Venustas a Pompei. Grazia e bellezza, eleganza e fascino. Preziosità del mondo romano dall’ VIII/VII sec a. C. al I sec. d. C.
Creme, trucchi, bagni di profumo, specchi per ammirarsi, ornamenti per abiti e gioielli, amuleti, statuette e preziosi dedicati agli dei. Oggetti di vezzo e di moda per inseguire un’ideale di perfezione e bellezza. Oggi come nell’antichità. Fino al 31 gennaio 2021 nel portico orientale della Palestra grande del Parco archeologico di Pompei sarà possibile ammirare la “Bellezza” in esposizione: “Venustas. Grazia e Bellezza a Pompei”. Questo il titolo dato alla mostra che pone l’accento sulla donna, protagonista fin dalla protostoria. Venustas è un termine che gli scrittori latini riferiscono spesso all’arte per indicare una leggiadra e aggraziata bellezza, di carattere più femminile che maschile. Cicerone, in particolare, lo specifica quando dice che due sono i generi di bellezza: la venustas e la dignitas e che la prima è muliebre, mentre la seconda è virile. L’ idea nasce dalla mostra dello scorso anno, “Vanity”, che era un confronto fra gioielli del mondo della Grecia nord – orientale e delle Cicladi, e i gioielli antichi in Campania, pur se non dello stesso periodo. Questa mostra invece è stata pensata per approfondire la cura della Bellezza nel mondo antico: dalla cosmesi all’igiene personale, all’abbigliamento, ai gioielli.
VENUSTAS in una sola parola. Ovvero la “bellezza, la grazia, l’eleganza, il fascino”. Il termine latino riassume perfettamente questi ideali ricercati e ambiti, in particolare dal mondo femminile in ogni epoca, e dà nome alla ricca esposizione che apre al pubblico alla Palestra grande (portico orientale) degli scavi di Pompei, il 31 luglio 2020 fino al 31 gennaio 2021. Un’immersione in quelli che erano i canoni e i gusti estetici delle popolazioni dell’area vesuviana in epoche antiche (dall’ VIII/VII sec a. C. al I sec. d. C.), sulla base dei reperti, circa 300, rinvenuti nei vari siti del Parco Archeologico di Pompei: il villaggio protostorico di Poggiomarino, le necropoli protostoriche di Striano e quella di Età Arcaica di Stabia, i santuari di Pompei e di Stabia, le ville di Oplontis e Terzigno, ed infine l’abitato dell’antica Pompei ed il suo circondario. Uno sguardo a un aspetto della vita quotidiana delle epoche passate, quello della bellezza e della gioia di vivere, interrotta con violenza dalla furia del Vesuvio. 19 vetrine con circa 300 oggetti che seguono un excursus cronologico che va dall’VIIl secolo avanti Cristo al I secolo dopo Cristo, una storia di vanità femminile. Il percorso inizia da Longola, villaggio dell’età del ferro, a Poggiomarino: fibule e ornamenti fatti in ambra che ci raccontano rapporti commerciali col Baltico da dove appunto l’ambra arrivava. Si prosegue con Striano dove sono esposti oggetti trovati nelle necropoli protostoriche ma anche ornamenti dell’età arcaica dalle necropoli di Stabia. Altro focus è quello sull’uso dei profumi e dei gioielli connessi alla religione: oggetti trovati nei Santuari che ci dimostrano che alla divinità si offrivano dei contenitori preziosi di profumo. Seguendo il senso unico obbligatorio, come da normativa post Covid, si incappa in due sequenze di immagini grazie a dei video sul pavimento che ci introducono alle vetrine successive con citazioni di autori classici sull’argomento: frasi per lo più di Ovidio e di Marziale. Scrub, fard, eyeliner e illuminante: una cura del corpo che non cambia. La vetrina dal titolo “Prima di tutto l’igiene” ci accompagna nella Pompei del I secolo dopo Cristo e nel suo circondario. L’igiene nel mondo romano era un aspetto molto importante e nella vetrina in questione si possono per l’appunto ammirare oggetti che si potevano portare alle terme come ad esempio gli strigili, un rasoio, pietra pomice inserita in una calotta di bronzo, un modo per fare già all’epoca quello che oggi definiremmo uno scrub Creme , trucchi e acconciature sono argomento di un’altra piccola vetrina: aghi crinali e contenitori per il fard, eyeliner e polvere di ematite che fungeva da illuminante. Un’altra vetrina è dedicata agli specchi di varia forma e dimensione, alcuni molto preziosi in argento, alcuni portatili, da casa, grandi, piccoli, di bronzo. C’è tra gli esemplari esposti uno specchio a teca che Matteo Della Corte sosteneva raffigurasse Nerone. In realtà si tratta di un ritratto maschile racchiuso in una ghirlanda di quercia, ghirlanda notoriamente simbolo imperiale che ha fatto supporre a Della Corte che si trattasse di un ritratto di imperatore. Una delle vetrine è dedicata ai tessuti e all’abbigliamento: in una piccola teca sono esposti tre nastrini fatti in filo d’oro che Pompei ha restituito. Si passa poi all’esposizione di tre contesti da tre case di Pompei che hanno restituito oggetti legati alla cura del corpo, ai profumi (che erano in pratica unguenti) e al mondo femminile in particolare: la casa di Helvius Severus, la casa della Venere in bikini e la casa di L. Caecilius Ianuarius. Star di queste vetrine è una piccola pisside in pietra calcarea che ha una decorazione raffinatissima a festoni in oro.
