Chronicon Altinate, XI-XII secolo: «L’anno sopradetto 421 il giorno 25 del mese di Marzo nel mezzo giorno del Lunedì Santo, a questa Illustrissima et Eccelsa Città Christiana, e maravigliosa fù dato principio ritrovandosi all’hora il Cielo in singolare dispositione…». Il mito di Venezia sta anche nella leggenda della sua fondazione, coincidente con la posa della prima pietra della Chiesa di San Giacometo a Rivoalto il giorno dell’Annunciazione alla Madonna. Una leggenda che, tramandata dai cronachisti e storiografi veneziani, mise insieme racconti che si erano intrecciati nei secoli a sostegno della straordinarietà e del valore di Venezia: città eletta da Dio.

421 – 2021. Venezia celebra i suoi 1600 anni e lo fa anche con una monumentale mostra messa in scena – è il caso di dire – nel luogo simbolo del potere e della gloria della Serenissima: il Palazzo dei Dogi in Piazza San Marco.  Sorta di grande e sorprendente racconto illustrato attraverso i secoli, la mostra promossa dalla Fondazione Musei Civici di Venezia si propone il difficile ma entusiasmante compito di raccontare – attraverso oltre 250 opere d’arte, manufatti antichi e documenti rari – i momenti, i luoghi, i monumenti e i personaggi che hanno segnato la storia di Venezia, scegliendo un inedito punto di vista, ovvero quello degli innumerevoli momenti di crisi e rotture e delle altrettante rigenerazioni e rinnovamenti che hanno segnato la sua esistenza.
Nascite e rinascite: tappe salienti della storia e dell’identità di Venezia più e più volte chiamata a ridisegnare il suo futuro e ripensare il suo destino, testimoniate dalle opere e dai documenti dei massimi artisti che in laguna hanno operato nell’arco di quasi un millennio – Carpaccio, Bellini, Tiziano, Veronese, Tiepolo, Rosalba Carriera, Guardi e Canaletto, fino a Canova, Hayez, Appiani; e poi Pollock, Vedova, Tancredi, Santomaso – ma anche di tanti architetti, talentuosi uomini d’arte, letterati e musicisti che hanno accompagnato il suo divenire.  Un’occasione preziosa anche per ammirare, riunita in una narrazione avvincente, una parte importante dell’immenso patrimonio conservato in città e in particolare nelle collezioni dei Musei Civici, con tanti e significativi restauri sostenuti per l’evento in particolare da Save Venice Inc., come la grandiosa tela con il Leone di San Marco di Vittore Carpaccio (opera di oltre 3 metri di lunghezza), il Ritratto di famiglia di Cesare Vecellio e la monumentale pala di Jacopo Palma il Giovane con Madonna col Bambino in gloria, San Magno che incorona Venezia affiancata dalla Fede, ma manche un raffinato mosaico cinquecentesco, rari manoscritti miniati, preziosi disegni, un importante vaso cinese della dinastia Yuan del XIV secolo e molto altro ancora. Con uno scenografico allestimento affidato Pier Luigi Pizzi e l’attenta direzione scientifica di Gabriella Belli, curata da Robert Echols, Frederick Ilchman, Gabriele Matino e Andrea Bellieni, la mostra è divisa in 12 sezioni, ripercorse anche nell’approfondito catalogo edito in doppia edizione, italiana e inglese, da Museum Musei: 1) Introduzione, 2) La città eletta, 3) Regina del mare, 4) La città dei mercanti, 5) Renovatio Urbis: Andrea Gritti e gli architetti, 6) L’incendio di Palazzo Ducale, 1577, 7) La peste, 1576 e 1631, 8) Settecento: gloria e caduta della Serenissima, 9) Ottocento, rivoluzione e unificazione, 10) La capitale dell’arte contemporanea, 11) Acqua Granda, 1966, 2019, 12) Venezia e il futuro. Un percorso incalzante e intenso. Tutte le arti, compresa la decima musa, sono state chiamate a raccolta per ripensare ai sedici secoli della Serenissima, tra trionfi e domini, di terra e di mare, grandezza e bellezza, ma anche tra incendi, sconfitte militari e pestilenze, fino all’Acqua Granda del 1966 e del 2019 rappresentate simbolicamente in mostra dall’opera The Raft (La zattera), straordinario “cameo” dell’artista multimediale di fama mondiale Bill Viola.

