Luciano Ventrone. Meravigliose e misteriose le nature morte dell’artista in mostra a Gualdo Tadino.
Il collega Vittorio Sgarbi, dopo il successo della mostra “Seduzione e Potere. La donna nell’arte tra Guido Cagnacci e Tiepolo”, ha dato il via sempre nella Chiesa monumentale di San Francesco a Gualdo Tadino, a un’altra esposizione-evento, questa volta d’arte contemporanea, dedicata a Luciano Ventrone, dal titolo “Meraviglia ed Estasi”, ed aperta fino al 28 ottobre 2018. A presentare questi capolavori d’arte c’erano, sul palco del teatro Talia, oltre ai già citati Sgarbi e Biasini Selvaggi, anche la direttrice del Polo museale Catia Monacelli e il sindaco della città Massimiliano Presciutti. Al centro della scena Luciano Ventrone, il pittore romano classe 1942 che, come hanno ricordato Sgarbi prima e Presciutti poi, ha faticato ad affermarsi sulla scena italiana. Una scelta tutt’altro che casuale per la cittadina umbra, patria di quel Matteo da Gualdo (1435 circa-1507), tra gli antesignani del genere della natura morta (con la sua celebre tavola raffigurante l’“Albero di Jesse”, della fine del XV secolo), genere pittorico di cui Ventrone è uno dei grandi innovatori odierni. L’artista romano, da oltre tre decenni, tra fiori e frutti in posa, «promette sapori che non può soddisfare, – ha affermato Vittorio Sgarbi – per attirare i nostri sensi e condurli all’estraniante percezione dell’“ipernaturale”».
Già il titolo si preannuncia come tutto un programma: “Meraviglia ed Estasi”. Le invenzioni dell’artista romano, anche nella produzione più recente, suscitano infatti sicuramente stupore, riuscendo a fondere pittura, luce, forma, colore, scenografia e illusione, per creare immagini dalla forte spettacolarità, che si accingono a rapire i sensi dello spettatore come in una vera e propria estasi mistica. A partire dalle sue proverbiali nature morte, tradotte sulla tela con la sua inconfondibile cifra pittorica dalla tecnica senza imperfezioni, assolutamente nuova, iperbolica, esagerata, barocca, metafisica. Quella stessa che colpì e conquistò, nei primi anni Ottanta, il gusto e l’interesse critico di Federico Zeri. Fiori e frutta sono, infatti, tra i soggetti più indagati dall’artista, per l’intrinseca bellezza e plasticità delle forme di questa natura in posa, per l’immediato fascino esercitato dai suoi colori, per la reattività delle superfici ai riflessi della luce artificiale, per le allusioni simboliche a essi legati. Ventrone esagera, perfeziona pertanto il reale, e costringe il pubblico a fare i conti con immagini che altrimenti non avrebbero, al di fuori della sua interpretazione, interessato nessuno. Come nel caso del monumentale polittico di 3 x 3 m, dal titolo “Mosaico” (2011), raffigurante una melagrana gigante spaccata, esposto precedentemente nel Padiglione Italia della 54° edizione della Biennale di Venezia.Ma i “coup de théâtre” non finiscono qui. Il percorso espositivo comprende anche due rari nudi, un momento di riflessione fisico sulla bellezza spirituale del corpo femminile, sulla sua splendida plasticità. Completano, infine, la mostra due inediti paesaggi, “Silvi Marina” (2013/17) e “I racconti del vento” (2006), rispettivamente una marina e un deserto (soggetto eseguito solo in quattro versioni), vere e proprie istantanee di luce e colore, dove il sole sostituisce la fredda e artificiale luminosità elettrica delle nature morte, riflettendo quella luce calda che vena d’avorio il mare Adriatico nei pomeriggi d’agosto, così come le dune di sabbia della Libia. Non posso influenzare le persone, sono i quadri che trasmettono il messaggio –ha dichiarato Ventrone– Lascio che siano i critici o il pubblico a parlare. Io osservo e traggo ispirazione dal mondo circostante e tutto ciò che mi affascina lo traduco in pittura. Ai giovani dico che ci vuole tempo, passione, dedizione perché la pittura è fatica, non è solo un fatto congenito. Io vengo da un periodo subito dopo la guerra, dove c’era tanta povertà e bisognava lottare per emergere. Ho studiato, ho frequentato il liceo artistico, la facoltà di architettura e poi ad un certo punto ho capito che la mia vita sarebbe stata la pittura. Ed ecco che sono arrivato a 60 anni di carriera”.
“Ventrone – ha commentato Sgarbi – è quello che più di tutti sfida la natura senza sentirne la nostalgia. Guardando un suo dipinto si ha la sensazione di vedere un oggetto reale, per cui questo effetto di illusione e confusione desta meraviglia e nessun pittore del nostro tempo lo manifesta in modo così dichiarato e con una riuscita così efficace come Ventrone”. “L’unicità di Ventrone – ha aggiunto Biasini Selvaggi – sta nel fatto che rinnova dei generi e tecniche del passato in una chiave che si avvicina al mondo virtuale descritto, per esempio, dal film Matrix”. “Sembra di attraversare un’altra realtà – ha concluso Monacelli – Le immagini sembrano stampate e non dipinte. Il maestro è in grado di stupirci con lavori incredibili e ogni venerdì sabato e domenica alle 16, nella chiesa monumentale di san Francesco, ci sarà un esperto che condurrà il visitatore in un viaggio straordinario”.
Luciano Ventrone nasce a Roma nel 1942. Nel 1983 un articolo scritto da Antonello Trombadori su “L’Europeo” induce lo storico dell’arte Federico Zeri a interessarsi dell’artista suggerendogli di affrontare il tema delle nature morte. E’ qui che inizia la sua lunga, e ancora non completa, ricerca sui vari aspetti della natura, catturando particolari sempre più dettagliati e quasi invisibili a “occhi bombardati da milioni di immagini”, quali sono quelli degli uomini della nostra epoca. questa ricerca di Ventrone che ha destato, nei decenni, l’attenzione, tra gli altri, di Federico Zeri, Sergio Zavoli, Duccio Trombadori, Marco Di Capua, Carlo Franza, Vittorio Sgarbi, Achille Bonito Oliva, Roberto Tassi, Giorgio Soavi, Edward Lucie Smith, Angelo Crespi, Beatrice Buscaroli e Eugenia Petrova.
E ad aprile 2018 a Ventrone è dedicata una personale anche a Londra, alla Pontone Gallery, nel cuore di Chelsea e Knightsbridge, a pochi minuti di distanza da Saatchi Gallery e Sloane Square Tube.
Carlo Franza