Fuori vetrina, al centro del percorso espositivo sono in mostra alcune sculture: al centro la Venere che arriva da Oplontis e ai lati la statua della musa Polymnia che rappresenta la poesia sacra e dall’altro lato la musa Erato che arriva dalla casa di Octavio Quartio, musa della poesia amorosa. Le muse sono lì a mostrare che non esiste solo la bellezza fisica ma anche la bellezza dell’intelletto. Un affresco staccato dalla cosiddetta casa della Biblioteca, nell’Insula Occidentalis, rappresenta una figura femminile alata con gioielli che sono però gioielli di tradizione ellenistica che a Pompei non sono stati ritrovati. Una testimonianza della storia dei gioielli. L’area pompeiana e le ville suburbane ci restituiscono gioielli che sono stati trovati alla villa B di Oplontis e a Terzigno nella villa 2. I gioielli di Pompei sono invece divisi un po’ per tipologia cercando di mantenere i contesti in cui sono stati trovati. Al centro di una vetrina è stato posto un oggetto per far vedere come venivano usati questi gioielli in antico: una mano di statua che ha un anello che proviene dalla tomba della sacerdotessa Eumachia nella necropoli di porta Nocera. Al centro di una vetrina, contornato da orecchini, un frammento di affresco che arriva da villa Arianna a Stabia, lascia leggere un volto femminile con orecchini e diadema. E dove si vedono collane e bracciali in oro e argento, c’è anche una collana “povera” che tutte le pompeiane potevano permettersi con grani di pasta vitrea di colore celeste, a dimostrazione che la condizione economica differente consentiva comunque a tutte le donne di esprimere la propria vanità se pur con uso di materiali differenti. Una delle teche mostra una figura femminile con cassetta portagioie e le gemme che vengono dalla cosiddetta casa del Gemmario di Pompei. Gemme non incastonate che ci dicono che la casa fosse di un artigiano che lavorava le gemme. Completano la vetrina gli aghi crinali e un diadema, l’unico frammento di diadema in oro e perle scaramazze che è stato trovato. Singolare il corredo di una tomba femminile dalla necropoli di porta Nocera, tale Pithia Rufilla, nome che compare nell’iscrizione sulla facciata della tomba di famiglia. Nel corredo si vedono oggetti miniaturistici che dovevano essere ricordi dei suoi giochi da bambina, ma si vede anche un unguentario con un cucchiaino d’argento. Una curiosità rappresentano le tre sfere esposte in mostra: una di cristallo, una di pietra nera e una di pietra colorata che forse erano utilizzate per un rito magico.“Gioielli in fuga” è il titolo dato all’ultima vetrina, cioè quei gioielli che le persone si stavano portando via come ultima speranza per un futuro. Gli oggetti a cui gli abitanti erano più affezionati e di maggior valore. Ritroviamo lo splendido bracciale d’oro della casa omonima di Pompei, bracciali che vengono da Moregine e alcuni più poveri che vengono da porta Nola. Conclude l’esposizione il calco originale del 1875 della donna che scappava lungo via Stabiana. Simbolo della Bellezza distrutta dall’eruzione.
