Pivano, ad Allen Ginsberg e allo stesso Kerouac ed è arricchita da un progetto inedito di Peter Greenaway dedicato proprio a Kerouac. Una speciale sezione video amplia gli orizzonti culturali dell’evento, con la proiezione dell’intervista di Fernanda Pivano a Jack Kerouac, per gentile concessione di Rai Teche e di Pull My Daisy (1964), il cortometraggio (30 min.) sceneggiato da Kerouac, diretto da Robert Frank e Alfred Leslie, e recitato da alcuni protagonisti della Beat Generation, quali Allen Ginsberg e Gregory Corso.
Considerato uno dei fondatori della Beat Generation, Jack Kerouac rappresentò il movimento letterario e artistico che a partire dalla fine degli anni quaranta sconvolse e scandalizzò i valori della società degli Stati Uniti e dell’Europa, dove le sue opere furono diffuse e tradotte quasi immediatamente. Davanti alla borghesia che aveva saputo creare i solidi presupposti del rinnovamento post bellico, egli prefigurò la liberazione culturale e sessuale e un nuovo modello di vita che avrebbe portato, globalmente, la gioventù alla rivoluzione degli anni Sessanta. Rigettando gli ideali tecnologici del dopoguerra i Beat e il gruppo di Kerouac, Ginsberg, Owen, Ferlinghetti difesero una nuova etica, quasi tribale, di carattere spontaneista, che poi sarebbe sfociata nel movimento Hippie, nell’opposizione alla guerra del Vietnam e nella ‘tre giorni di pace e musica rock’ di Woodstock. Oltre alla dimensione espositiva, assume uno specifico rilievo anche una pubblicazione scientifica edita da Skira, che rilegge in modo complessivo l’opera pittorica di Kerouac. Apre il libro un saggio di Sandrina Bandera dedicato alle fonti e alle relazioni con la storia dell’arte europea nel percorso di formazione dell’artista. La seconda parte del catalogo è dedicata all’importanza della dimensione del sacro, dalla tradizione cattolica alla cultura buddista, nell’opera di Kerouac, principalmente attraverso il contributo critico di Stefania Benini. Seguono alcuni saggi dedicati a diversi aspetti della cultura Beat: Franco Buffoni affronta la storia e i rapporti con la cultura italiana e la contemporaneità, Virginia Hill approfondisce i nessi con la moda anni sessanta ed Enrico Camporesi parla di cinema e suono. La quarta sezione, introdotta da Francesco Tedeschi, si occupa più specificatamente delle relazioni tra Kerouac e la cultura artistica a New York tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta: dall’espressionismo astratto al jazz. Completa la pubblicazione, una testimonianza di Arnaldo Pomodoro sulla Beat Generation raccolta da Ada Masoero e una biografia ragionata di Jack Kerouac messa in parallelo ai grandi eventi storici e culturali che coinvolsero e sconvolsero gli Stati Uniti e l’Europa di Stefania Benini, della Saint Joseph’s University, Philadelphia.
Carlo Franza