L’ultima sala è un invito alla riflessione sul futuro, sulla salvaguardia del patrimonio di questa città e sulla ricerca della sostenibilità grazie a un’installazione nata dalla collaborazione tra Gabriella Belli e Studio Azzurro. Sullo sfondo liquido che avvolge Venezia in ogni fase della sua vita, emergono le tante voci delle persone – intellettuali, tecnici, studenti – che si interrogano sul futuro della città: un controcanto di riflessioni, idee e stimoli per guardare “Oltre”. La Repubblica Serenissima cade nel 1797, ma Venezia è ancora assolutamente viva e cosciente della sua identità e della sua fragile e potente unicità, continuamente alla ricerca di un dialogo tra passato e presente e di una soluzione per il domani.  “Crediamo che il passato di Venezia – la storia, le tradizioni, i monumenti, i tesori d’arte – rappresenti una risorsa notevole, una preziosa roadmap per il futuro della città”, scrivono i curatori della mostra nel saggio introduttivo al catalogo. “La città è riuscita a sopravvivere così a lungo perché è stata in grado di rinascere, di volta in volta, in forme nuove e più adattabili. Guardare al passato per pianificare il futuro è assolutamente possibile a Venezia più che in qualsiasi altra città.” Fondamentale anche in questo senso il ruolo dei Musei Civici, con gli undici straordinari palazzi dove si conservano e valorizzano le testimonianze cittadine: “ad essi, più che ad altri – conclude Gabriella Belli nella postfazione – è affidato il compito di traghettare la storia e l’immenso patrimonio artistico della Serenissima nel futuro. Per essere contemporanei, i musei della città non possono rimanere solo memoria, ma devono “diventare” azione, ovvero produzione culturale”.

Eccone il percorso.  Dopo un’introduzione affidata ad alcune delle più note immagini-simbolo della città, è sul mito di Venezia e sull’iconografia che ha accompagnato e consolidato la sua affermazione come città della Vergine, città di San Marco e città della Giustizia che prende avvio l’esposizione allestita nelle sale dell’Appartamento del Doge, a Palazzo Ducale. Le origini divine della Serenissima, fondate sul valore mistico attribuito al 25 marzo – giorno dell’Annunciazione alla Madonna ma anche della creazione del mondo e di Adamo, nonché dell’Incarnazione di Cristo e della sua crocifissione -, sono rese esplicite con una selezione puntuale di opere: il trittico di Lazzaro Bastiani con l’Annunciazione e la Madonna col Bambino (ca. 1490), il pannello musivo di Giovanni Novello proveniente dalla Scuola Grande di San Rocco, che colloca l’Annunciazione in un paesaggio veneto, e l’importante dipinto di Jacopo Palma il Giovane con la Vergine Assunta che assiste all’Incoronazione di Venezia fatta dal Vescovo San Magno (1627). L’opera era stata appositamente commissionata dal Senato veneziano per la chiesa di San Geremia: qui infatti era sepolto il vescovo di Oderzo che nel VII secolo, visitando la laguna, avrebbe fondato le chiese più antiche di Venezia, ovvero Santi Apostoli, San Pietro di Castello, Santa Maria Formosa, Santa Giustina, San Giovanni in Bragora, San Zaccaria, San Salvador e Angelo Raffaele. Ma la storia e il mito di questa città sono anche intrecciati indissolubilmente all’Evangelista Marco, che la Repubblica elesse come santo patrono fin