Aldo Mondino. Dall’arte Povera all’arte ironica e trasgressiva. La mostra alla Building di Milano.
BUILDING presenta fino al 17 giugno 2023 la mostra Aldo Mondino. Regole per l’inganno, a cura di Alberto Fiz e con la collaborazione dell’Archivio Aldo Mondino, dedicata a uno dei più significativi protagonisti della scena artistica internazionale del dopoguerra. Attraverso una selezione di circa quaranta opere fra dipinti, disegni, sculture e installazioni realizzate tra il 1963 e il 2003, la retrospettiva ripercorre le tappe fondamentali dell’indagine di Aldo Mondino (Torino, 1938 – 2005) evidenziando l’originalità di una ricerca ironica e trasgressiva che ha messo costantemente in discussione i dogmi estetici che si sono succeduti sin dagli anni Sessanta. Pur partecipando in maniera attiva al clima dell’Arte Povera, Mondino preannuncia, con largo anticipo, la crisi delle ideologie. “La sua passione per l’arte nelle sue infinite declinazioni lo ha condotto a un’indagine di cosciente opposizione verso un sistema omologato, innescando un processo di appropriazione indebita che gli ha consentito di sviluppare un dialogo controverso e attualissimo con la contemporaneità”, afferma Alberto Fiz. Una ricerca, quella di Mondino, che ha saputo incidere sul linguaggio dell’arte diventando un punto di riferimento per la nuova generazione di artisti, come dimostra ad esempio il lavoro di Maurizio Cattelan che in un’intervista immaginaria (ma non troppo) con Mondino gli fa dire: “Un tempo ero convinto che la società di oggi fosse sull’orlo del baratro e che io dovessi essere l’ultimo dei suoi testimoni”.
Il percorso espositivo. Aldo Mondino. Regole per l’inganno si snoda lungo tre dei piani espositivi di BUILDING. La mostra prende avvio al piano terra dove appare evidente il dialogo a distanza con l’Arte a partire dall’opera emblematica Torre di torrone (1968), nella quale l’artificio architettonico dà vita a una costruzione di scatole di torrone. L’esperienza degli anni Sessanta viene ripercorsa grazie ad alcuni lavori concettuali come ad esempio la serie dei Palloncini (1965-1972) – nella quale si va incontro alla sospensione della pittura che sale verso l’alto, creando un’illusione ottica motivata dal movimento del palloncino che trasporta con sé il dipinto (tra i Palloncini non manca nemmeno quello intitolato Analogia con Paolini del 1967) – e la serie dei Quadri a quadretti (1963-1964) – in cui ogni forma di regola viene ribaltata utilizzando l’immagine come strumento di provocazione dove la perdita dell’aura e la regressione segnica consente all’opera di recuperare una nuova centralità. Non mancano poi le Cadute e le Bilance dove Mondino trasforma la pittura in un’esperienza fisica utilizzando il pigmento come fosse un materiale primario, sviluppando un percorso parallelo a quello dell’Arte Povera che negli stessi anni s’interrogava su concetti quali peso, tensione ed equilibrio. Insieme a Mon Dine, un grande ritratto dove incrocia la propria immagine con quella dell’artista americano Jim Dine, e a una rara serie di disegni, il piano terra si completa con la sorprendente piscina di marshmallow, un mosaico aromatizzato composto da soffici cilindretti di zucchero che invita a immergersi nelle irraggiungibili “acque” mondiniane dal momento che il luogo del benessere non solo è effimero, persino un po’ nauseante, ma è anche privo di una via d’accesso poiché la scaletta della piscina è posizionata troppo in alto.
Al primo piano la rassegna si concentra sugli aspetti forse più popolari dell’arte di Mondino, ovvero quelli relativi all’Oriente, frutto di un’ampia ricerca iniziata nei primi anni Ottanta. Sono presentate, fra le altre, l’opera The Byzantine World (1999), realizzata con 12 mila cioccolatini, e alcuni significativi lavori della serie Tappeti stesi (1990-1992) in eraclite, un materiale industriale utilizzato nell’edilizia, dove gli antichi tappeti sovrapposti diventano l’occasione per una rinnovata sperimentazione. Infine, alzando gli occhi verso l’alto si scorge Jugen stilo (1993), il celebre lampadario realizzato con penne bic che strizza l’occhio alla decorazione Jugendstil così come agli esemplari presenti nelle moschee, mentre a terra è disposto Raccolto in preghiera (1986), un tappeto effimero di granaglie con un titolo ambiguo che con il termine “raccolto” identifica il raccoglimento spirituale del fedele ma anche i benefici del contadino.
