Ho incontrato un amico di vecchia data e artista fra i più significativi dell’arte italiana contemporanea, che negli anni   più volte ho incontrato,  ne ho condiviso il suo tracciato artistico, anche scrivendone in passato su Il Giornale.  E’ Franco Marrocco, docente di pittura all’Accademia di Brera a Milano, e già direttore della medesima Istituzione. Le sue opere pittoriche da sempre  si sono indirizzate   in direzione di una più acuta  indagine interiore, in una lucida trascrizione pittorica della condizione umana. Nel suo fare ha rintracciato molto  di Rothko, e non solo, ma anche molta  lezione dell’avanguardia americana. Marrocco costruisce nelle opere una sorta di spazio  mentale dilatato, partendo sempre  dal dato fenomenico; in esse,  è  visibile il  serrato confronto  tra la coscienza  e la sollecitazione esterna che viene  così ad essere destrutturata ed emblematizzata  attraverso l’emozione.  E’ un vero e proprio  procedimento di astrazione, da qui l’impressione  di vertiginosa profondità che emana dalle opere,  e la magnifica interna luminosità.  A Franco Marrocco abbiamo rivolto alcune domande, raccogliendone una straordinaria  intervista.

1 Caro professor  Franco Marrocco, la tua pittura e la tua storia artistica si intrecciano con la storia dell’arte e i movimenti degli anni Ottanta e oltre, con figure e situazioni di apertura internazionale che hanno trovato in Italia fuochi vivaci. Puoi darci un’idea di questo in rapporto al presente?

Sono nato il 7 dicembre del 1956 in provincia di Caserta, cresciuto in Ciociaria e  formato presso il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti. Come molti artisti del sud, soprattutto di provenienza campana, nati negli anni Cinquanta, ho avuto il bisogno di spostarmi, dapprima a Roma e poi in Lombardia. Come per molti artisti “nomadi” il desiderio di confronto con altre realtà è servito soprattutto per capire meglio se stessi. Gli artisti hanno vissuto gli anni Ottanta come una primavera dell’arte, nel mio caso della pittura. Dopo gli anni Sessanta e Settanta, in cui per gli artisti vi era stata generalmente una perdita di senso, vi furono dichiarazioni di morte dell’arte da più parti. Questo generò un senso di smarrimento e svuotamento. La mia generazione ha dato nuova linfa e nuove motivazioni al ritorno dell’arte come necessità individuale e collettiva. L’euforia di quegli anni è testimoniata da mostre, incontri, discussioni. Si verificò un’apertura dell’arte italiana all’estero, il pregiudizio dell’arte italiana come un’arte “socialcomunista” fu superato. Oggi possiamo dire che questo interesse, nonostante la crisi, esiste ancora. La mia vicenda personale ne è testimonianza, ho partecipato a mostre collettive e rassegne in diversi musei esteri, e ho tenuto personali in Messico, Los Angeles, Vienna, Berlino, Bruxelles, Strasburgo e Parigi.

2 La Direzione dell’Accademia di Belle Arti di Brera, illustre istituzione artistica che ti ha visto impegnato in prima persona per anni e dove ancora oggi sei professore, ha maggiormente messo in evidenza non solo il tuo lavoro artistico ma soprattutto le progettualità del lavoro di corpo con il consiglio direttivo e dei cambiamenti in corso nell’istituzione che ha fama mondiale. Cosa dici in proposito?

L’esperienza alla direzione all’Accademia di Brera, dove insegno dal 1989, è stata formativa soprattutto per quanto riguarda l’insegnamento, la ricaduta sulla didattica è stata qualcosa di unico ed importante in quanto ho avuto la possibilità di confrontarmi con Accademie e Università di tutto il mondo, partecipando a dibattiti internazionali aventi per tema la formazione in arte sul contemporaneo. Le questioni dibattute in queste occasioni hanno portato, sia alla mia didattica che all’Accademia di Brera che ho diretto, un contributo straordinario all’innovazione della didattica anche a livello nazionale, poiché parallelamente alla Direzione dell’Accademia di Milano sono stato Presidente della Conferenza Nazionale dei Direttori delle Accademie di Belle Arti Italiane. Il confronto con le altre istituzioni italiane ed estere ha portato alla considerazione che l’Accademia di Brera è una delle Scuole dell’Arte più importanti al mondo. Questa importanza “estera” dell’arte italiana non è compresa dai nostri politici nonostante dicano che l’arte e la cultura sono il nostro primo patrimonio, su cui è necessario investire per le nuove generazioni. Dopo più di vent’anni dalla legge di riforma purtroppo non abbiamo un titolo pienamente terziario. Non è mai stato fatto un piano nazionale per lo sviluppo e la salvaguardia della cultura e dell’arte.