dal trafugamento delle sue spoglie da Alessandria d’Egitto nell’828 e che legò a sé con la diffusione della leggenda dell’Apparitio: l’apparizione di un angelo che avrebbe annunciato a San Marco, naufrago nelle paludi attorno all’isola di Rivoalto, il ritorno del suo corpo in Laguna: «Pax Tibi Marce, evangelista meus. Hic requiescet corpus tuum». La Mariegola della Scuola Grande di San Marco, con miniature attribuite a Paolo Veneziano, preziosissimi missali del XIV secolo mai esposti in precedenza, e ancora raffinate promissioni e commissioni dogali, superbe legature in lamina d’argento, oro, smalti e pietre preziose del IX e XI secolo dalla Biblioteca Marciana si accompagnano in mostra alla bellissima Pala Barbarigo di Giovanni Bellini, dipinta nel 1488 e oggi conservata nella chiesa muranese di San Pietro Martire. Accanto a questi, da segnalare, anche la tela di Bonifacio Veronese raffigurante San Marco che consegna lo stendardo a Venezia (1532), nonché gli eccezionali oggetti liturgici di manifattura bizantina prestati per l’evento della Procuratoria di San Marco, parte del Tesoro della Basilica: la Grotta della Vergine (dal IV al XII secolo), il famoso Bruciaprofumo a forma di edificio a cupole, il Calice con iscrizione eucaristica dell’XI secolo, insieme alla coppa di Chorasan di manifattura iraniana. Oggetti preziosi che ad un tempo documentano l’importante e lunga relazione di Venezia con Bisanzio, determinante fin dai primi secoli della sua esistenza. Il percorso si concentra dunque sulla ricostruzione (dopo il devastante incendio del 976) della Basilica di San Marco, nonché sull’evoluzione dell’iconografia marciana in chiave politico-religiosa con l’assimilazione del Leone di San Marco – andante, rampante, in moeca – quale emblema stesso della Repubblica. Infine Venezia in forma di Giustizia. A sostegno del suo immaginario e del suo perpetuarsi nella storia, la propaganda della Serenissima porterà infatti ad integrare la figura della Vergine con l’allegoria della Giustizia, virtù di cui Venezia era garante attraverso le sue magistrature e il suo sistema di governo repubblicano, figura onnipresente negli spazi ufficiali, presto identificata con la città stessa.  Ecco dunque i ritratti dei dogi Giovanni Mocenigo (Gentile Bellini) e Francesco Foscari (Lazzaro Bastiani) che maggiormente interpretarono questo ruolo, la statua lignea policroma del XV secolo raffigurante Venezia come Giustizia – probabilmente elemento decorativo del Bucintoro – la tavola intarsiata con lo stesso soggetto su disegno di Jacopo Sansovino e i simboli delle vita politica lagunare: il corno dogale, l’urna per le votazioni, la manina di fine Settecento per lo scrutinio dei voti per l’elezione del doge, in legno intagliato, dipinto e dorato, e – ancora – il mascherone in pietra calcarea per le denunce segrete. Momenti cruciali di caduta e di ripresa sono quelli vissuti nel corso del Cinquecento da Venezia. Grazie alla forza della sua flotta, all’intraprendenza dei suoi grandi viaggiatori e all’apertura alle comunità straniere, la Serenissima era divenuta Regina dei mari e dei commerci e grande crocevia commerciale d’Europa e del Mediterraneo orientale, e tuttavia appariva in piena crisi, a inizio del secolo, a causa dell’isolamento determinato dalla Lega di Cambrai.

