Patrick Zaki rinviato a giudizio in Egitto, rischia 5 anni di carcere. E’ ora che l’Italia alzi la voce e dica la sua.
Ieri 14 settembre la prima udienza dello studente egiziano. Gli è contestato uno scritto del 2019 in difesa dei cristiani copti. Anche Papa Bergoglio non prende parola. Eccolo l’articolo, ve lo sottopongo per intero, per capire come i cristiani vengono trattati nel mondo musulmano.
Patrick Zaki, ecco l’articolo sui cristiani copti per cui l’Egitto accusa lo studente.
di Patrick Zaki
L’incriminazione: «diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese». Pubblicato nel 2019 sul sito web Daraj, l’articolo è una sorta di diario delle persecuzioni cui sono sottoposti nel Paese musulmano i copti, minoranza a cui il giovane appartiene.
Non passa un mese senza che si verifichino incresciosi atti di violenza contro i copti egiziani, dai tentativi di trasferimento forzato nell’alto Egitto fino ai sequestri di persona, chiusura delle chiese o attentati dinamitardi. Questo articolo si propone il semplice scopo di seguire gli avvenimenti di un’unica settimana, come annotati nei diari dei cristiani d’Egitto.
Il primo giorno dell’ultimo Eid al-Fitr, l’Egitto è stato colpito da un gravissimo attacco terroristico che ha reclamato la vita di quattordici effettivi tra le forze armate e la polizia egiziana, di vario ordine e rango. Poiché non sono state menzionate vittime cristiane tra le reclute, siamo rimasti sorpresi nel ricevere la notizia di un funerale militare tenutosi nella cittadina natale di uno dei soldati cristiani, Abanoub Marzouk, proveniente da Bani Qurra, e dal centro di addestramento Qusiya di Assiut.
Ho diffuso la notizia sul mio blog, nel quale chiedevo come mai si era taciuto il nome di Abanoub. Mi sono visto piombare addosso una valanga di critiche dagli utenti delle reti social, come pure da parte di certi giornalisti egiziani, i quali mi hanno confermato che cose del genere sono «normali», in quanto le forze armate non pubblicano mai i nomi delle vittime degli attacchi terroristici nel Sinai per motivi di sicurezza e per non deprimere il morale delle truppe stazionate in quei luoghi. Tutte queste pressioni mi hanno convinto a cancellare il mio post. Ho aggiunto che forse mi ero sbagliato e non si era trattato di un atto di discriminazione e ho chiesto scusa ai miei colleghi. Qualche ora più tardi, si è diffusa la notizia di scontri e violenze nella cittadina natale della recluta Abanoub Marzouk, poiché l’esercito voleva intitolare una scuola a suo nome e la popolazione locale si era violentemente opposta alla decisione, in quanto la recluta era «cristiana».
I media egiziani si sono guardati bene dal far luce sulla vicenda, ma alcuni giornalisti e attivisti cristiani hanno sollevato obiezione. Nader Shukri, un reporter che tratta di affari cristiani in Egitto, ha scritto: «Il governatore della provincia ha consigliato a Abanoub Naheb, fratello della vittima, che se qualcuno lo invita a un matrimonio, e offre agli sposi dieci sterline, l’altro non vada in giro a dire che doveva offrirgliene cento. Questo in risposta al rifiuto del fratello di mettere il nome del martire su un ponte, che è un semplice attraversamento di un canale, «facendo inoltre notare che una targa del genere non è assolutamente indicata a onorare il sacrificio di un soldato morto in un attacco terroristico».
Successivamente Ishaq Ibrahim, ricercatore presso l’Iniziativa egiziana per la tutela dei diritti della persona, ha commentato su Facebook: “Coloro che hanno rifiutato di dare il nome di Abanoub a una scuola non fanno parte né dei fratelli musulmani, né dei salafiti, né degli integralisti. Siamo coraggiosi e diciamo chiaramente che la decisione è stata presa da un funzionario dello stato per motivi discriminatori. Dare la colpa ai gruppi religiosi equivale a uno scaricabarile delle responsabilità». Per poi aggiungere: «Il governatore di Assiut, dopo aver criticato il funzionario per non aver dato il nome di Abanoub a una scuola, ha fatto sistemare una targa commemorativa su un ponticello della sua città natale, che scavalca un canale, malgrado l’opposizione della famiglia del defunto! Con questa soluzione, il governatore ha pensato da un lato di accontentare tutti, dando formalmente il nome della vittima a “qualcosa”, e dall’altro di scansare ogni seccatura che gliene verrebbe se avesse dato il nome a una scuola. Tra l’altro, il nome di ponti e strade nei piccoli centri non ha nessuna importanza, perché non viene nemmeno registrato nel piano urbanistico, né utilizzato dai residenti». Ibrahim ha rimarcato, nel suo post, l’assenza del ruolo dello stato e la totale indifferenza davanti al razzismo sistematico praticato dagli abitanti del luogo, mai affrontato dai funzionari statali, che hanno ceduto alle pressioni e non hanno intitolato una scuola alla giovane vittima. Il governo egiziano ha fatto prova di estrema passività in questa vicenda, rifiutandosi di adottare misure decisive per impedire la sistemazione della targa commemorativa di Abanoub Marzouk su un ponticello. Il governatore della provincia è intervenuto allora per risolvere il problema e ho scoperto che aveva dato il nome di Abanoub Marzouk a uno dei ponti in costruzione all’ingresso della cittadina natale della vittima. E così almeno uno, tra i tanti problemi che affliggono i cristiani d’Egitto, è stato risolto grazie a un «ponte»! Indagando sui modi più comuni per onorare ufficiali e militari morti in servizio, ho scoperto che il governo ha dedicato un certo numero di strade, scuole e piazze principali alla memoria delle vittime del Sinai, dal 2013 a oggi. Questo mi spinge a sollevare non poche domande su come il governo abbia gestito il caso di Abanoub Marzouk, la recluta cristiana, che i suoi concittadini hanno rifiutato di onorare intitolandogli una scuola, con il beneplacito del governatore, per timore dei militanti islamici più estremisti.
Ecco, cari amici cristiani e cattolici il coraggio di difendere la propria fede. In prima persona. Non è da tutti e non lo è stato per Patrick Zaki.
Carlo Franza