3 Cos’è stata per te l’arte? Chi è  oggi l’artista? Come pensi possa agire  nella società contemporanea?

È l’esperienza del vissuto. Per semplificazione la critica usa le categorie: pittura, scultura, pittura astratta, figurativa oppure concettuale. Credo che tutta l’arte sia figlia di un pensiero che può essere per ragioni storiografiche definita per stilemi, ma in sostanza tutta l’arte è concettuale. Un tempo gli artisti venivano definiti come pittori o scultori, oggi fare queste differenziazioni è riduttivo. L’arte è forma, colore, spazio, è l’esperienza del vissuto tramite la quale noi traduciamo necessità esistenziali profonde, con modelli apparentemente collettivi ma in sostanza individuali, oserei dire sentimentali. L’aspetto sentimentale è la coscienza delle cose dove noi affrontiamo il quotidiano in modo frontale, senza ricorrere a sotterfugi o false procedure alchemiche. L’artista con il proprio progetto si pone in modo disarmato rispetto alla vita per cercare delle risposte e per trovare il senso. Tutto ciò l’artista lo può fare soltanto con un modello sentimentale dove cala se stesso, come l’esploratore va alla scoperta di territori nuovi ben consapevole dei rischi che corre. Possiamo dire che l’artista è un tutt’uno con il mondo, in sostanza è un tutt’uno con l’arte stessa. Qualsiasi gesto è figlio del pensiero che l’ha generato, come il pensiero è forgiato dall’esperienza.

4 La tua pittura, il tuo stile innovativo sul versante dell’informel,  o meglio del nuovo racconto informale di piano internazionale con rimandi a tracciati americani,  una volta più carico come macchia e colore, mentre oggi è avviato a una scarnificazione dei toni, attraverso nebulose e segni; tutto ciò ti pare oggi già compiuto o ancora in divenire? 

Credo, come dicevo, che non esistano categorie, la pittura è informale, astratta, sarebbe inopportuno parlare oggi di informale. Sono passati quasi settant’anni dalla pubblicazione di Un Art Autre di Michel Tapié, saggio fondamentale sulle questioni dell’informale, parlarne ora sarebbe quasi un contraccolpo storico. È vero che nel mio lavoro pittorico passato e recente c’è l’uso del colore e di immagini che possono far pensare questioni anche internazionali. Se volessimo affrontare il problema attraverso questi modelli dobbiamo per prima cosa ricercarli nella nostra interiorità, nel nostro vissuto, attenti all’esistenziale ma in termini di liricità. Si può parlare di liricità quando l’immagine per immersioni opera affioramenti e si scontra con il problema dell’arte come principio sentimentale, con uno sguardo differente. Come afferma Yves Bonnefoy in Osservazioni sullo Sguardo: “gli occhi sono l’apparenza sensibile, lo sguardo è l’inconscio, la visione incondizionata.” Forse bisogna indagare quella parte dell’interiorità più profonda dove lo sguardo è capace di riflettere quella porzione più sensibile di noi stessi, pertanto l’opera, l’arte, diventa parte dell’artista e viceversa.

5  Ti sei misurato con  la storia,  sia nel passato che  nel  presente,  specie per i progetti museali che hai approntato. Alla luce oggi del difficile momento sociale, sanitario, politico ed economico  che stiamo vivendo, pensi che la tua arte ne abbia risentito, o hai trovato in ciò un naturale  momento di riflessione? L’arte avrà  ancora un forte  avvenire  e con quali caratteristiche?

Se l’artista si muove guardandosi, cercando sempre di indagare l’aspetto più interiore, mi pare automatico che tutto quello che stiamo vivendo emergerà non in termini di rappresentazione ma in modelli sicuramente ancora non codificati. Sono certo che l’arte che stiamo facendo e che faremo porterà in grembo tutto il disagio che stiamo vivendo. Non è un problema legato al museo, forse i luoghi dove l’arte verrà mostrata saranno altri, proprio perché i rapporti umani sono diversi rispetto allo scorso anno. Probabilmente sono già cambiate le esigenze. Forse l’uomo avrà bisogno di trovare un nuovo modello sociologico. Potrebbe accadere che il museo stesso perda di senso. Sono domande a cui è troppo presto per dare risposte. Attualmente ho una mostra in corso presso il Museo Arcos di Benevento, il suo titolo è Le Stanze di Iside. Nel museo sono conservate opere di forte interesse storico: reperti trovati nel sito archeologico del Tempio di Iside a Benevento. Con questa mostra ho voluto mettere in relazione le opere dedicate ad Iside, che sono lì conservate, con la nostra contemporaneità, cercando una possibile connessione tra passato e presente. Non è la prima volta che lavoro mettendo in relazione l’opera con lo spazio e la storia che la accoglie. Ho utilizzato questo metodo per la mostra Concerto da Camera presso la Villa Reale di Monza, oppure vent’anni fa alla Reggia di Caserta. Le opere sonostate concepite per lo spazio, sono site-specific. Purtroppo la mostra al momento non è visibile al pubblico, come tutte le altre in Italia. Alla domanda “L’arte avrà ancora un forte avvenire e con quali caratteristiche?” posso dire che sicuramente l’arte avrà uno spazio importante nel futuro, in quanto l’arte è vita, la vita è arte. Sono inscindibili come è sempre stato. Quali modelli? Posso dire sicuramente che sarà posta più attenzione alle questioni che riguardano il senso della nostra vita, rimettendo al centro  l’uomo con tutte le sue contraddizioni.