Con una sequenza ricchissima di opere e documenti, l’esposizione mette in luce la supremazia di Venezia sui mari: antichi portolani, carte nautiche, atlanti e astrolabi, modellini di galere da guerra, vedute dell’Arsenale, ma anche un olio su tela di quasi cinque metri realizzato da Battista d’Agnolo – San Marco che assiste i Magistrati della Camera all’armamento nell’arruolamento delle milizie marittime -, oltre ai dipinti di battaglie navali cruciali per la vita della Serenissima, come quella di Chioggia contro i Genovesi del 1381 o quella di Lepanto del 1571 celebrata nel grande dipinto di Andrea Vicentino. D’altra parte la forza commerciale della città è rievocata con altrettanti preziosi materiali come le insegne dei diversi mestieri, i richiami documentari alla figura di Marco Polo, una selezione di monete coniate dalla zecca dogale e alcuni eccezionali oggetti di differenti provenienze e manifatture che testimoniano, oltre alla qualità delle lavorazioni del tempo, gli scambi e i commerci tra Venezia e i mercati di Levante e d’Occidente. Si susseguono ricercati vasellami, gioielli, avori, cammei, argenterie, lampassi, velluti, suppellettili in legno intarsiati, straordinarie maioliche e vetri come la famosissima Coppa Barovier in vetro soffiato blu, con smalti e oro, del 1460-70. Nonostante ciò Rialto, sede del mercato e delle banche del tempo – di cui una raffigurata da Vittore Carpaccio nella Vocazione di San Matteo (1502) della Scuola di San Giorgio degli Schiavoni – fu rasa al suolo da una serie di drammatici eventi, quali l’incendio del Fondaco dei Tedeschi (1505), quello del mercato di Rialto (1514) e il crollo del ponte sul Canal Grande (1524), tanto che tutta l’area fu oggetto di significative ricostruzioni e trasformazioni. Promotore di questi interventi fu il doge Leonardo Loredan, di cui sempre Carpaccio nel 1501-02 lascia un bellissimo ritratto esposto in mostra assieme a una medaglia in cui Loredan offre a San Marco il progetto delle fabbriche di Rialto. Il Cinquecento fu per Venezia anche il secolo della Renovatio Urbis, la riprogettazione degli spazi della città in funzione delle istanze politico-identitarie dell’élite veneziana. Provveditore generale durante la Lega di Cambrai, Andrea Gritti fu protagonista della riconquista della città di Padova (1509) e dell’assedio di Brescia (1512). Eletto doge nel 1523, Gritti diede il via a un rinnovamento radicale dell’organizzazione urbanistica di Venezia e della sua immagine, in risposta alla crisi politica di quegli anni. In mostra, per illustrare la figura di Gritti e il riassetto dell’area marciana progettato da Jacopo Sansovino, sono esposti ritratti del doge, vedute pittoriche e a stampa della Piazza e della Piazzetta di San Marco, insieme ad elementi architettonici originali, tra i quali alcuni frammenti della Loggetta di Sansovino scampati al crollo del Campanile di San Marco (1902). Tra gli artisti qui presenti si segnalano Canaletto – La Piazzetta di San Marco con la Loggetta e la Libreria (1730-1740) dalle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma -, Lazzaro Bastiani, Gian Antonio Guardi e anche Tiziano con l’imponente xilografia, di oltre due metri e mezzo, in cui rievoca La sommersione del Faraone nelle acque del Mar Rosso quale immagine di riscatto dei veneziani – il nuovo popolo eletto – dall’oppressione della Lega di Cambrai. La storia di Palazzo Ducale è anche la storia degli incendi e delle riedificazioni che nel corso dei secoli lo hanno reso ancora più monumentale. Era il 20 dicembre 1577 quando un devastante incendio avvampò nell’ala occidentale di Palazzo Ducale, prospiciente la piazzetta e la Libreria Marciana. Il fuoco si fece strada nell’adiacente ala meridionale affacciata sul bacino di San Marco e in breve tempo raggiunse l’estremità orientale dell’edificio, andando a lambire la parete che ospitava il celebre affresco trecentesco di Guariento raffigurante il Paradiso. Ludovico Pozzoserrato, in un dipinto coevo prestato dai Musei Civici di Treviso, ritrae il fabbricato inghiottito dalle fiamme, nonché la folla che assiste inerme a distanza di sicurezza mentre gli arsenalotti prestano i primi soccorsi con l’ausilio di scale. In quell’occasione uno dei più grandi cicli di pittura rinascimentale presente nella Sala del Maggior Consiglio venne completamente distrutto. Domate le fiamme, la Serenissima decise che il Palazzo Ducale – simbolo di stabilità e permanenza dell’ordinamento politico e civile della Repubblica – doveva rapidamente tornare al suo splendore. Palladio avrebbe voluto riedificarlo in stile classico, come mostra il modello esposto in mostra realizzato in anni recenti dall’architetto Antonio Foscari; altri, meno drastici, proposero invece interventi di consolidamento. Si scelse