Il Mart di Rovereto ha inaugurato le celebrazioni nazionali per il bicentenario della morte di Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822). Con la sua opera Canova ha incarnato l’ideale di una bellezza eterna, fondata su principi di armonia, misura, equilibrio, affermandosi come massimo esponente del Neoclassicismo italiano. Erede della perfezione della scultura greca, ha saputo interpretare le istanze di un’epoca inquieta, a cavallo tra due secoli, dominata dall’Impero napoleonico.  La sua ricerca, ricca di rimandi al passato, si apre così al futuro, lasciando in eredità un ideale estetico che continua a vivere fino a oggi.

Con oltre 200 opere la mostra Canova tra innocenza e peccato, aperta fino al 18 aprile 2022, indaga come questa eredità abbia influenzato i linguaggi contemporanei.
Ideata da Vittorio Sgarbi e curata da Beatrice Avanzi e Denis Isaia, presenta alcune tra le più significative esperienze artistiche nel campo della fotografia e della scultura.  Come già nelle esposizioni dedicate a Botticelli e Caravaggio o – andando indietro nel tempo nella Magnifica ossessione o nei confronti intorno ad Antonello da Messina–al Mart le mostre creano cortocircuiti e aprono nuovi percorsi interpretativi.  Alla ricerca di un ideale di bellezza che lungo il percorso espositivo trova declinazioni diverse: dall’imitazione alla celebrazione, fino alla messa in discussione e alla negazione. Canova tra innocenza e peccato muove da 14 capolavori provenienti dal Museo Gypsotheca Antonio Canova di Possagno. In particolare, trovano collocazione al Mart tre marmi, tre tempere e otto tra le più famose sculture al mondo in gessoAmore e PsicheNinfa dormienteEndimione dormienteLe GrazieVenere italicaMaddalena penitente, Creugante e il Ritratto di Francesco I d’Austria. Intorno a queste figure si sviluppano le intenzioni dei curatori: rivelare il canone canoviano nell’opera di scultori e fotografi contemporanei. Celebrazione versus negazione, tra innocenza e peccato; da un lato il permanere della tradizione, dall’altro il suo tradimento. A sottolineare l’esistenza fondante di questa ambivalenza è Amore e psiche che al Mart dà il benvenuto ai visitatori in due versioni, una classica, una contemporanea.  Nella piazza del museo al centro della fontana il pubblico incontra l’opera dello scultore Fabio Viale che da alcuni anni sovverte, tatuandoli, i capolavori dei maestri classici.  La seconda è Amore e Psiche stanti, il gesso che Canova realizzò nel 1800 e che, da solo, appare al visitatore dietro lo scenografico portale d’accesso alla mostra.   In un allestimento nel quale predominano il bianco e il nero, il vero protagonista è il corpo. Se alcuni degli artisti in mostra scelgono di idealizzarlo o estetizzarlo, altri descrivono una bellezza anti-canonica e “anti-canoviana” che contempla e contiene il suo contrario. In entrambi i casi, il corpo è icona. Attraverso un andamento sinoidale la mostra si snoda in cinque sezioni nelle quali convivono opere di Canova e di artisti contemporanei. Nei lavori di alcuni degli scultori attivi nell’ultimo secolo, come Leone e Marcello TommasiGiuseppe BergomiIgor Mitoraj fino ai giovani Elena Mutinelli, Livio Scarpella, Fabio Viale la pratica della scultura diviene esercizio di maestria, virtuosismo tecnico ed espressione di una ricerca che costantemente rinnova, rendendolo attuale, il canone canoviano.