La mostra propone inoltre una selezione di opere di argomento ebraico, nelle quali la religione è affrontata con la consueta ironia filtrata da un’attenzione specifica nei confronti delle tradizioni e delle ritualità. In questo ambito, viene presentata la scultura in bronzo Gerusalemme (1988) con i cappelli degli ortodossi appoggiati su una palma che diventa attaccapanni, oltre a due dipinti emblematici 18 KISLEV 5751 (1990) e Metterci una pietra sopra (1999). Viene poi ricostruito Muro del Pianto, un’imponente installazione di zucchero bianco e zucchero di canna con l’inserimento di cespugli veri, che si estende per sei metri evocando il luogo ebraico più sacro.
L’indagine sui materiali, alla base degli inganni visivi che hanno caratterizzato la produzione di Mondino, accompagna la ricerca plastica, talvolta trascurata. Ne è un esempio, con un tocco esotico, l’opera Scultura un corno caratterizzata da una serie di elefanti sovrapposti e ricoperta di cioccolato, tra i materiali più apprezzati da Mondino, che con questo processo modifica lo status delle sue opere che da monumentali diventano simbolicamente commestibili. Soffermandosi sull’attenzione che l’artista riservava al continuo dialogo con la storia dell’arte, il secondo piano della rassegna è interamente dedicato agli omaggi, dove si sviluppa un percorso trasversale tra generi, stili e miti. È un’operazione meta artistica quella che compie Mondino con un mosaico del 2003 intitolato emblematicamente Calpestar le uova che cita ironicamente Maternità con le uova, uno dei soggetti più caratteristici della pittura di Felice Casorati che si ritrova anche in una storica composizione del 1964 intitolata Pittura coprente. La serie degli omaggi passa attraverso le avanguardie storiche con La mamma di Boccioni, un’opera in bronzo nata da una versione in caramelle alla menta a cui l’artista ha aggiunto due palle da bowling in sostituzione dei seni. Di Marcel Duchamp poi compare Ortisei che cita esplicitamente Tonsura, il ritratto che gli fece nel 1919 Man Ray con la stella a cinque punte tra i capelli. Non poteva mancare Ruota di bicicletta trasformata nel 1980 da Mondino in Ciclo e riciclo con una ruota di bicicletta a cui sono applicate scarpe veneziane. All’amico fraterno Alighiero Boetti, con il quale ha condiviso molte passioni, e in particolare i viaggi in Oriente, Mondino dedica un ciclo di dipinti Ali-Ali-Alighiero, Essaouira: il trittico, di quasi tre metri, esposto in mostra è tra i più importanti della serie: il cielo della città marocchina molto amata dai due artisti, e il volo dei gabbiani ricordano, oltre ai cieli, i famosi areoplanini di Boetti. La mostra si completa con la quadreria di Mondino e l’esposizione di rari ritratti dello stesso formato che hanno come riferimento l’arte, la musica e la letteratura in una carrellata che comprende alcuni famosi protagonisti dell’arte e della cultura, da André Masson a Gertrude Stein, da Otto Dix ad Arnold Schönberg. Sono magie pittoriche straordinarie rispetto a un artista che ha saputo reinterpretare un genere che appariva desueto come quello della ritrattistica.
Aldo Mondino è nato a Torino nel 1938, dove è morto nel 2005. Nel 1959 si trasferisce a Parigi, dove frequenta l’atelier di William Hayter, l’École du Louvre e frequenta il corso di mosaico dell’Accademia di Belle Arti con Severini e Licata. Nel 1960, rientrato in Italia, inizia la sua attività espositiva alla Galleria L’Immagine di Torino (1961) e alla Galleria Alfa di Venezia (1962). Segue l’incontro, fondamentale, con Gian Enzo Sperone, direttore della Galleria Il Punto. Importanti personali vengono presentate anche presso la Galleria Stein di Torino, lo Studio Marconi di Milano, la Galleria La Salita di Roma, la Galleria Paludetto di Torino. Tra le principali mostre si ricordano le due partecipazioni alle Biennali di Venezia del 1976 e del 1993, le personali al Museum für Moderne Kunst – Palais Lichtenstein di Vienna (1991), al Sultanamet Museo Topkapi di Istanbul (1992, 1996), al Museo Ebraico di Bologna (1995), alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Trento (2000). Le sue opere appartengono alle collezioni permanenti dei più importanti musei nazionali ed internazionali e a numerose collezioni private.
Carlo Franza