questa via, e la nuova decorazione pittorica del Palazzo – realizzata grazie all’intervento dei migliori artisti del tempo – portò ai risultati che il pubblico può ora ammirare visitando le sue magnifiche sale. Tra le pochissime opere di Tiziano rimaste a Palazzo Ducale dopo il tragico incendio, vi è lo straordinario affresco di San Cristoforo che porta sulle spalle il bambino: sullo sfondo, a sottolineare la protezione del Santo sulla città, si scorge il bacino di San Marco col Campanile e la sagoma di Palazzo Ducale. La peste fu un evento drammatico con cui Venezia si dovette confrontare in più occasioni nel corso dei secoli, in particolare nel 1576 e nel 1630. Ciò non di meno, quelle sciagure stimolarono la capacità di autodifesa e rinascita della città. La figura del medico della peste e le contromisure “scientifiche” messe in campo contro il morbo emergono nei documenti esposti – volumi, stampe, acqueforti – mentre l’edificazione dei templi votivi del Redentore e di Santa Maria della Salute viene ricordata con le tele e le medaglie commemorative, i modelli e i voti fatti dalla città a Cristo e alla Vergine: bellissimi la grande tela di Domenico Tintoretto, dalla chiesa di San Francesco della Vigna, con Venezia supplica la Vergine di intercedere con Cristo per fermare la peste, e l’olio del Padovanino raffigurante Il doge Alvise Mocenigo inginocchiato davanti al modello del Redentore, entrambi datati 1631, e La Processione del Redentore di Joseph Heintz il Giovane del 1648-50. Sempre del Padovanino è la Madonna con Bambino e modello votivo della Salute, conservata nell’omonima chiesa ed eccezionalmente prestata per questo evento, mentre è di Marco Boschini la monumentale acquaforte con raffigurata la processione votiva nella chiesa di Santa Maria della Salute (1717). San Sebastiano e San Rocco, protettori dalle malattie contagiose, sono i santi che la città invoca in questi frangenti: l’uno raffigurato in un dipinto di Pietro Vecchia di collezione privata, l’altro nell’intenso lavoro di Bernardo Strozzi del 1670 prestato dalla Scuola di San Rocco.

Il 1797 è l’anno fatidico del Trattato di Campoformio e della fine della Serenissima. Eppure il secolo era iniziato tra i fasti della nobiltà veneziana, la gloria internazionale della Serenissima regina dei mari – ben rappresentata dal famoso, grande olio di Giambattista Tiepolo Nettuno offre a Venezia i doni del mare (1756-1758) – la magniloquenza delle sue feste e il tripudio delle sue arti. In particolare sono il teatro e la musica ad essere scelti come tema focale dai curatori per riannodare i fili di questo secolo: dal Ritratto di Carlo Goldoni di Alessandro Longhi a quello sofisticato che Rosalba Carriera ci lascia della cantante Faustina Bordoni Hasse – uno dei fenomeni vocali del XVIII secolo – fino alle caricature pungenti di soprani e tenori tracciate a penna e inchiostro da Anton Maria Zanetti, in prestito dalla Fondazione Giorgio Cini; dalla Cantata delle orfanelle per i Duchi del Nord (in realtà lo Zar Pietro il Grande e la moglie in visita a Venezia, in incognito) in un dipinto di Gabriel Bella della Fondazione Querini Stampalia (1782-92), ai concertini in famiglia e scene di socialità di cui sempre il Longhi dà testimonianza. Non mancano poi i giochi di piazza, le preziose vesti di manifattura cinesi, gli abiti sontuosi delle dame del tempo e delle cariche dogali, ormai nell’atto di accomiatarsi, insieme a uno zamberlucco, veste destinata ai fanciulli della nobiltà. All’avanguardia nel mondo dei suoni fin dal Rinascimento, la Regina dell’Adriatico, appena un lustro prima della sua caduta, inaugura quello che negli anni diventerà uno dei simboli delle tante “rinascite” della città lagunare: il Gran Teatro La Fenice, ricordato nel percorso espositivo dal libretto originale dell’opera di esordio, I Giuochi d’Agrigento di Giovanni Paisiello (1792), e in un bel disegno coevo realizzato da Francesco Guardi. In quegli anni di lento crepuscolo, Venezia era riuscita comunque a fronteggiare grandi catastrofi come l’incendio che devastò il quartiere di San Marcuola nel 1789. Lo riportano alla memoria alcuni documenti e soprattutto un piccolo e intenso dipinto di Francesco e Giacomo Guardi delle Gallerie dell’Accademia, Incendio dei depositi degli olii a San Marcuola, esposto insieme a uno dei numerosi schizzi realizzati da Guardi e custodito presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe del Museo Correr. La fine era inevitabile: L’ultimo senato della Repubblica di Venezia, appena restaurata, è l’opera con cui afferma il suo talento allo scadere del XIX secolo il pittore accademico veneziano Vittorio Emanuele Bressanin, formatosi sotto Molteni, di cui restano affreschi anche nelle sale del Conservatorio Benedetto Marcello.