La mostra ripercorre questa storia per una completa immersione nei canoni e gusti estetici delle usanze delle popolazioni antiche: oltre 300 reperti in esposizione organizzati in 19 vetrine con un excursus cronologico partendo dagli ornamenti protostorici dall’Età del Bronzo a quella del Ferro (XV-VII sec. a.C.) fino ad arrivare ai ricchi ornamenti del I secolo d.C., veri e propri capolavori di arte orafa. Tesori antichi dalla ricchezza inestimabile che testimoniano il culto della bellezza, il fascino e l’eleganza degli abitanti della città sepolta e dei siti dell’area vesuviana (il villaggio protostorico di Poggiomarino, le necropoli protostoriche di Striano e quella di Età Arcaica di Stabia, i santuari di Pompei e di Stabia, le ville di Oplontis e Terzigno, oltre l’abitato dell’antica Pompei). Nella bellissima location, nel pieno rispetto delle misure previste dalla attuale normativa sanitaria, si possono ammirare così – oltre a tanti gioielli – creme, trucchi, profumi (costosissimi simboli del lusso romano), ornamenti per abiti, amuleti, statuette e preziosi dedicati agli dei, set da bagno, specchi argentei e bronzei per ammirarsi. Tocca agli Ori di Pompei la parte del protagonista con monili, anelli, bracciali, collane ed armille ritrovate sulle vittime dell’eruzione, tra cui spicca quella con la scritta “Dominus ancillae sua” dono di un padrone alla propria schiava, proveniente da Moregine, alla periferia meridionale della città. Fuori vetrina anche alcune sculture: la statua della musa Polymia (musa della poesia sacra) ed Erato (musa della poesia amorosa) – che uniscono alla bellezza del fisico la “bellezza” della mente – e la statuetta della dea Venere. È, inoltre, esposto un affresco pompeiano con una figura femminile alata riccamente ingioiellata e conclude la mostra, infine, il calco di una giovane donna rinvenuta nel 1875 che scappava da Pompei durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. a testimonianza della bellezza distrutta dal catastrofico evento. Massimo Osanna, direttore generale del Parco archeologico di Pompei, dichiara: “Questa mostra nasce come un approfondimento di un percorso di ricerca avviato lo scorso anno con la mostra “Vanity”, ospitata sempre nel braccio ovest della Palestra grande, e che aveva proposto per la prima volta un confronto tra i gioielli del mondo greco e quelli della Campania ed in particolare di Pompei, come esito di un accordo di studio e collaborazione tra il Parco Archeologico di Pompei, l’Eforia delle Cicladi e l’Ecole Française di Atene… Il titolo “Venustas”, termine con il quale si indicava la bellezza, la grazia, l’eleganza, il decoro ma anche la gioia, riflette la pluralità di temi toccati in questa mostra e indica come gli stessi gioielli siano analizzati da diversi punti di vista. È un itinerario che parte dalla sfera del sacro per far comprendere come i gioielli offerti alle divinità diventino uno strumento di definizione dell’offerente fino ai reperti d’uso comune per la cura del corpo, alle ricche parure di gioielli, e agli amuleti, che rivelano pratiche mediche che sconfinano nei riti magici…Ma Pompei permette anche di ricostruire i rapporti intessuti tra gli antichi abitanti della città e questi oggetti preziosi: l’ultima tappa di questo percorso ci mostra infatti gli anelli, le collane, i bracciali, gli orecchini e le gemme che i pompeiani portarono con sé nel tentativo disperato di sfuggire alla tragica eruzione del Vesuvio del 79 d.C., sia per garantirsi una forma di ricchezza ma anche, probabilmente, per un aspetto affettivo. Il calco di una giovane donna rinvenuta nel 1875 in una strada di Pompei conclude la mostra, muta portavoce della fragilità della vita umana.”
L’orario di apertura di Venustas è dalle 9.15 – 16.40 da martedì a domenica (lunedì chiusura settimanale), mentre l’accesso alla mostra è compresa nel biglietto d’ingresso agli Scavi acquistabile on-line sul sito www.ticketone.it o presso le biglietterie di Porta Marina e Piazza Esedra. Al momento dell’acquisto on-line il visitatore potrà scegliere la fascia oraria di ingresso, prevista ogni 15 minuti per un massimo di 300 persone per turno.
Carlo Franza