Nella sede di Cortina d’Ampezzo, fino al  al 10 settembre 2023Farsettiarte presenta Lessico Americano, un progetto speciale di Flavio Favelli (Firenze, 1967) realizzato in collaborazione con Studio SALES di Norberto Ruggeri e introdotto da un testo critico di Francesco Guzzetti.

Lessico Americano presenta una selezione di opere, tra collage e assemblaggi – realizzati con francobolli d’epoca, carte di cioccolatini, involucri vintage di chewing-gum e scatole di latta –, compressioni di oggetti silver plated e lattine adombrate da sfumature di colori spray, che delineano un suggestivo percorso nell’immaginario della realtà del consumo. Le opere sono accumunate dall’impiego di segni, immagini, prodotti e oggetti di uso passato, riconducibili, come suggerisce il titolo della mostra, ad un possibile “lessico americano”, inteso come linguaggio e immaginario della seduzione.

La storia che le superfici degli oggetti e gli ideogrammi delle marche presenti nelle opere dell’artista raccontano – scrive Guzzetti nel testo in catalogo – è inevitabilmente segnata dall’impatto del mondo americano sull’Italia. La trama della storia personale di Favelli si intreccia con l’ordito della vicenda generazionale e collettiva di chi è cresciuto nell’Italia del passaggio dagli anni Settanta agli Ottanta e ha memoria della storia culturale, sociale ed economica del Paese da quel momento in poi.
 
Le opere di Favelli contengono non solo una traccia della storia del nostro paese, ma sono anche espressione della storia personale dell’artista, in un rimando continuo di aneddoti, ricordi, fascinazioni e ossessioni. Quello della dualità è un aspetto che caratterizza il lavoro dell’artista a vari livelli, ad esempio nell’apparenza che molte di queste opere evocano: ad un primo sguardo comunicano un senso di preziosità, ma ad un esame più attento si rivelano caratterizzate dall’impiego di materiali volutamente dozzinali, derivanti dal mondo dell’industria, dei raccoglitori di curiosità, dei mercatini delle cose vecchie, anche se ammantati di pellicole patinate, dorature o stagnole luccicanti oro e argento che le fanno sembrare altro. Quella che l’artista muove non è una critica alla società dei consumi. In questi oggetti coglie appunto la tensione verso l’“Eldorado”, che si palesa proprio mediante l’imitazione del materiale più nobile, che tradisce i veri desideri della provincia. C’è infine la storia dell’arte, attraverso una personale rilettura dei suoi codici: la serialità, la ripetizione, la reiterazione – Favelli non ha niente a che spartire con le motivazioni della Pop Art ma di quei gesti meccanici recupera il gioco, la calma piatta delle immagini totalmente sdoganate dal loro senso – l’uso del monocromo, il “divertissement” della sfumatura di colore.

Flavio Favelli è nato a Firenze nel 1967, vive e lavora a Savigno (Bologna). Dopo la Laurea in Storia Orientale all’Università di Bologna prende parte alla stagione più innovativa del Link Project. Si avvicina all’arte contemporanea partecipando nel 1995 alla residenza TAM diretta da Arnaldo Pomodoro a Pietrarubbia e al Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Antonio Ratti di Como con Allan Kaprow nel 1997. Ha realizzato numerose mostre personali, tra cui Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato (2005); Projectspace 176, Londra (2006); Fondation Antoine de Galbert, Parigi (2007); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (2008); Museo Marino Marini, Firenze (2009); Museo Riso, Palermo (2010); MACRO – Museo d’Arte Contemporanea, Roma (2011); MAMbo – Museo d’Arte Moderna; Bologna (2011); Museo del Novecento, Milano (2012); Maison Particulière, Bruxelles (2014); MAXXI – Museo delle Arti del XX Secolo, Roma (2015); Albergo Diurno Venezia, Milano (2017); Cà Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano, Venezia (2019); GAM – Galleria d’Arte Moderna, Torino (2022); Palazzo Collicola, Spoleto (2023). Ha progettato e realizzato l’installazione-ambiente per le celebrazioni dei funerali laici Sala d’Attesa nel Pantheon di Bologna al Cimitero Monumentale della Certosa nel 2008. Ha partecipato a due Biennali Internazionali d’Arte di Venezia: “Clandestini”, a cura di Francesco Bonami (2003) e “Vice versa”, Padiglione Italia, a cura di Bartolomeo Pietromarchi (2013) e alla 11ma Biennale dell’Avana (2012).

Carlo Franza

 

 

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