Antonella Sabatini e il lavatoio delle preghiere allo Spazio Bianco della Fondazione Pescheria Centro Arti Visive di Pesaro
Il Comune di Pesaro riapre lo Spazio Bianco, lo spin-off della “Fondazione Pescheria Centro Arti Visive” dedicato all’immagine contemporanea, con la mostra “Lavatoio delle preghiere / fotoscultura e discioglimento” di Antonella Sabatini, a cura di Marcello Sparaventi, con il coordinamento mostra e ufficio stampa di Roberta Ridolfi, grafica di Elisabetta Duchi.
Un’esposizione sorprendente che divide in due vasti universi, il lavoro ventennale di Antonella Sabatini, cioè quello concreto dei materiali lavorati a mano, alcuni cotti in forno ad alte temperature, che si trasfigura, in quello iconico e disciolto del video “morfologico e lento” e dell’immagine informale che ambisce ad essere tridimensionale come una fotoscultura. Il pensiero ed il contenuto di questo lavoro artistico derivano da traumi e sradicamenti che hanno avuto origine nell’infanzia dell’artista: nel loro procedere si sono nutriti di un processo faticoso e coerente, dove le tecniche di lavorazione hanno dato spazio alla lingua, ai simboli, all’esperire.
La mostra racconta il profilo della sua poetica, le collaborazioni e contaminazioni, la costruzione di un’identità nell’arte e nella società; su due livelli espositivi verranno impaginate sculture, fotografie e video. Una proposta espositiva che si aggiunge alle innumerevoli iniziative di Pesaro Capitale della Cultura 2024, che dà la possibilità al pubblico di conoscere il lavoro silente, pensato, trans-disciplinare di Antonella Sabatini. La sua poetica contemporanea evoca la ricerca informe di Nanni Valentini, che con la sua sensibilità per la terra e l’argilla, ha superato in senso scultoreo ogni contingenza della classicità, facendo tesoro dei rudimenti appresi alla Scuola d’arte Mengaroni per la decorazione ceramica, della collaborazione con la bottega di Bruno Baratti e dell’esperienza di progettazione con Luigi Massoni.
Antonella Sabatini è nata nel 1964 a Sant’ Gallen, in Svizzera. Ha vissuto il primo anno all’interno di un Kinderheim, nel periodo in cui venne promosso il primo referendum in Europa contro gli stranieri, in particolare contro quelli italiani. La separazione dalla famiglia e dalla lingua madre ha fortemente contribuito alla forma del suo pensiero. Per venti anni affianca società di produzione fotografica e di comunicazione, curando pubblicazioni istituzionali e di progetto. Nel 2001 co-fonda una società di ricerca per l’innovazione di design e culturale: oggetti, installazioni e progetti sono stati esposti in musei a Roma, New York, Vancouver, Johannesburg, Instambul, Tel Aviv, Parigi, Rabat, Francoforte, Milano, Helsinki, Lubjiana. Alcuni di essi sono stati premiati con riconoscimenti internazionali. Dal 2010 si dedica interamente ad una propria ricerca, che ha esposto in diversi spazi ed eventi in Italia. Il corpo di lavoro comprende la scultura, la fotografia e il video che dialogano con lo spazio e la complessità del tempo. I soggetti di queste azioni sono investiti sia dalla memoria che dalle loro funzioni innate e diventano metafora di vita. Lo sguardo attraverso le diverse superfici di esposizione sposta continuamente la ricerca.
Carlo Franza