Tributo a Carlo Bononi. L’ultimo sognatore dell’Officina ferrarese in mostra a Palazzo dei Diamanti a Ferrara.
Non c’è dubbio, il suo nome è stato accostato a quelli di Caravaggio e Zurbarán. E Guido Reni ne ammirava la “sapienza grande nel disegno e nella forza del colorito”. Pochi sono stati capaci di dipingere nudi maschili più potenti e seducenti di quelli creati da Carlo Bononi. Le sue tele sono vere e proprie meraviglie pittoriche create in tempi tragici, di carestie e pestilenze, nell’Italia di inizio Seicento. A servizio, ma non troppo, della Controriforma.
Un capitolo della storia dell’arte affascinante anche se poco conosciuto. La mostra che ho visto qualche settimana fa è certo un appuntamento espositivo riservato a uno dei grandi protagonisti della pittura del Seicento: il ferrarese Carlo Bononi, il cui nome, non a caso, è stato spesso accostato a quelli di Zurbarán o di Caravaggio. E’ stata questa la prima monografica a lui dedicata a Palazzo dei Diamanti a Ferrara, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte, curata da Giovanni Sassu, conservatore dei Musei d’Arte Antica della città estense e dalla collega Francesca Cappelletti, docente di Storia dell’Arte Moderna dell’Università degli Studi di Ferrara.
Per secoli Bononi, come del resto l’intero Seicento ferrarese, è rimasto in ombra, offuscato dal
ricordo della magica stagione rinascimentale degli Este. Una lenta operazione di recupero critico ha progressivamente messo a fuoco la figura di un artista unico, che seppe interpretare in modo sublime e intimamente partecipato la tensione religiosa del suo tempo.
Pittore di scene mitologiche nonché di grandi cicli decorativi sacri e di pale d’altare, Bononi elabora un linguaggio pittorico che pone al centro l’emozione, il rapporto intimo e sentimentale tra le figure dipinte e l’osservatore. Negli anni drammatici dei contrasti religiosi, dei terremoti e delle pestilenze, il sapiente uso della luce e il magistrale ricorso alla teatralità fanno di lui uno dei primi pittori barocchi della penisola, come testimoniano le seducenti decorazioni di Santa Maria in Vado.
Ma Bononi fu anche un grande naturalista, nelle sue opere il sacro dialoga con il quotidiano. Tele come il “Miracolo di Soriano” o “l’Angelo custode” mostrano quanto sentita fosse per l’artista la necessità di calare il racconto religioso nella realtà, incarnando santi e madonne in persone reali e concretamente riconoscibili. In questa prospettiva, pochi come lui hanno saputo coniugare il nudo maschile con le esigenze rappresentative dell’Italia ancora controriformista di inizio Seicento: i suoi martiri e i suoi santi sono dipinti con perfezione potente e, al contempo, suadente, ma senza alcun gusto voyeuristico. Tutto questo era ben chiaro agli occhi dei contemporanei. Il “divino” Guido Reni, a pochi mesi di distanza dalla morte di Carlo, avvenuta nel 1632, lo esaltava descrivendolo “pittore non ordinario” dal “fare grande e primario”, dotato di “una sapienza grande nel disegno e nella forza del colorito”. Il giudizio di Reni è certo messo alla prova dopo la visione della mostra per via della sapienza del disegno e della forza del colorito di Carlo Bononi.
Carlo Franza