Come evento collaterale dell’esposizione Henry Moore. Il disegno dello scultore il Museo Novecento ospita sino al 30 maggio 2021 nelle sale al secondo piano, attigue alla raccolta di Alberto Della Ragione, la mostra “Henry Moore in Toscana”. Il progetto nasce con l’intento di sottolineare il legame tra lo scultore e il territorio toscano e presenta una serie di opere provenienti da collezioni private che testimoniano, insieme a documenti e fotografie, l’intensa relazione artistica e affettiva che legò lo scultore alla città di Firenze e alla Toscana. Un rapporto intenso nato a partire dagli anni ’20 quando, giovane studente, lo scultore soggiornò nelle principali città toscane e poi consacrato nel 1972 con la grande mostra che la città di Firenze gli dedicò nel 1972 al Forte Belvedere. Il viaggio di studio in Italia del 1925 rappresentò per Moore una sorta di rivelazione, l’osservazione dal vivo dei capolavori dei maestri toscani del Trecento e Quattrocento lo accompagneranno a lungo e segneranno la sua formazione artistica insieme allo studio della scultura primitivista ed extraeuropea, scoperta al British Museum di Londra, delle avanguardie storiche, di Brancusi e Picasso.
“La mostra Henry Moore in Toscana aggiunge altra conoscenza al rapporto di amicizia tra l’artista e il nostro territorio, circa cinquant’anni dopo la mostra epocale al Forte di Belvedere – ha detto Sergio Risaliti, direttore artistico del Museo Novecento e curatore dell’esposizione -. Il progetto nasce dalle costole della mostra concepita in collaborazione con la Fondazione Moore e ne vuole essere un importante corollario. Le opere provenienti da collezioni private -tutte acquistate negli anni a ridosso della antologica fiorentina- testimoniano  l’intraprendenza culturale e il gusto di amanti dell’arte contemporanea in grado di vedere il bello, la poesia, anche in forme di dirompente novità come quelle di Moore in quegli anni, in una città fin troppo impermeabile alla contemporaneità. Vogliamo definire illuminati quei collezionisti, grazie alla loro intuizione si dette vita alla grande operazione del Forte Belvedere,  un vero Rubicone nella storia culturale e sociale fiorentina,  e di lì a poco a quella realizzata a Prato che con la velocità e il senso del rischio, tipico della città laniera, seppe aggiudicarsi una delle sculture monumentali di Moore presentate sui bastioni del Forte di San Giorgio. Moore fu a Firenze giovanissimo, volendo perfezionare il suo gran tour italiano, quella forma di iniziazione alla grande arte classica e rinascimentale cui non poteva sottrarsi ogni artista anglo-sassone. Ma il suo non fu solo un innamoramento per l’arte di Giotto, Donatello, Masaccio o Michelangelo. In Versilia, lo scultore venne in contatto con la realtà manifatturiera locale, quella enorme tradizione di sapienza artigianale e artistica nelle mani degli scalpellini e dei cavatori. Fascinazione per il paesaggio delle cave Apuane e per la serenità salubre del litorale tra Forte dei Marmi e Carrara, dove Moore incontrò una comunità artistica e di letterati con cui confrontarsi e costruire rapporti di stima e amicizia. Voglio sentitamente ringraziare tutti i prestatori delle opere che hanno aderito al progetto, coloro che hanno aperto le case, gli archivi di famiglia. Senza il contributo delle curatrici e curatori del museo questo progetto non sarebbe stato possibile. Un ringraziamento va anche agli autori dei testi in catalogo che hanno arricchito di informazioni una vicenda collezionistica importante per la storia culturale e sociale toscana”.
Nei bronzetti esposti in queste sale – molti dei quali modelli preparatori di sculture monumentali – ricorrono alcuni soggetti cari all’artista, dallo studio della figura umana e delle vertebre, alla rappresentazione delle donne sdraiate e delle mani, oltre a un equilibrio unico delle forme tra pieni e vuoti che fu carattere distintivo di tutta la sua pratica. Le immagini d’epoca lo ritraggono con amici e intellettuali durante le estati trascorse tra la Versilia e le cave di marmo di Carrara, tracciando una storia fatta di legami e affetti continuativi. Molti di questi amici, tra cui Maria Luigia Guaita, Giuliano Gori e Anna Maria Papi, segneranno la presenza dell’artista sul territorio e il suo rapporto con le istituzioni locali, assicurando anche l’arrivo di opere come Warrior with Shield (1953-1954) oggi ospitata nel chiostro detto ‘di Arnolfo’ della basilica di Santa Croce a Firenze e Large Square Form with Cut (1969) in piazza San Marco a Prato. La mostra e il catalogo che la accompagna rendono quindi omaggio tanto all’artista quanto ai suoi collezionisti, che ne seppero valorizzare la figura e il genio nel segno del mecenatismo e di un amore indiscusso per l’arte. Il legame tra lo scultore britannico e la Toscana è ripercorso attraverso le tappe che scandiscono la mostra, articolata in sculture e fotografie. Sul finire degli anni Cinquanta Moore si reca per la prima volta a Querceta, nei pressi di Forte dei Marmi sul litorale toscano. L’occasione è la produzione di una grande scultura commissionata dall’Unesco nel 1957 per la sede centrale di Parigi. In quegli anni l’artista si dedica prevalentemente alle opere in bronzo ma per la nuova creazione sceglie il travertino, la stessa pietra usata nella decorazione dell’edificio Unesco, e, insieme agli artigiani delle cave carraresi della società Henraux, lavora alacremente per scolpire una monumentale Reclining Figure (figura distesa)

