Arturo Martini. Capolavori del Museo Luigi Bailo a Treviso.
L’esposizione dedicata a Rodin in Santa Caterina a Treviso nel Museo Luigi Bailo è una supermostra. Anzi è molto di più, perché il pubblico stesso è invitato a scoprire il grande percorso che nel rinnovato Museo trevigiano è dedicato ad Arturo Martini. Infatti su due piani, il Museo Luigi Bailo dipana quasi 140 opere fra terrecotte, gessi, sculture in pietra, bronzi, opere grafiche, pitture e ceramiche del grande maestro. Una collezione unica al mondo per quantità e qualità, che continua ad arricchirsi: l’arrivo della più recente acquisizione – un Busto d’uomo – è di pochi mesi fa. Sono opere che “raccontano” Arturo Martini, dal tempo veneziano di Ca’ Pesaro fino agli anni estremi.
Vi sembra poco una visita alle opere di Arturo Martini, accanto alla grande mostra su Rodin? Il curatore della mostra su Rodin ha detto: “Rodin ha guardato con estrema attenzione alla scultura italiana, a Donatello, a Michelangelo, a Bernini. Con attenzione non minore, alcuni scultori della prima parte del Novecento italiano, e tra loro Arturo Martini soprattutto negli anni Trenta, hanno guardato a Rodin, affascinati della bellezza espressiva del suo lavoro”. Il Musée Rodin di Parigi, per la mostra conclusiva del Centenario dell’artista francese, ha scelto di privilegiare Treviso, proprio in relazione alla figura di Martini e alla magnifica collezione di sue opere presente nel museo della città. Così come per Gino Rossi (cui, sempre nell’occasione della Mostra su Rodin, viene dedicata una suggestiva mostra collaterale al Bailo), anche per Martini si è celebrato, nel 2017, il settantesimo della scomparsa. I due artisti, separati solo da pochi anni di età, non solo si conoscevano (dal 1910) ma scelsero di compiere insieme alcuni viaggi di studio, tra i quali quello che li portò a Parigi nel 1912, quando esposero al Salon d’Automne assieme ad altri italiani come Modigliani e De Chirico. Martini presentò la “Fanciulla piena d’amore”, mentre Gino Rossi la “Fanciulla del fiore”, che aveva già proposto a Ca’ Pesaro due anni prima.
Molti i capolavori, anche di grandi dimensioni, che di Martini si possono ammirare al Bailo. Dalla “Maternità” del 1910 alla stessa “Fanciulla piena d’amore”, dal “Pensieroso” del 1927 alla “Pisana” del 1928, dal magnifico “Adamo ed Eva” del 1931 che Arturo Martini eseguì in pietra e su commissione per il collezionista Arturo Ottolenghi, alla “Venere dei Porti”, terracotta del 1932. Non solo i grandi capolavori ma anche opere che consentono di seguire, passo passo, il percorso martiniano. Dalle ceramiche che l’artista, poco più che ragazzo, modella per la manifattura Gregorj, alle testimonianze degli anni in cui – tra il 1909 e il 1913 – a Monaco e a Parigi, si confronta con il “nuovo” in Europa, infatti nel dopoguerra, la ricerca di purismo plastico, l’adesione a “Valori Plastici”, la fascinazione metafisica e l’attenzione al classicismo. Dopo aver esposto alla Biennale Romana, nel 1926 partecipa a quella di Venezia e alla I e II Mostra del Novecento Italiano alla Permanente. Sono anni in cui, in modo mirabile, fonde forme classiche e arcaiche al nuovo. E’ del 1931 il Premio per la Scultura alla I Quadriennale Romana ed è dell’anno successivo la personale alla Biennale veneziana. A fine decennio, le grandi commissioni pubbliche. E’ del 1941-1942 la “Donna che nuota sott’acqua”, sempre nella collezione del Museo Bailo, nel suo bozzetto in bronzo, mentre il marmo originale venne esposto nelle Biennali del 1942 e 1948. Questa scultura tra l’altro rovescia di 360 gradi una figura di Martire compresa nella Porta dell’inferno proprio di Rodin. Poi la tensione verso l’astrazione, perché “l’arte non è interpretazione, ma trasformazione”, come egli stesso andava affermando.
Carlo Franza