Il compito di rievocare gli avvenimenti di quello storico passaggio di secolo è affidato ai dipinti di Giuseppe Borsato, con la Veduta della Piazza S. Marco il giorno dell’innalzamento dell’albero della libertà datata proprio 1797 e l’Ingresso di Napoleone a Venezia il 29 novembre 1807 prestato dal Museo Mario Praz di Roma. Nel loro algido e immutabile candore, l’architettura neoclassica e la scultura di Canova – in mostra il grande gesso della Venere Italica conservato nelle sale del Museo Correr – sembrano non registrare la serie di traumatici passaggi che la città subisce tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX. Nell’arco di soli sedici anni dalla sua caduta, la città passa di mano ben quattro volte, in un continuo avvicendarsi tra francesi e austriaci. Tuttavia Canova riuscirà, nel suo ruolo diplomatico di difensore della arti, a riportare in patria i cavalli della basilica di San Marco sottratti da Napoleone (giunge da collezione privata l’opera di Vincenzo Chilone che ne dà testimonianza), mentre i cambiamenti urbanistici sanciti dai francesi e dagli austriaci incideranno sul futuro assetto della città, chiamata a diventare una capitale “normalizzata” e al passo con i tempi, accessibile, dotata di nuove infrastrutture e con un destino economico tutto da riscrivere.

L’arrivo della linea ferroviaria – rappresentato dalla interessantissima incisione su rame del 1856 realizzata da Bernardo e Gaetano Combatti che mostra la Pianta di Venezia con il ponte ferroviario (nell’edizione con linea FS) e dal Progetto per il Ponte ad archi di cotto attraverso la veneta laguna formante parte della Strada ferrata da Venezia a Milano, disegnato da Tommaso Meduna nello stesso anno – testimonia con chiarezza questa trasformazione. Tra slanci irredentisti e turbamenti, Venezia vive anche il suo Risorgimento anomalo con la Repubblica di San Marco proclamata dal giovane avvocato Daniele Manin, il ritorno degli austriaci e solo in un secondo momento un avvicinamento alle visioni unitarie. Le opere di Querena, Dalla Libera e Borghesi testimoniano l’Assemblea veneta degli insorti e i bombardamenti austriaci sulla città, mentre le aspettative e gli entusiasmi connessi all’annessione nel 1861 sono palpabili nella monumentale tela di Giacomo Casa raffigurante l’Unione di Venezia all’Italia dalle Gallerie Civiche di Udine – dove il pittore crea una composizione ispirata ai capolavori di Veronese e Tintoretto per Palazzo Ducale – e nella famosa Venezia che spera di Andrea Appiani, prestata per l’occasione dal Museo del Risorgimento di Milano. In questo contesto s’inseriscono il primo grave incendio del Teatro La Fenice la mattina del 13 dicembre del 1836 (il successivo sarà nel 1996), ma soprattutto il ruolo da essa giocato durante i moti risorgimentali, qui rievocati dall’Attila di Giuseppe Verdi, la cui prima si tenne nella città lagunare il 17 marzo 1846 e di cui sono esposte in mostra partiture originali, locandine e libretti d’epoca conservati negli Archivi del Teatro La Fenice, accanto ai disegni delle scenografie ideate da Giuseppe Bertoja. La sezione dedicata all’Ottocento, il secolo lungo, si chiude idealmente con il crollo nel 1902 di uno degli elementi più identitari della città: il Campanile di San Marco. La sua ricostruzione – affrontata alla luce del dibattito sul principio teorico del “dov’era, com’era”, che ispirerà anche la riedificazione de La Fenice negli anni Novanta – è documentata da eccezionali stampe fotografiche d’epoca ma anche dalla cazzuola in argento dorato utilizzata per la posa della prima pietra. Il nuovo Campanile verrà inaugurato nel 1912, come testimonia il monumentale dipinto di Ettore Tito.

