I Teatri Storici del Polesine. A rivedere quando Beniamino Gigli, la Callas e Pavarotti si esibivano. La mostra a Palazzo Roncale a Rovigo.
La passione per l’opera, il teatro, la musica, il balletto erano (sono) di casa nel Polesine. Non solo nella città capoluogo, Rovigo, ma in tutto il territorio. Basti pensare che c’è traccia documentata di almeno una cinquantina di teatri, attivi anche in paesini di poche anime, persi nel Delta del Po. Un fenomeno che per capillarità di presenze, in un territorio marginale e complesso com’era quello del Polesine, è davvero unico. Una mostra dal titolo “I teatri storici del Polesine” a Palazzo Roncale a Rovigo, aperta fino al 4 luglio 2021, mette in scena questi teatri nati, quasi tutti, dalla volontà di gruppi di privati che si sono tassati per costruirli e poi per sostenerne l’attività. Soprattutto musicale, quasi gareggiando l’un l’altro per poter ingaggiare le migliori compagnie o per mettere in scena proprie “produzioni”, come si direbbe oggi. Proprio perché derivano di una “società” di persone, presero il nome di Teatri Sociali. Della stragrande maggioranza di questi teatri non resta che la memoria negli archivi. La grande crisi, che già aveva cominciato a mordere da tempo, si fece drammatica nel Novecento, quando il Polesine visse una delle sue epoche più difficili. Il substrato sociale che aveva voluto e sostenuto questi teatri si era via via indebolito e sfaldato. Molti di essi vennero abbandonati o abbattuti, altri trovarono una sopravvivenza, anch’essa effimera, come cinema. Poi il buio. Oggi, di questo straordinario patrimonio, sopravvivono 7 teatri storici. Sei di essi sono attivi: il Sociale di Rovigo, innanzitutto, il Comunale ed il Ferrini ad Adria, e quelli di Badia Polesine, Loreo e Lendinara. Tutti restaurati anche grazie al concorso di Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che promuove questa mostra. Per il settimo teatro, quello liberty di Castelmassa, il restauro è in corso. Va detto che di teatri in Polesine oggi ne sono attivi altri oltre ai 7 in mostra. La selezione è stata compiuta tendo conto di diversi parametri: data di apertura, interesse architettonici, livello dell’attività artistica. La storia di questi 7 teatri è costellata di grandi debutti, di prime di opere poi diventate celebri, di piccole grandi vicende che sono parte della storia italiana della musica e del costume. Tra i tanti debutti, quelli di Beniamino Gigli, appena prima dell’entrata dell’Italia nelle Grande Guerra, ne La Gioconda di Ponchielli; nel ’44 a debuttare a Rovigo fu Renata Tebaldi nel Mefistofele di Arrigo Boito. Ma dal Sociale sono passati anche Maria Callas, nel ’48 nel ruolo di Aida, e nel 1962, Luciano Pavarotti nei panni del Duca di Mantova nel Rigoletto. Poi le inaugurazioni storiche, con quella virtualmente doppia del primo Sociale rodigino: il 3 marzo del 1819, per la sua solenne apertura venne decisa la messa in scena de L’ombra di Fetonte quale “Omaggio della riconoscenza rodigina cantato per musica, da rappresentarsi nella faustissima circostanza in cui la Sacra Cesarea Maestà Francesco Primo, Imperatore d’Austria…onora coll’Augusta presenza Sua la Città Regia di Rovigo”. La Poesia, ovvero le parole del libretto, erano opera dell’Abate Antonio Sonda, “accademico Concorde”, mentre la musica era opera del signor “Santo Campioni”. A fare da sfondo alla vicenda di Fetonte era una scenografia che rappresentava Occhiobello. “L’ombra di Fetonte” era stata composta già nel 1916, ma l’Imperatore quell’anno non era riuscito a raggiungere Rovigo. Non ci riuscì nemmeno nella Gran Serata una indisposizione lo bloccò in Palazzo Angeli. In Teatro lo rappresentò l’Imperatrice, entusiasta della serata e dell’edificio. L’inaugurazione ufficiale avvenne il 26 aprile, ovvero il mese successivo, con Adelaide di Borgogna, scritta appositamente per l’evento da Pietro Generali su libretto di Luigi Romanelli. L’Imperatore riuscì ad ammirare il Sociale solo il 21 luglio e, a leggere dal suo Diario, ne ammirò l’architettura e annotò anche quanto le donne presenti fossero ben vestite. Per l’inaugurazione, il 23 agosto 1884, del Teatro Cotogni di Castelmassa venne scelta l’opera Il Barbiere di Siviglia di Rossini, con la partecipazione straordinaria del famoso baritono Antonio Cotogni. Esibizione così memorabile da far intitolare il teatro al cantante. Poi un altro debutto storico: fu il Comunale di Adria ad accogliere la prima tappa dello storico tour dei giovanissimi Genesis, Ma di episodi altrettanto memorabili, i teatri del Polesine ne possono raccontare davvero tanti. Anche dal punto di vista architettonico, i teatri polesani, nelle loro differenti peculiarità, sono di grande interesse. E le curatrici della mostra, Maria Ida Biggi e Alessia Vedova, hanno recuperato documentazioni e disegni originali di grandissimo interesse e qualità. Altri materiali, preziosi per valore storico, sono stati proposti alla mostra dai responsabili dei singoli teatri, tutti direttamente coinvolti nel far rivivere al Roncale le loro vere e proprie epopee.
La mostra presenta i 7 teatri attraverso documenti originali (affiches, libretti d’opera spesso autografati dai maggiori compositori, foto dedicate dai grandi interpreti, diversi e importanti filmati, scenografie, costumi… Descrivendoli nella loro architettura attraverso le immagini di un grande fotografo – Giovanni Hänninen – e di un abile videomaker, Alberto Amoretti. Attingendo alla realtà aumentata per consentire ai visitatori di entrare dentro questi teatri, vivere l’emozione degli eventi musicali che hanno ospitati. Per poi uscire da Palazzo Roncale e andarli a visitare di persona, perché nessuna immagine e nessun documento riusciranno mai a trasmettere l‘emozione che si prova nell’entrare in un teatro carico di storia, in un mondo dove musica e fiaba, magicamente si fanno realtà. Di “presenze” che si riverberano nei palchetti e sui velluti.
Da sottolineare che, in contemporanea, con questa mostra allestita nell’intero Palazzo Roncale, nel dirimpettaio Palazzo Roverella il pubblico potrà ammirare la grandiosa esposizione “Arte e Musica” di cui ci occuperemo in un altro articolo.
Carlo Franza