Jonathan Monk presenta T.H.U.M.B., la seconda parte di F.I.N.G.E.R.S. (visitabile fino al 23 ottobre 2021), seguito della sua precedente esposizione a LOOM gallery, inaugurata esattamente un anno fa. Come nella precedente mostra, T.H.U.M.B. parte dalla scultura L.O.V.E. di Maurizio Cattelan, offrendo una diversa interpretazione e creando una nuova opera nello stesso marmo bianco di Carrara. La scultura L.O.V.E. di Cattelan non ha infatti tre dita e il pollice, lasciando supporre siano stati rimossi. Cattelan ha posizionato la sua scultura in Piazza Affari come una critica alla crisi economica del 2008 e alla perdita di risparmi di migliaia di persone. Il lavoro ha subito generato un’ambiguità di interpretazioni: in che direzione dovrebbe essere rivolta la scultura? Si rivolge alla Borsa maledicendo un sistema economico malato che si è rivelato una grande bolla? Oppure è la Borsa stessa che si fa beffa dei risparmiatori, dopo aver disperso i loro soldi? Se Cattelan poi avesse continuato la realizzazione di tutte le dita, la sua mano sarebbe risultata un saluto fascista posizionato davanti a un edificio di architettura fascista. C’è forse un parallelismo tra la dittatura di Mussolini e quella attuale del liberalismo sfrenato e del profitto ad ogni costo? Monk è partito da queste domande per dare la propria interpretazione. Le tre dita allestite nello spazio della LOOM Gallery lo scorso anno erano possibili resti di L.O.V.E. e avevano a che fare con l’archeologia: erano rovine contemporanee. Il loro autore immaginava che se in un lontano futuro qualcuno le avesse trovate, le avrebbe credute appartenenti alla scultura di Cattelan e forse, comicamente, avrebbe anche provato a riattaccarle.

Del resto nella nostra era digitale tutto è archiviato in file e hard disk, ma non si conosce la durata nel tempo di tali supporti. Il Medioevo digitale potrebbe essere dietro l’angolo e nessuno sa se i nostri media saranno ancora in grado di conservare le memorie costantemente registrate. In questo 2021, a un anno di distanza, dopo la scoperta del vaccino contro il Covid 19, Loom Gallery espone questo grande “T.H.U.M.B.” e lo espone su un fianco.

Né su né giù, le cose potrebbero andare in entrambi i modi. Parallelamente all’esposizione del nuovo lavoro in galleria, è possibile vedere attorno alla scultura di Cattelan in Piazza degli Affari l’intero gruppo delle quattro dita prodotte da Jonathan Monk. Per la sola giornata del 22 settembre, in occasione dell’inaugurazione della mostra, sono esposti i modelli in gesso delle F.I.N.G.E.R.S. in dimensione 1:1. Si suggerisce così l’idea di come tali paradossali “relitti archeologici” potrebbero dialogare con la scultura di Cattelan e con lo spazio per il quale è stata pensata. Attraverso l’installazione labile e impermanente delle F.I.N.G.E.R.S., che dura il tempo di una giornata, si è voluto inoltre riportare l’attenzione su L.O.V.E., uno dei capolavori del patrimonio pubblico della Città, donato a Milano da Cattelan nel 2010. Si libera così dal parcheggio delle automobili, anche se per poco, questa piazza, insieme eccezionale di architetture del Ventesimo secolo, dalle atmosfere quasi dechirichiane, retaggio di architetti come Paolo Mezzanotte ed Emilio Lancia, con le quali l’opera di Cattelan (e oggi di Jonathan Monk) dialoga perfettamente. L’installazione è stata resa possibile grazie al supporto dell’Ufficio Arte negli Spazi pubblici del Comune di Milano.

Jonathan Monk (Leicester 1969) vive e lavora a Berlino. Negli ultimi anni ha tenuto mostre personali al Centre for Contemporary Art, Berlino, Germania (2018) Vox, Montreal, Canada (2017); alla Galleria dell’Università De Montfort, Leicester, Regno Unito (2017); al Kun- sthaus Baselland, Muttenz, Svizzera (2016); al MACRO Museo d’Arte Contemporanea di Roma, Roma, Italia (2015). Il suo lavoro è stato incluso in molte mostre collettive presso il Centre Pompidou, Parigi, Francia (2019), la Staatliche Kunsthalle Baden-Baden, Baden- Baden, Germania (2018), l’American Academy in Rome, Italia (2017), il Museo of Contem- porary Art, Cleveland, USA, la Whitney Biennial (2006), la 50esima 53esima Biennale di Venezia (2003, 2009), la Biennale di Berlino (2001), la Biennale di Taipei (2000) e altre.

Carlo Franza

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