Fig. 1Dopo l’esposizione alle grandi mostre presso il Museum of Fine Arts di Boston e la National Gallery di Washington tra 2016 e 2017, approda a Firenze un capolavoro che ha lasciato l’Italia nel lontano 1898la lunetta con la “Resurrezione” di Giovanni della Robbia.  E’  presente al pubblico nella cornice del Museo Nazionale del Bargello, dove si conserva la maggiore raccolta al mondo di sculture realizzate in terracotta invetriata, dai Della Robbia, e visitabile fino all’8 aprile 2018.  Commissionata intorno al 1520 da Niccolò di Tommaso Antinori (1454-1520), che dette inizio alla fortuna imprenditoriale diFig. 2 questo antichissimo casato fiorentino, la lunetta è di dimensioni monumentali (cm 174,6 x 364,5 x 33) e resta oggi uno dei più notevoli esempi della produzione di Giovanni della Robbia (Firenze 1469-1529). Figlio di Andrea e insieme a lui continuatore della bottega del nonno Luca, Giovanni si indirizzò verso una produzione contraddistinta da una maggiore esuberanza decorativa e cromatica, come appare proprio da questo straoFig. 4rdinario esemplare, rimasto per quasi quattro secoli nella sua ubicazione originaria, la prestigiosa Villa Le Rose costruita fuori le mura di Firenze quale residenza di campagna e sede, già in antico, di produzione vinicola. La lunetta raffigura il Cristo risorto, con il committente Antinori in ginocchio alla sua destra e i soldati attorno al sepolcro, secondo l’iconografia tradizionale: il tutto su un articolato sfondo di paesaggio e all’interno di una fastosa cornice di frutti e fiori popolata da piccoli animali. L’opera venne acquistata nel 1898 da Aaron AugustusHealy(1850-1921), personaggio chiave della Brooklyn di fine Ottocento, importante uomo d’affari, presidente del Brooklyn Institute of Arts and Sciences per venticinque anni, ma anche esperto collezionista e generoso mecenate. Fig. 5Healy, che portò a New York la lunetta per donarla al Brooklyn Museum, la riaccompagna idealmente oggi a Firenze, con una spettacolare presenza ‘in effigie’: altro capolavoro concesso in prestito dallo stesso museo americano è infatti il Ritratto diAaron AugustusHealy dipinto da John Singer Sargent nel 1907. Sargent (Firenze 1856-Londra 1925)  artista cosmopolita e di eccezionale successo, fu uno dei ritrattisti più in voga presso l’alta società delle capitali europee e americane: quello di Healy è uno degli ultimi ritratti eseguiti da Sargent, che in seguito riservò quel privilegio solo a pochi fortunati come Henry James, VaslavNijinsky, John D. Rockefeller o il presidente degli Stati Uniti Thomas Woodrow Wilson. Nel 2015 Marchesi Antinori Spa ha generosamente finanziato il complesso restauro della lunetta, realizzato nei laboratori del Brooklyn Museum in previsione della mostra al Museum of Fine Arts di Boston. Si è in tal modo venuta a creare una singolare convergenza storica, una suggestiva continuità di committenza e tutela esercitata dalla famiglia Antinori attraverso i secoli, che si rinnova ulteriormente in questo eccezionale e temporaneo ritorno in Italia. Marchesi Antinori Spa è infatti sponsor anche di questa iniziativa fiorentina, a seguito del bando pubblico indetto dal museo ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. n. 50/2016.

L’evento accende dunque i riflettori, dopo quasi 120 anni dal suo trasferimento oltreoceano, su uno straordinario capolavoro poco conosciuto dal pubblico italiano ed europeo, cui  è  dedicata un’intera sala degli spazi museali del Bargello. In parallelo, la seconda sala ospita  un’opera di Stefano Arienti, artista italiano tra i più apprezzati in ambito internazionale, dal titolo Scena fissa, con cui la scultura robbiana viene riletta e reinterpretata, dando vita ad un inaspettato dialogo tra arte rinascimentale e contemporanea. Tale creazione, ideata per la sala mostra del museo Nazionale del Bargello, quindi con un progetto site-specific, rientra nelle iniziative di Antinori Art Project, progetto che muove dall’idea di creare una naturale prosecuzione dell’attività di collezionismo, proseguendo una tradizione della famiglia che viene oggi rivolta verso le arti e gli artisti del nostro tempo.

Carlo Franza

 

 

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