Tullio Pericoli e le Forme del Paesaggio italiano. Opere dal 1970 al 2018 nel prestigioso Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno.
Dopo il terremoto che l’ha drammaticamente colpita nel 2016, la città di Ascoli Piceno sceglie di celebrare se stessa attraverso l’opera dell’artista che, fra tutti, più ha reso omaggio alla sua terra. Così, oltre mezzo secolo dopo la sua prima personale, torna nella prestigiosa sede di Palazzo dei Capitani che si fa luogo di un evento espositivo unico, aperto fino a maggio 2020. Di questo artista colto e raffinato a cui tengo molto per la sua vivace attenzione al paesaggio italiano, attraverso una selezione di 165 opere, esposte nelle caratteristiche ambientali del prestigioso palazzo rinascimentale, ecco svelate le mutazioni che l’immagine della natura ha assunto nel corso del tempo nell’opera dell’artista, Ascoli Piceno ripensa e si riavvicina dunque al proprio territorio ferito tornando a dare al paesaggio la rilevanza artistica e culturale che merita.
E proprio a partire dalla frattura, fisica e sentimentale, rappresentata dal recente evento sismico, Tullio Pericoli ha scelto di costruire un percorso a ritroso nel tempo, che dal presente risale attraverso l’evoluzione della sua arte, dalle attuali frammentazioni visionarie alle originarie esplorazioni geologiche. Se diversificate sono infatti le forme del paesaggio che Tullio Pericoli ha esplorato nel corso della sua ricerca pittorica, altrettanto diramato è il percorso di lettura proposto in questa mostra, dedicata a svelare i lineamenti interni, le stratificazioni e le mutazioni che l’immagine della natura ha assunto nel corso del tempo agli occhi, e alla mente, dell’artista, dai primi anni Settanta ad oggi. “Guardare un volto fino a pensarlo come se fosse un paesaggio, raccontandone gli smottamenti, le frane, i cedimenti, le anse, i solchi, i dossi e le rovine” (Tullio Pericoli, Strade interrotte): assieme ai ritratti, i paesaggi sono l’argomento di indagine che sta al cuore della vita artistica di Pericoli, entrambi aspetti del medesimo percorso di ricerca. Come scrive Salvatore Settis nel catalogo della mostra infatti, le vedute sono ritratte dall’artista come “segmenti rivelatori di un volto”, quello di una terra, le Marche, segnata dalla fatica ma anche dall’incuria dell’uomo: “i suoi sono paesaggi altamente soggettivizzati, dove la ricerca di nuove convenzioni rappresentative, di matrice geologica, archeologica o cartografica, si sposa a una marcata intensità emotiva, che attraverso il gesto del pittore evoca tutta una grammatica del vivere, il modo d’intendere il paesaggio di chi lo andò lentamente forgiando per secoli”.
Non a caso dunque la sala che apre il percorso della mostra è dedicata alle opere che traggono origine dagli sconvolgimenti paesaggistici dovuti agli eventi sismici: forme dissestate, movimenti tellurici del segno come del colore, immagini restituite in tutta la loro drammatica fragilità. Da queste si passa all’esplorazione di nuove morfologie paesaggistiche, evidente nelle opere del periodo 1998-2009 che, dopo aver rappresentato lo scenario dei colli marchigiani, vanno progressivamente esplorando i dettagli della natura, i segni e i solchi delle terre. E ancora, la fase 1976-1983, che pone in evidenza un diverso trattamento del tema paesaggistico attraverso vedute luminose e lievi rese attraverso la delicatezza degli acquerelli, chine e matite su carta, spazi aerei che l’artista concepisce come orizzonti immaginari, memorie di alfabeti, tracce di antiche scritture. L’esposizione si chiude infine con un ritorno alle origini dell’opera artistica di Tullio Pericoli, che si identifica nel ciclo delle “geologie” (1970-1973), costituito da immagini stratificate, sezioni materiche, strutture sismiche.
Tullio Pericoli. Forme del paesaggio 1970-2018 (Prefazione di Salvatore Settis,pp.256, Euro 25,00, 2019) è il libro catalogo pubblicato da Edizioni Quodlibet che accompagna la mostra dell’artista italiano. Il tema del paesaggio, che Tullio Pericoli aveva affrontato fin dagli esordi della sua carriera, è tornato da alcuni anni al centro dell’opera dell’artista, restituendo nuova vita al rapporto – comunque mai interrotto – con la sua terra natale. Sono però ora le “parti senza un tutto” del territorio marchigiano a dar forma alla sua pittura, sempre tuttavia plurale, soggetta a continue e imprevedibili variazioni. Ecco cosa scrive il collega Storico dell’Arte Salvatore Settis nel saggio introduttivo: “Costruiti mutando il punto di vista ma non lo spirito sperimentale, questi dipinti, se presi tutti insieme, acquistano, anche senza volerlo, un marcato carattere inventariale. Sono il repertorio, il registro, il lessico di un linguaggio: la lingua madre di Tullio Pericoli, delle sue Marche. E, per sineddoche, della nostra Italia”. Il volume in questione accompagna la mostra ospitata ad Ascoli Piceno presso Palazzo dei Capitani fino al al 3 maggio 2020 e propone un percorso antologico con una selezione di 168 opere realizzate dal 1970 al 2018, un viaggio a ritroso nei quasi cinquant’anni di ricerca che l’artista ha dedicato al paesaggio. Il periodo iniziale va identificato con il ciclo delle “geologie” (1970-1973), costituito da immagini stratificate, sezioni materiche, strutture sismiche. La fase successiva (1976-1983) pone in evidenza un diverso trattamento del tema paesaggistico con vedute luminose e lievi – acquerelli, chine e matite su carta –, spazi aerei che l’artista concepisce come orizzonti immaginari, memorie di alfabeti, tracce di antiche scritture. L’esplorazione di nuove morfologie paesaggistiche si avverte in un consistente gruppo di opere (1998-2009) che, dopo aver rappresentato lo scenario dei colli marchigiani, va progressivamente esplorando i dettagli della natura, i segni e i solchi delle terre. Il paesaggio, dipinto per frammenti, è una mappa costruita con equilibri diversificati, rapporti instabili che l’artista coglie nella trama di stratificazioni materiche. L’esposizione documenta infine in modo ampio e articolato la stagione più recente (2010-2018) in cui Tullio Pericoli ha individuato nuove profondità del paesaggio, con continui rinnovamenti dell’esperienza pittorica.
Carlo Franza