Il grande ambiente centrale della mostra presenta suggestivi dialoghi tra Canova e i più grandi fotografi di nudo del Novecento. In epoche e con mezzi diversi, una vera e propria indagine sulla perfezione della tecnica e della forma, colta e sublimata attraverso il corpo umano.
Sono presenti, per esempio, cinque dei celebri Big Nude di Helmut Newton; gli iconici scatti che Jean-Paul Goude fece a Grace Jones; otto capolavori di Robert Mapplethorpe. E ancora, fotografie di Edward Weston, Irving PennHorst P. Horst. A questi fanno da controcanto nelle sale successive i fotografi che hanno perseguito ricerche di segno opposto, come Miroslav Tichý, che nella Repubblica Ceca degli anni Sessanta ha colto, spesso di nascosto, la verità di corpi femminili imperfetti; Jan Saudek e Joel-Peter Witkin che hanno messo in scena il corpo nei suoi aspetti più decadenti e grotteschi. Una sezione della mostra, infine, è dedicata ai fotografi che hanno prestato il loro obiettivo alla documentazione e all’interpretazione dell’arte di Canova, perpetuandone la visione ideale: i fratelli Alinari, Aurelio Amendola, Paolo Marton, Massimo Listri, Luigi Spina. Trovano inoltre collocazione un nucleo di fotografie del recentemente scomparso Dino Pedriali; due celebri sculture appartenenti alle collezioni del Mart: una testa di Adolfo Wildt del 1925 e l’Intervallo di Giulio Paolini del 1985; cinque scatti della serie Ferite di Mustafa Sabbagh che ritraggono i modelli originali delle sculture di Canova a Possagno danneggiati durante i bombardamenti del 1917 (ciclo fotografico selezionato dal Mart nell’ambito del Premio Level 0 nell’ultima edizione di Art Verona). Le cinque sezioni in cui il percorso è suddiviso corrispondono alle parti del ricco catalogo. Edito da Sagep contiene, oltre al testo del Presidente e ai saggi dei curatori, contributi di storici dell’arte e della fotografia come Cristina Casero, Camillo Langone, Diego Mormorio, Giuseppe Sava e di Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation di Berlino. L’esposizione Canova tra innocenza e peccato prosegue l’indagine su un’arte senza tempo che valica i limiti cronologici e supera le definizioni accademiche. Il vasto influsso esercitato da Antonio Canova, massimo interprete del Neoclassicismo, può essere riassunto nei due termini antitetici scelti per il titolo. Innocenza e peccato sono due caratteri che attraversano sia l’opera di Canova, sia la selezione di opere moderne e contemporanee poste in dialogo con le sculture provenienti dalla Gypsotheca di Possagno. Da tale confronto scaturiscono affinità e contrasti, facendo emergere diverse declinazioni del concetto di bellezza, in sintonia con i principi di armonia, equilibrio e grazia che contraddistinguono la scultura neoclassica o, all’opposto, apertamente in conflitto con essi. Protagonista della mostra è il corpo umano, raffigurato plasticamente nella scultura o attraverso l’uso sapiente della luce nelle immagini di alcuni dei maestri della fotografia del XX secolo. Da una parte il corpo perfetto e divino delle opere di Canova, a cui sembrano guardare alcuni scultori del nostro tempo e i fotografi che hanno saputo esaltare le linee e le forme statuarie del corpo nudo. Dall’altra gli artisti che hanno “tradito” Canova preferendo indagare l’espressività di corpi imperfetti, ma non per questo privi di fascino.

Antonio Canova (Possagno 1757-Venezia, 1822). Dopo aver concluso il suo apprendistato nella bottega dello scultore Giuseppe Bernardi, detto Torretti, Canova muove i suoi primi passi nell’ambiente artistico veneziano prima di trasferirsi definitivamente a Roma, nel 1781. Qui ha modo di approfondire la sua conoscenza dell’arte classica e di affermarsi precocemente come il più acclamato interprete degli ideali neoclassici teorizzati da Winckelmann e Mengs. Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, Canova riceve importanti commissioni dalle principali corti europee, nonché nomine prestigiose come l’incarico del Papa a negoziare il rientro in Italia dei capolavori antichi trafugati dalle truppe napoleoniche. Un’efficiente organizzazione del lavoro nel suo studio romano gli permette di far fronte ai numerosi impegni. Canova elabora l’ideazione della scultura attraverso disegni e bozzetti in argilla, quindi realizza in dimensioni reali il modello in creta, dal quale i suoi assistenti ricavano il calco e il modello in gesso. Come si può vedere in Amore e psiche stanti, sul modello in gesso vengono applicati i chiodini di bronzo che servono a trasferire, con un pantografo, le misure e le proporzioni della figura dal gesso al marmo. Il blocco di pietra viene sbozzato e lavorato in fasi successive da artigiani sempre più esperti, fino alla rifinitura a opera dell’artista. Dopo la morte di Antonio Canova, le opere che si trovavano nel suo studio romano vengono trasferite a Possagno, nella casa natale dell’artista e in un nuovo edificio fatto costruire dal fratellastro, il vescovo Giuseppe Sartori. Nella galleria progettata dall’architetto veneziano Francesco Lazzari trovano posto soprattutto i modelli in gesso e i calchi delle opere spedite ai committenti: una collezione che testimonia, così, gran parte della produzione canoviana. Le sculture conservate a Possagno sono protagoniste delle fotografie scattate da Paolo Marton negli anni Ottanta e da Luigi Spina dal 2019. Se Marton ravviva l’opacità dei gessi con particolari effetti di luce, immergendo le sculture in atmosfere colorate, Spina si concentra, invece, sulla fragilità e porosità di quel materiale, così diverso dalla nitidezza marmorea, evidenziandone le imperfezioni e scegliendo inquadrature inconsuete che esprimono la vita e l’instabilità delle forme. Il confronto tra le fotografie dei fratelli Alinari, di carattere puramente documentario e illustrativo, e gli altri scatti esposti in questa sezione evidenzia come la fotografia sappia ormai offrire inedite visioni della scultura di Canova. Nei lavori di Aurelio Amendola, ad esempio, i marmi della Ninfa dormiente o della Venere italica appaiono sensuali e palpitanti di vita, ricordandoci quanto le sculture del maestro del Neoclassicismo non siano solo un esempio di algida perfezione bensì espressione di sentimenti ed emozioni.