6  La tua pittura ha  trovato in questi anni  stazioni di consenso  e apprezzamento dalla critica più accreditata, pensi che abbiano già detto tutto del tuo lavoro o che qualcosa sarà ancora da aggiungere  rispetto all’ impianto del nuovo-informale  in cui ti sei calato in questi decenni ?

Ho trovato consenso ed apprezzamenti dalla critica più accreditata ed anche spunti di riflessioni importanti, come ad esempio Luciano Caramel nella presentazione al catalogo della mia mostra personale al Chiostro di Voltorre del 1999 Paesaggi Svelati: “I Paesaggi Svelati proposti in questa mostra sono paesaggi dello spirito, gli unici veramente da svelare, perché sono accostabili solo con le facoltà percettive, in quanto non oggettivi per definizione.” Il mio lavoro ha una forte componente immersiva, come diceva lo stesso Luciano Caramel nel testo appena citato. La pittura si è fatta “da centrifuga a centripeta”, con una progressiva decantazione e concentrazione di qualcosa che era presente fin dall’inizio. Credo che questo aspetto debba essere maggiormente evidenziato, non è un problema di formale o aformale, l’arte è rivelatrice di altro, non è quanto definisce Menna nella sua Pittura-Pittura dove il senso lo dobbiamo trovare negli strumenti del fare. Al contrario gli strumenti sono il veicolo per immersioni che fanno da draga per le emersioni di quanto è sotto la pelle dell’opera e dell’artista stesso. Il mio lavoro necessita pertanto una dimensione temporale, proprio per mettere in relazione campi visivi elastici: la pittura che fa trasparire l’interno di sé e si relaziona con elementi plastici, “reperti” posizionati nello spazio scandito da elementi, da segni che fungono da partizioni. Di volta in volta quest’ultime cambiano a seconda del luogo dove sono installate. In qualche caso l’opera ha bisogno di essere considerata come una distensione anche tautologica, senza perdere nulla anzi mettendo in evidenza le questioni intime e fecondative del fare arte.

7 Cosa pensi di poter fare in quest’ultimo periodo che ti vedrà partecipe ancora nella permanenza all’accademia di Brera? Hai qualche progetto in cantiere?

Vorrei continuare a fare il docente all’Accademia di Brera con la determinazione e il desiderio di sempre, come un giovane che ogni volta che va in aula si cala nella dimensione dell’apprendista che si reca nella palestra per imparare. Proprio per questo dico che l’Accademia è quel laboratorio di idee e progetti dove si mette al centro lo studente con il proprio lavoro. Tutti impariamo dal lavoro degli studenti, anche del più giovane, appena giunto a Brera. Spero di continuare a dare un contributo utile alla crescita della nostra istituzione, come ho fatto in questi anni, per dare senso alla mia vita e alle persone che mi sono vicine. Come mia moglie e le nostre due figlie, che sono il senso vero della vita e lo sguardo che connette il presente con il futuro. Sono previste mostre in musei e spazi pubblici di notevole interesse, anche dal punto di vista installativo. L’ultimo mio lavoro ha acquisito un carattere fortemente plastico con innesti di materiali differenti. È importante il rapporto tra lo spazio dell’opera e lo spazio contenitore. Questo modello prevede che ogni volta che si progetta un lavoro bisogna considerare il luogo che lo accoglie. L’opera ha acquisito una dimensione direi dinamica, in quanto si può modificare, adattare o modulare in modo differente a seconda dello spazio che la accoglie. Questo metodo di affrontare il problema dell’opera ha prodotto, nel mio caso, diverse modalità di comportamento, questo soprattutto dal punto di vista mentale. Il mio lavoro precedente appare statico rispetto a quello più recente, che è più elastico. Quest’ultimo essendo in un certo senso più permeabile permette una migliore adattabilità. Alcune mie opere, inoltre, sono state pensate e realizzate per spazi esterni, ho quindi ampliato l’uso dei materiali aggiungendo alla terra cotta, da me utilizzata in precedenza, il corten, il bronzo e il vetro. Il risultato è di forte impatto, con la possibilità di un rinnovato dialogo dell’opera con l’osservatore sia in luoghi dove la natura è ancora incontaminata che in spazi urbani.

Carlo Franza

 

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