Riccardo Francalancia e il Realismo Magico. Una mostra ad Assisi celebra il pittore della quiete e del paesaggio.
Un universo incantato che si compone di una cospicua selezione di capolavori provenienti da collezioni pubbliche e private italiane per riportare all’attenzione del pubblico una delle correnti più poetiche e suggestive dell’arte del Novecento, il Realismo Magico. All’interno di tale movimento, trova la sua dimensione più autentica l’opera di Riccardo Francalancia, artista nato ad Assisi. Ora, proprio ad Assisi, nel centralissimo Palazzo Bonacquisti, ecco la mostra “Una profondissima quiete. Francalancia e il ritorno alla figura tra de Chirico e Donghi” organizzata dalla Fondazione CariPerugia Arte ed aperta fino 4 novembre 2018. A cura di Vittorio Sgarbi, Beatrice Avanzi e Michele Dantini, il percorso espositivo porta per la prima volta in Umbria un progetto articolato che si sofferma sulle tappe artistiche, ma anche umane, degli autori che hanno caratterizzato la pittura italiana degli anni Venti e Trenta e che va, appunto, sotto il nome di “Realismo Magico”. Siamo nel periodo in cui, dopo il dinamismo futurista e delle avanguardie, emerge l’esigenza del ritorno all’ordine che ha attraversato l’Europa dopo gli anni delle Prima guerra mondiale e, parallelamente, si sente il bisogno di soffermarsi sulle nuove istanze metafisiche e sul valore mitico con cui si guardava alla realtà. Ad Assisi questo mondo si riaccende attraverso oltre 130 opere, tra pitture e sculture. Si tratta di una produzione artistica più complessa di quella che appare, dove alla forte componente lirica si aggiunge quella socio-teologico-politica per cui la campagna, e non la città, è il riferimento principale. Ne sono una testimonianza le tante vedute di borghi e campagne che si possono ammirare in mostra, alla cui origine sta, non c’è dubbio, una particolare scoperta o “riscoperta” del paesaggio italiano che ha luogo negli anni della guerra. Entriamo nelle sale. Non poteva mancare Giorgio De Chirico, “grande metafisico” che ha introdotto valori come quello del ritorno agli antichi maestri e alla figurazione, innestando un profondo senso di magia di cui una delle opere in mostra, “Cavalli in riva al mare” è una significativa espressione. Tale sentimento è presente anche in Felice Casorati, ricercatore del valore lirico delle “cose immobili”, tra cui il soggetto prediletto sono le nature morte con uova che dipinge lungo tutto l’arco della sua carriera. Ecco poi Cagnaccio di San Pietro con i suoi personaggi assorti e le sue Madonne addolorate, Antonio Donghi con il suo accento del tutto originale nell’interpretazione – ricca di incanto e magia – di situazioni quotidiane, ambienti popolari, vedute cittadine.
Oltre a Donghi, ritroviamo artisti quali Francesco Trombadori, Mario ed Edita Broglio e il giovane Mario Mafai, tutti in mostra insieme ad altri autori come Scipione, con i suoi disegni e con i suoi verdi scoscesi massicci appenninici, Corrado Cagli con la “Mietitrice” in ceramica, documento della mitografia ruralista, Mario Tozzi, Gisberto Ceracchini, Filippo De Pisis, Ottone Rosai e, tra molti altri ancora, l’artista umbro Riccardo Francalancia, a cui è dedicata una ampia sezione della mostra dove si possono vedere opere mai prima esposte concesse in prestito dagli eredi. Francalancia da Assisi giunse a Roma nel 1913, portando con sé i silenzi e le suggestioni della natura umbra nel momento in cui la poetica del Realismo Magico è in pieno sviluppo. Fa subito sua questa lezione per tradurla in un’opera personalissima, spesso solitaria ma non isolata perché comunica con il resto dell’ambiente romano. Nelle sue opere ritroviamo tutto l’incanto e la magia che attraversa l’arte italiana in quel periodo. Li ritroviamo nelle nature morte, semplici vasi o ciotole che, secondo la lezione di Morandi, sembrano fissate in un tempo senza limiti; le ritroviamo nelle nature morte con uccelli e cacciagione; li ritroviamo nei tanti ritratti, come il ritratto di Gustavo, che richiamano la fissità, ad esempio, dei ritratti di Donghi. E li ritroviamo nei paesaggi, dove la precisione topografica è accompagnata sempre dalla poesia di uno sguardo incantato che sottrae ogni cosa allo spazio e al tempo reali. Usando le parole del collega Vittorio Sgarbi “Francalancia, umbro nato ad Assisi, riproduce nei paesaggi ciò che ha sentito negli affreschi di Giotto, è un Beato Angelico che torna a guardare un paesaggio in cui c’è il sentimento di Dio con una figurazione essenziale e una forza formidabile”.
