Giorgio Griffa e la ragione analitica. Con un mondo astratto non basta, l’artista torinese movimenta la mostra in corso alla ABC-ARTE di Genova.
ABC-ARTE è una superba e significativa galleria di Genova che ha aperto la nuova stagione con l’inaugurazione della mostra personale di Giorgio Griffa dal titolo “Un mondo astratto non basta”, visitabile fino al 24 aprile 2021.
L’esposizione di Griffa si apparenta e segue le numerose altre mostre che da tempo la storica galleria ha negli anni campionato incorniciando figure di piano internazionale della contemporaneià. Per di più Genova rinnova il proprio legame con l’artista torinese, tra i più significativi del dopoguerra, basti pensare alle presenze sue che vi sono state negli anni ‘70 alla Galleria Bertesca e Samangallery e negli anni ’80 alla Samangallery, La Polena e Studio Bonifacio. Mi conferma la direzione che “Un mondo astratto non basta”, si pone in continuità con la personale realizzata da ABC-ARTE nel 2015 “Esonerare il mondo, a cura di Ivan Quaroni e la collettiva ospitata nel 2018 Absolute Painting. Giorgio Griffa, Tomas Rajlich, Jerry Zeniuk, a cura di Flaminio Gualdoni.
La mostra vive con circa quaranta opere, gran parte di queste appartengono a un nucleo di lavori storici degli anni ’70 dove Griffa, affiancandosi alla Pittura Analitica ed anche all’Arte Povera, ha portato avanti un tracciato di lavoro che lo ha visto fuori dai canoni tradizionali della pittura, mettendo in atto una nuova forma di visione fatta di segni e di colore, un nuovo diario di osservazioni, conoscenze, pensieri, impressioni, esperienze, da portarlo a dire “Io non rappresento nulla, io dipingo”(Galleria Godel- Roma); questa fu infatti la sua dichiarazione di poetica espressa nel lontano 1972. Segnale questo che trova il suo completamento proprio nel 2021 quando quest’afferma : “I segni primari, le contaminazioni e ciascuno degli undici cicli che ho realizzato mi avvicinano alla fase del passaggio dalla energia giacente all’ “idea” ( Griffa, Allemandi, Torino 2021). E la somma della propria intelligenza e fantasia artistica lo hanno portato a mettere in atto una sorta di assetto strutturale del suo metodo artistico, un’estetica di assoluta rarefazione del segno e del colore. La sua è stata via via una sequenza aperta di scrittura, non semplististica ma semplice, tanto da richiamare le linee che gli scolari mettevano in pagina nella prima classe elementare degli anni Cinquanta – lo ricordo bene-; ma Griffa è andato oltre perché nel suo procedere c’è la filosofia del mondo, c’è la vita, c’è il tempo, fa vivere un tempo storico. Tempo storico che si riallaccia alla sua dimensione interna, ossia di corpo del segno, e di dimensione esterna che coincide con una struttra tangibile e inafferrabile, sequenziale, aerea, tracciata, libera, ma percettibile e consapevole.
Rifonda, possiamo dirlo, la pittura, la libera da ogni sorta di agglomerazione e impasto, la fa diventare silenziosa (“appoggiare il colore dentro la tela”), illumina il colore, la conduce oltre il gesto, fino all’azzeramento della forma stessa che rimane segno, impronta sciamanica, tanto che l’artista si muoverà poi in tele bandiera, senza telaio, perché dice “ogni segno del pennello è un fenomeno reale, ogni pezzo di tela è un pezzo di realtà”. Si osservi che livelli emozionali e ragione analitica hanno quasi un effetto sismografico. Tempo esterno e interno convergono, insorgono intervalli prevedibili e imprevedibili, relativizzano l’inizio e la fine, il finito e l’infinito; in questo modo si lascia leggere il suo assunto “Il mio non finito ha assunto col tempo una valenza inaspettata, significa omettere sulla tela il punto finale che, così come il punto finale di questa frase, la proietta all’istante nel passato”. Segni primari, cadenzati, in fila, punti, virgole, linee, bacchette, in essi c’è la storia e il tempo, il mondo di ieri e di oggi, il passato e il presente, la memoria e i ricordi; dice Griffa: “essendo io convinto dell’intelligenza della pittura, ponevo