Sensazionale. Siamo nel mese di novembre, in cui c’è la ricorrenza dei defunti, e siamo anche in un momento in cui la pandemia da Covid -siamo alla quarta ondata- riprende a salire.  Ebbene, ecco un centinaio di scheletri in marcia nella notte, nel centro di Milano. E’ la performance a sorpresa ideata dal regista di culto Romeo Castellucci, Grand Invité 2021-2024 di Triennale Milano, dove nei giorni scorsi ha presentato il suo ultimo spettacolo ‘Bros’. La sfilata in notturna, non annunciata, fa parte di un nuovo progetto video del regista, e ha visto un centinaio di attori vestiti di nero trasportare scheletri dalla Triennale al Duomo, con passaggio per il Castello Sforzesco, e ritorno, nella notte tra sabato 20 e domenica 21 novembre 2021. Per capire il senso della performance, prodotta da Triennale e Societas, postata sui social dall’archistar Stefano Boeri architetto e presidente della fondazione Triennale,  si legge che questi manifestanti silenziosi “sono l’umanità del Passato. Testimoni del Passato, hanno deciso di far sentire il loro peso. Questi scheletri non vogliono spaventare o incutere timore né, d’altra parte, divertire. Non vogliono nulla, in effetti”. Sfilata di cento scheletri con grandi bandiere nere e le ossa bianche nella famosa notte.  Non volevano né spaventare né divertire? E allora cosa volevano dimostrare e significare? Sono passati, in un happening, per il centro di Milano. Si sono mossi nella notte partendo dalla fossa del Castello, sono passati in piazza dei Mercanti inginocchiandosi davanti alla Loggia e per piazza Duomo, dove si sono stesi sul sagrato davanti alla Cattedrale. Quindi, in una sorta di marcia funebre, sono ripartiti verso la Triennale. Scene misteriose, sinistre, discutibile, molto, il significato della performance di 100 figuranti inguainati di nero -un burka- che dovevano far sembrare vivi 100 scheletri in pvc. Impressiona e non poco che la Triennale Milano abbia regalato alla città, appena tre settimane dopo Halloween, una marcia notturna di scheletri e bandiere nere. Si può chiamare teatro d’avanguardia tutto ciò? Ne dubito. Perchè qui nella performance milanese l’umanità del passato è un’accolita di scheletri tutti uguali e tutti ovviamente privi di volto per Castellucci e per i suoi mentori; sappiamo invece con certezza che l’umanità del passato vive nelle nostre anime attraverso le sue opere ( poesia, letteratura, arte, architettura, ecc.), attraverso ogni realizzazione materiale e spirituale che ha reso abitabile la terra e l’ha trasmessa nei secoli a noi eredi; e vive nei nostri corpi perché le nostre cellule sono figlie delle loro, il nostro sistema immunitario è figlio di tutte le prove che hanno forgiato il sistema immunitario dei nostri antenati. Esiste un corpo e un’anima, per noi tutti, l’umanità non è né solo uno scheletro nè il nulla. E’ ormai lontano l’esistenzialismo di Jean Paul Sartre.

In un’intervista a “doppiozero.com” dell’anno scorso Castellucci dichiarava: “Il teatro non scomparirà mai, è invincibile, gravido di futuro, non ha nulla a che fare con il passato. Questo è il momento di sospensione in cui si tende l’arco. Presto arriverà una nuova dimensione in cui l’urgenza degli artisti si manifesterà con forza e nitore”. E per poter meglio capire la filosofia della performance di Castellucci, il suo nichilismo, la sua lontananza dalla religiosità e il suo vivere appieno il materialismo ateo, ecco come la rivista australiana Real Time Arts recensiva a cavallo fra il 2001 e il 2002 la Genesi di Castellucci, prodotta nel 1999: “La storia di Dio che crea amorevolmente l’universo, dopodiché l’uomo commette il peccato originale e viene perciò espulso dal Giardino dell’Eden, è ben nota. Meno nota, invece, è la versione mistica giudaico-cristiana che troviamo nello Gnosticismo, nella Cabala e nella filosofia Rosacroce. È questa la versione che Castellucci ci presenta, per mezzo di suoni, di performance fisiche e di spettacolari effetti visivi. Castellucci attinge alle stesse tradizioni [gnostiche] che hanno ispirato artisti come Baudelaire, Antonin Artaud, Peter Brook. (…) In questa versione più tenebrosa della Genesi, l’atto creativo non è frutto dell’amore, ma di un terribile errore. (…) L’atto della creazione è stato dunque una trasgressione violenta contro le leggi dell’universo. In questa ottica, tutta la Creazione contiene in sé il caos agitato di un proto-universo precedente all’atto creativo. Non è l’Amore che regna nell’universo, ma la Crudeltà. Non è l’uomo ad aver peccato, ma Dio. Tutta l’arte e il teatro di Castellucci costituiscono una storia che racconta questo atto iniziale di violenza primordiale”.

Carlo Franza

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