Senza Titolo. Le metafore della didascalia. Un libro fondamentale di Nomos Edizioni che fa il punto sulla didascalia e sul suo utilizzo nella storia dell’arte e nella museologia.
Nell’immaginario comune le didascalie sono strumenti scientifici per eccellenza, precisi e definitivi. In verità si tratta di atti interpretativi, situati nel tempo e nello spazio, imperfetti e provvisori. La museologia recente ci parla infatti di didascalie critiche, “polivocali”, sempre più attente all’accessibilità e alla presa in conto di punti di vista e sensibilità diverse. Chi dovrebbe scriverle? Che cosa includere, che cosa omettere? E soprattutto, come definirne la “correttezza” e valutarne l’efficacia? Un libro prezioso dal titolo “Senza Titolo” ovvero Le metafore della didascalia( a cura di Maria Chiara Ciaccher, Anna Chiara Cimoli, Nicole Moolhuijsen), edizioni Nomos, 2020, pp. 104. Questo libro, che ospita voci e professionalità diverse, vuole suggerire possibili tracce per la progettazione e l’analisi critica di una didascalia; questioni che tengono conto delle caratteristiche dello strumento, del contesto entro cui il suo messaggio si colloca, delle prospettive e degli obiettivi che il museo intende raggiungere in relazione ai propri pubblici.
Maria Chiara Ciaccheri, Anna Chiara Cimoli e Nicole Moolhuijsen, museologhe e ricercatrici, sono le curatrici del progetto “Senza titolo”, organizzato con la Fondazione Querini Stampalia di Venezia; accanto ai primi tre studi corrispondenti alle tre museologhe, vi sono altri tre contributi non trascurabili, quello di Monica Calcagno sulla Fondazione Querini Stampalia di Venezia come case study,quello di Enrico Giori sulla grafica, e l’intervista di Maria Elena Colombo a James Bradburne. Il testo è fondamentale nel campo della critica e della storia dell’arte, e non trascurabile anche da chi si mette a curare delle mostre. Fondamentale anche l’ottima bibliografia che allarga sull’argomento e su figure che si sono cimentate nello studio delle didascalie. Testi da non sottovalutare.
Le didascalie sono fondamentali sia nel lessico propositivo che nell’apparato grafico con cui vengono proposte. Il mondo museale vede le didascalie come dei comandamenti, inamovibili e fondanti, poi ci sono quelli che ne incoraggiano la libera interpretazione, ma afferma James Bradburne, “la didascalia è la somma di tutti gli atti intenzionali dei quali un’istituzione si serve per creare significato”. Non è mai, sicuramente, un’operazione neutrale, e maggiore è la sua difesa in nome di una presunta scientificità, minore sarà la sua potenza comunicativa.
In italiano, ma anche in arabo, la parola è legata al greco, significa insegnare, quindi pone nella sua genesi l’accento su una direzione data per scontata, dal maestro all’allievo. Più vincolante il francese “légende”, cioè da leggere, dal latino, e più libero e interessante l’inglese “caption”, anche questo dal latino, che punta l’accento su un concetto da afferrare. Le autrici del libro si muovono da quel momento in cui lo sguardo del visitatore interroga la didascalia, e, a seconda di ciò che vi trova o non vi trova, attiverà un relè che genererà acquisizione passiva, interesse, percezione di partecipazione, rabbia, esclusione. Il libro, infatti, mette in evidenza la cesura tuttora esistente tra una riflessione museografica aggiornata e coraggiosa, sensibile a una situazione sociale in cui è aumentata l’importanza data agli interlocutori e alle istanze, alle diversità e alle identità di cui si fanno portavoce, e le istituzioni museali che non sempre vedono nelle didascalie un vettore trainante della percezione del museo, uno strumento strategico dalle potenzialità non inesplorate ma, come si legge in questo testo, già da tempo messe in campo, sottoposte ad analisi, critiche e revisioni, vagliate anche nella loro grafica, parte integrante della possibilità di fare presa, come ricorda Enrico Giori. Maria Chiara Ciaccheri mette in luce e chiarisce l’evoluzione della relazione tra i musei, le opere e le didascalie da una parte, e l’elemento del pubblico dall’altra, che da mero fruitore vede un riconoscimento di un ruolo, con un’attenzione quanto mai mirata al dibattito contemporaneo; mentre Nicole Moolhuijsen, indaga, sull’analisi delle interazioni, delle frizioni e delle resistenze rispetto a questo tema. Ad Anna Chiara Cimoli va il merito di aver saputo raccontare, alcuni casi in cui i musei hanno fatto scelte cruciali di rinegoziazione dei contenuti delle didascalie, consentendo di capire quanto questo processo sia difficile e comporti una presa di posizione sapiente e lucida dell’intero staff del museo, a partire dalla direzione.
Carlo Franza