Joaquín Roca Rey a Roma in una antologica all’Aranciera di Villa Borghese. Le forme del mito e un linguaggio moderno attraversano la scultura dell’artista peruviano.
Il Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese ospita fino al 4 novembre 2018 la mostra antologica di Joaquín Roca Rey, Le forme del mito, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con il patrocinio di Embajada del Perú en Italia. La cura della mostra è del collega Storico dell’Arte Giuseppe Appella.
Nelle sale al piano terreno sono esposte 25 sculture datate 1956–2001 che, evidenziando l’indagine formale, tra mito e ritualità, sono riuscite a cogliere il meglio del linguaggio moderno. Dal natio Perù a Roma, le opere di Roca Rey si sono liberate dell’involucro preincaico di magia e ritualità (assemblage di ferro, forgiato con evidente realismo e poi alluminio, ottone, acciaio, onice, bronzo, marmo, travertino) senza abbandonare il mito ritrovato nelle forme più avanzate della contemporaneità, come a dire la scultura di Chadwick e di Moore, di Hare e di David Smith, la pittura di Magritte e di Lam, rivisitati nell’architettura di Roma, nel suo rigore e nella sua enfasi, con una visionarietà carica di turbamenti, memorie e sogni. È il momento in cui gli Incas, i Maya, gli Atzechi, il barocco latino -americano si confrontano con Roma antica e Roma seicentesca riconoscendovi attinenze di sacralità sessuale subito esplicitata in allusioni misteriose e ironiche, nel totem elevato a simbolo dell’identità tra uomo e cosmo, elemento soggetto alle continue trasformazioni di una fantasia tra le più vive della scultura del secolo appena trascorso. Fantasia che permette a Roca Rey, in una perenne estensione di dualismi, contrasti e ambiguità, resi evidenti anche dalla scelta dei molteplici materiali utilizzati spesso insieme, una sorta di scambio tra leggerezza e solidità, pieno e vuoto, concavo e convesso, eros e gioco, inquietudine e malinconia, negativo e positivo, vita e morte, tipiche del surrealismo o, meglio, degli automatismi del subconscio travasati nel progetto della composizione e, non prive di inquietante ironia, nelle relative invenzioni formali. So di quella lettera datata 3 dicembre 1975 che Roca Rey scriveva al mio maestro Giulio Carlo Argan esternandogli i ringraziamenti per la forte stima e il sostegno critico verso il suo lavoro e la sua scultura.
In contemporanea con la mostra romana, il Sistema dei Musei e dei Beni Culturali ACAMM (Aliano, Castronuovo Sant’Andrea, Moliterno, Montemurro) esporrà nei propri spazi una serie di disegni e di piccole sculture.
Joaquín Roca Rey nasce a Lima nel 1923. Segue i corsi dell’Accademia Nazionale di Belle Arti di Lima. Negli anni di formazione, si appassiona alla scultura frequentando gli artisti spagnoli Victorio Macho e Jorge Oteiza. Fin dall’inizio della sua attività, nella seconda metà degli anni ’40, la sua scultura coniuga ricerca formale ed espressività esistenziale dando luogo a forme essenzialmente simboliche.
Nel 1949 vince una borsa di studio che gli consente di viaggiare in Europa e di fermarsi a Firenze dove segue i corsi di Storia dell’arte all’Università degli Studi. Dopo aver soggiornato in Spagna, Portogallo, Francia e Belgio, nel 1951 torna a Firenze dove studia le opere di Pisanello, Paolo Uccello e Piero della Francesca, che lo influenzeranno profondamente. Qui conosce la gallerista Fiamma Vigo che gli organizza una personale nella sua Galleria Numero, cui ne seguono altre, sempre nel 1951, nella Galleria dello Zodiaco di Roma, nella parigina Galerie Breteau e nella Galleria Biosca di Madrid. Nel 1952 sposa a Roma Alessandra Andreassi e ritorna in Perù dove rimane per dieci anni, fecondi di esperienze e di opere, con mostre personali a Lima, a città del México, a Rio de Janeiro, a San Paolo del Brasile e Washington, partecipando alle Biennali di Madrid, San Paolo del Brasile e Salisburgo. Nel 1953 è tra i finalisti del Concorso Internazionale per il “Monumento al Prigioniero politico Ignoto”, il cui progetto è esposto alla Tate Gallery di Londra. Pur non risultando vincitore gli viene assegnato il premio Baltasar Gavilan per essere stato l’unico scultore sudamericano prescelto nelle selezioni. Dopo questo primo riconoscimento riceve incarichi per diverse opere pubbliche, tra cui il Monumento A. Remòn e Panama (1955), le sculture degli Apostoli per la Chiesa di San Filippo a Lima (1956), il Portone Monumentale del Cimitero di Lima (1957), L’Annunciazione per la Chiesa di Santa Rosa a Lima (1959). Dal 1957 è insegnante di scultura presso la scuola d’arte dell’Università Cattolica di Lima e poi presso la Facoltà di Architettura di Lima. Nel 1963 si stabilisce definitivamente a Roma ed espone subito al Festival dei Due Mondi di Spoleto, seguono le partecipazioni a quattro biennali di Venezia (1964,1966,1972,1988), alla Corcoran Gallery of Art di Washington (1966) e al Museum of Philadelphia (1967). Attraverso molteplici sperimentazioni articolate nell’uso di materiali diversi (legno, ferro e ottone) perviene a costruzioni formali di sintesi astratta, in impianti architettonici simmetrici, fondati su un vitalismo magico di memoria antropologica precolombiana. Al contempo ha un’intensa produzione grafica, ove la tematica svolta nella scultura acquista particolari toni narrativi visionari.
Nel 1967 riceve l’incarico per realizzare la statua dell’Inca Garcilaso della Vega a Villa Borghese a Roma e tiene una personale alla Galleria La Medusa. Si susseguono una serie di mostre individuali tra il 1969 e il 1998 a Bruxelles, Caracas, Lima, Roma, Gubbio, Montreal e mostre collettive a Bruxelles, Parigi, Buenos Aires, Osaka e Carrara, in gallerie e musei di prestigio che ampliano l’interesse della critica, da Giulio Carlo Argan a Enzo Bilardello, Giovanni Carandente, Enrico Crispolti, Carlo Franza, Dario Micacchi, Murilo Mendes, Pablo Neruda, Lorenza Trucchi e Lionello Venturi. Accanto all’attività artistica ha affiancato anche quella di Console del Perù prima, e di Consigliere culturale presso l’Ambasciata peruviana a Roma, poi. Numerosi sono i monumenti realizzati per spazi pubblici di Buenos Aires, Caracas, Genova, Lima, Pampa de Comas, Panama, Roma, Tuoro sul Trasimeno e Viterbo. E’ morto a Roma nel 2004.
Carlo Franza