Riccardo Francalancia
(Assisi (PG), 1886 – Roma, 1965)
Figlio di un ricco proprietario terriero, consegue a Roma la laurea nel 1910 in scienze politiche e coloniali e lavora presso il Credito Italiano svolgendo una brillante carriera. Nel frattempo entra in contatto con l’ambiente artistico e culturale romano attraverso la frequentazione della Casa d’Arte Bragaglia in via Condotti e la Terza Saletta del Caffè Aragno. Il 1919 è l’anno della sua consacrazione ufficiale alla pittura con la realizzazione dei suoi primi disegni a matite colorate dalla vena satirica. Disegni che furono subito acquistati da Broglio e di recente dispersi in un’asta pubblica. Da questa occasione si fa risalire la sua vocazione pittorica che lo porta ad abbandonare il lavoro in banca, per dedicarsi completamente all’arte.
Sempre più a contatto con i circoli culturali della città dove si raccoglie l’élite intellettuale, conosce le idee di Valori Plastici e de La Ronda che si oppongono al Classicismo e all’Espressionismo. Stringe con Bartoli, Spadini, Trombadori e Broglio un’amicizia che gli consente di presentare alcuni dipinti alla mostra Das Junge Italien tenuta nel 1921 in diverse città tedesche (Berlino, Hannover, Dresda). Inseritosi pienamente nel clima postmetafisico di Valori Plastici, espone insieme al gruppo alla Fiorentina Primaverile.
I primi soggetti pittorici sono paesaggi e disegni dalla vena fantastica e surreale. Dopo aver partecipato alla III Biennale di Roma (1925), si avvicina al Novecento Italiano. Nelle sue opere fonte d’ispirazione è il paesaggio umbro ritratto con linee essenziali, nitide, semplificate e poche modulazioni cromatiche.
La sua prima personale risale al 1928 alle “Stanze del Libro”, in piazza Rondanini a Roma, dove sono esposte trentatre opere tra paesaggi umbri e laziali, nature morte e Interno melanconico il quadro più metafisico di quegli anni. La mostra, organizzata da Angelo Signorelli, ha un enorme successo: i dipinti verranno acquistati da personaggi prestigiosi e l’esposizione si aggiudica una recensione in due riviste argentine. Con una pittura più contemplativa e a tratti vicina al versante più espressionista della Scuola Romana, si presenta alla I Mostra del Sindacato laziale fascista. Insieme a Mafai, Scipione, Melli e altri, collabora all’ Almanacco degli Artisti diretto da Carlo D’Aloisio Da Vasto. La premiazione avvenuta nella mostra italiana a Budapest (1929) è il primo riconoscimento internazionale. Nello stesso anno espone alla 159ª mostra organizzata dai Bragaglia che riuniva i maggiori protagonisti della situazione romana di quel periodo: pittori legati all’Impressionismo, rappresentanti del “realismo magico”, come lo stesso Francalancia ed espressionisti. Oltre a tale manifestazione, a cui partecipa dal ’29 al ’40, prende parte alle Quadriennali di Roma dal 1931 al 1956 e a tre edizioni della Biennale di Venezia (1932, 1936 e 1950). Dopo una lunga sosta forzata dovuta ad una malattia nervosa riprende lentamente la sua attività, tornando ad esporre dipinti raffiguranti i suoi temi più consueti, paesaggi, nature morte e vedute romane. Nel 1942 Francalancia realizza un’importante personale alla Galleria delle Terme di Roma, presentata dal ministro Bottai come un evento a carattere nazionale, rilanciando l’artista nella cultura italiana.
Carlo Franza