Il cuore della mostra è dedicato alla rappresentazione scultorea del corpo umano, in un confronto serrato tra le sculture di Antonio Canova, le immagini di alcuni dei più grandi fotografi del XX secolo e una selezione di sculture moderne e contemporanee.  Gli scatti di Irving Penn, Horst P. Horst, Carla Cerati ed Eikoh Hosoe inseguono l’eredità canoviana condividendone il desiderio di grazia e armonia, mentre i grandi nudi di Helmut Newton o il perfetto controllo del bianco e nero nei ritratti di Robert Mapplethorpe riabilitano in chiave statuaria la forza espressiva del corpo. Nell’ampio spazio centrale il dialogo tra l’artista neoclassico e la scultura figurativa più recente è introdotto dalle opere di Adolfo Wildt, Leone Tommasi, Francesco Messina e, a ritroso, dai bozzetti ritrovati di Giuseppe Torretti, primo maestro di Canova.  Tra le opere degli artisti contemporanei spiccano le opere di Livio Scarpella, Massimiliano Pelletti e Giuseppe Bergomi: vere e proprie variazioni canoviane. Quelle di Giuseppe Ducrot, Filippo Dobrilla, Elena Mutinelli, Ettore Greco e Igor Mitoraj sono, invece, contraddistinte da una tensione più genericamente classicista. Infine, l’accostamento delle fotografie di Alain Fleischer e della scultura di Attilio Pierelli è volto a esaltare l’eredità di Canova in quel ripensamento delle forme che nel Novecento accomuna l’arte e il design, trasfigurando e attualizzando la perfezione della sua arte plastica.

Il magistrale classicismo dell’opera di Antonio Canova ha definito un canone artistico che nel corso dei decenni è stato oggetto di appassionata ammirazione ma anche di convinti tradimenti. Questa sezione è dedicata a un nucleo di opere in cui l’eredità canoviana emerge, paradossalmente, nella trasgressione formale e visiva dei suoi canoni estetici. A partire dagli anni Sessanta, Miroslav Tichý ruba immagini di corpi femminili usando di nascosto una rudimentale macchina fotografica fatta di cartone, cemento e tappi di bottiglia. Questo strumento artigianale e impreciso conferisce alle sue opere un’imperfezione che sottolinea il carattere spontaneo, formalmente scomposto e perciò decisamente anti-canoviano dell’opera di Tichý. L’eccesso o la storpiatura fisica sono al centro dell’opera di Jan Saudek e di Joel-Peter Witkin, due artisti che si rifanno a modelli classici rivisitandoli, però, secondo una logica che esalta le difformità del corpo e dello spirito. Anche nei corpi fotografati da Sally Mann, Mustafa Sabbagh e Nadav Kander, o in quelli scolpiti da Aron Demetz e Fabio Viale – dove la levigata superficie del corpo classico viene intaccata dalla bruciatura o dal tatuaggio – si può riconoscere l’oscillazione tra opposte polarità, in un dialogo continuamente rinnovato tra ordine e disordine, integrità e disfacimento, classicismo e contemporaneità.

Carlo Franza

 

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