Il XX secolo pone Venezia di fronte a nuove sfide, a partire dalla necessità di ricostruire la propria minata reputazione internazionale come passaggio fondamentale per superare le incertezze del secolo precedente: dalla deriva delle dominazioni straniere seguita alla caduta della Serenissima, fino alla depressione economica e al degrado del patrimonio artistico e architettonico in cui versava la città. Il momento fondamentale di riscatto e di risalita si avrà in particolare dopo la cesura e le chiusure imposte dalla Seconda guerra mondiale. La XXIV Biennale che s’inaugura il 6 giugno del 1948, grazie al lavoro straordinario di Rodolfo Pallucchini e di una giuria di grande levatura, segnerà un punto fermo nella storia di Venezia. Da un lato a dominare la mostra è il dibattito molto acceso in Italia tra pittura astratta e figurazione, emerso soprattutto nelle sale in cui espongono gli artisti, molto eterogenei tra loro, del Fronte Nuovo delle Arti; dall’altro vi è l’arrivo in laguna della grande collezionista americana Peggy Guggenheim – in mostra il Plastico dell’allestimento della collezione di Peggy Guggenheim al padiglione greco – con la sua eccezionale raccolta d’arte e il suo intuito e impegno nei confronti dei giovani artisti internazionali: il rivoluzionario Circumcision di Jackson Pollock (1946), qui esposto grazie alla collaborazione della Peggy Guggenheim Collection, fa la sua apparizione proprio quell’anno ai Giardini.Peggy sceglierà di restare a Venezia, facendone un crocevia internazionale di artisti e critici, mentre giovani promesse veneziane emergono dalla fucina del Fronte Nuovo delle Arti, come Giuseppe Santomaso – in mostra Muro e alghe del 1954 – ed Emilio Vedova, di cui viene esposta la tempera e carboncino su tela Immagine del tempo 1958 n.3 V. (Fondazione Vedova). Anche Tancredi Parmeggiani, amico di Vedova e di sicura fede astratta, vive in quegli anni a Venezia dove si confronta con l’universo di segni e materia di Pollock, da cui trarrà una lezione decisiva per approdare poi ad un personalissimo linguaggio. S’intitola proprio Soggiorno a Venezia il suo dipinto del 1955. Il secondo Novecento fa della città lagunare anche un importante teatro e motore del confronto internazionale in campo architettonico, determinando la nascita di un polo formativo tra i più prestigiosi in Europa e dando il via ad interventi di grande rilievo – quelli di Carlo Scarpa in primis – soprattutto nel campo degli allestimenti museali e dell’edilizia residenziale pubblica. Tutto ciò, nonostante il cruciale e mai sopito dibattito che una città monumento impone – tra conservare integralmente o innovare anche in forme coraggiose – abbia di fatto impedito la realizzazione di molti dei lavori ideati per Venezia dai maggiori architetti del tempo: lo ricordano in mostra i modelli dell’Ospedale Civile di Le Corbusier e del Memorial Masieri di Frank Lloyd Wright dell’Università IUAV. Infine, è la fotografia che documenta i momenti di crisi a noi più vicini, simbolicamente riletti anche nell’installazione video-sonora The Rift di Bill Viola (2020). Scrive Gabriella Belli nella postfazione del catalogo della mostra: “Il XXI secolo è iniziato, ma il clamore di eventi drammatici come l’Acqua Granda del 1966, la grave crisi industriale che investe Porto Marghera negli anni Settanta, l’incendio della Fenice del 1996 e, nuovamente, l’alta marea del 2019, non si è ancora sopito. Immagini fotografiche di forte impatto commentano questi fatti con crudezza e senza retorica, mostrando il dolore di una comunità offesa dalla violenza della natura e colpita nei suoi simboli. La Zattera è la trasposizione in chiave allusiva e simbolica di queste minacce e di queste sofferenze”. “È la catarsi di un percorso che nell’empatia con il pubblico mette a fuoco l’intero significato della mostra”.

Carlo Franza

 

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