la mia mano al servizio dei colori che incontravano la tela, limitavo il mio intervento al gesto semplice di appoggiare il pennello”. Dall’alto e da destra incrociato, Alter Ego, Frammenti, Segno e Campo, Tre linee con arabesco, ciclo Canone aureo, questi i titoli di opere che lasciano presagire il mondo, il campionario segnico di Griffa, fuoriuscito da un baule di ricordi. Va ricordato che sono ben undici i cicli che si sono avvicendati nel percorso pittorico dell’artista torinese con progressive contaminazioni, interferenze, frammentazioni, sovrapposizioni, stratificazioni; “talvolta mi diverto a occultare da qualche parte i segni primari. Non c’è nulla di mummificato nella mia pittura che ha il compito di riattivare la memoria”, racconta Griffa che all’età di 85 anni si muove con leggerezza e ironia intorno alle sue tele che osserva di soppiatto lasciandosi ancora sorprendere. Per Griffa dipingere è un’azione che si pone come la totalità intorno alla quale ragionare, un mezzo non un fine che si relaziona con gli altri campi del sapere quali la filosofia, la scienza o la musica. Griffa ascolta molta musica classica nel suo studio, dove ho avvertito distintamente un rapporto intenso tra colore, ritmo e un certo tipo di ricerca spirituale impegnata tra filosofia e scienza ( vedi Francesco Franza, L’occhio musicale. Rapporti tra arti visive e musica nella contemporaneità, Milano, 2020). La sua pittura vive in un sistema lessicale ben chiaro, con una scrittura iso-musicale, che inframezza le sequenze cromo-segniche con più leggeri tratti neri. Da “Segni Orizzontali” (anno 1969) fino a “Frammenti” o “Segno e Campo” abbiamo una pittura come finitezza infinita. Queste opere vanno lette e guardate, ma più lette che guardate, perché i contenuti formali sono intrisi di sostanza intelleggibile; è il paradiso totale nel finale di quest’avventura, nel finale di un percorso che vale come astrazione radicale.
Giorgio Griffa è nato a Torino nel 1936. Vive e lavora a Torino. Inizia la attività espositiva nel 1968. Collabora con Gian Enzo Sperone sino a quando egli sposta la sua galleria a Roma. In seguito collabora con altre Gallerie (Sonnabend a New York e Parigi, Martano, Salzano, Biasutti a Torino, Toselli, Ariete, Templon, Lorenzelli, Milione, Guastalla a Milano, Samangallery a Genova, Godel, Primo Piano, Malborough, E.Tre, Mara Coccia, Oddi Baglioni, Marino, Lorcan O’Neill a Roma, Casey Kaplan a New York, eccetera) ed espone in varie manifestazioni, quali Prospect 69 e 73 a Dusseldorf, Processi di pensiero visualizzati al Kunstmuseum di Lucerna 1970, Contemporanea al Parcheggio di Villa Borghese Roma 1973, Biennale di San Paolo 1977, Biennale di Venezia 1978, 1980 e 2017, L’informale in Italia alla GAM Bologna 1983, Un’Avventura Internazionale al Castello di Rivoli 1993, Arte Italiana Ultimi quarant’anni alla GAM Bologna 1998, Le soglie della pittura nella Rocca Paolina Perugia 1999, personale alla GAM di Torino 2001, Time & Place al Moderna Museet Stockholm 2008, MACRO Roma 2011, Trinity College Dublino nel 2014, Centre Art Contemporain Ginevra 2015, Bergen Kunsthall Bergen 2015, Fondazione Giuliani Roma 2016, Fondation Vincent Van Gogh Arles 2016, Museu de Arte Contemporanea de Serralves Porto 2016, Camden Arts Center Londra 2018. Griffa ha pubblicato vari testi, fra cui: Non c’è rosa senza spine nel 1975, Cani sciolti antichisti nel 1980, Drugstore Parnassus nel 1981, In nascita di Cibera nel 1989, Nelle orme dei Cantos nel 2001, Post Scriptum nel 2005, I flaneur del Paleolitico e Il Paradosso del Più nel Meno nel 2014, Golden Ratio & Shaman nel 2019.
Collezioni pubbliche:Galleria d’Arte Moderna (GAM), Torino, Castello di Rivoli, Rivoli, Torino, Galleria d’Arte Moderna, Roma, Museo d’Arte di Gallarate, Gallarate, Museo del Novecento, Milano, Gallerie d’Italia – Piazza Scala, Milano, Museo di Arte Contemporanea di Roma (MACRO), Roma, Tate Modern Gallery, Londra, Museo Cantonale d’Arte, Lugano, Dallas Museum of Art, USA, Fundacao de Serralves, Porto.
Carlo Franza