Le tante visite compiute sulla riviera toscana e al monte Altissimo, “un luogo affascinante ed eccitante” ricorda Moore, dove nelle cave “Michelangelo trascorse due anni della sua vita”, lo convincono ad acquistare nel 1965 un villino dove passare le estati insieme alla moglie Irina e alla figliaMary. Le immagini provenienti dall’Archivio Papi Cipriani raccontano con tono intimo e familiare alcuni momenti di quegli anni toscani trascorsi tra il lavoro e la famiglia nelle cave, nello studio e sul litorale, insieme ad amici e intellettuali come Eugenio Montale, compagno di molti soggiorni, in una normalità quotidiana in cui “non succedeva nulla, eppure succedeva tutto”.  Di lì a pochi anni nascerà anche l’idea della mostra al Forte di Belvedere, la più grande retrospettiva mai realizzata dell’artista che inaugurò anche una nuova era per la cultura fiorentina e il suo rapporto con l’arte contemporanea.  “Dovevo avere probabilmente circa 11 anni quando decisi per la prima volta che volevo diventare scultore. Ricordo benissimo il momento preciso. Da ragazzo, a scuola, mi piacevano le lezioni d’arte, mi piaceva disegnare. Nei miei primi ricordi mi vedo chiedere spesso a mio fratello più grande di disegnarmi un cavallo o altre cose. Ma l’episodio insignificante che ho fissato in mente è legato alla scuola di religione dove i genitori mi mandavano con mia sorella più piccola tutte le domeniche pomeriggio, credo soprattutto per liberarsi di noi…il direttore ci faceva un discorso che aveva sempre un piccolo risvolto morale. E una domenica ci parlò di Michelangelo che stava scolpendo nelle strade di Firenze – che erano il suo studio – la testa di un vecchio fauno. Un passante stette ad osservarlo due o tre minuti e poi disse: “ma un vecchio non potrebbe avere ancora tutti i denti”. E Michelangelo prese immediatamente lo scalpello e fece saltar via due denti, e quindi – disse il direttore – ecco un grande uomo che ascolta. Consigli degli latri anche se nemmeno li conosce. La storia mi si è fissata nella mente non per la morale, ma per via di quel personaggio, Michelangelo, un grande scultore. Così, invece di dire come gli altri bambini che volevo fare il macchinista o cose nel genere, quelle parole mi si stamparono nella mente e da quel momento seppi [cosa volevo diventare]”, così  affermava Henry Moore.
In occasione della mostra  realizzato un mediometraggio per raccontare attraverso testimonianze di personalità del mondo culturale toscano il ricordo della mostra del ‘72 e della presenza di Moore sul territorio.

Carlo Franza

 

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